26 Febbraio 2025
- Secondo un’indagine internazionale, una persona su due in buona salute del nostro Paese ancora non conosce la pericolosità dell’Herpes Zoster (noto come Fuoco di Sant’Antonio) e soprattutto fra i 50 ed i 60 anni ne sottovaluta i rischi;
- Diventa cruciale far sapere che il rischio di sviluppare la malattia, non è solo legato all’età, ma anche alla presenza di altre patologie, che possono aumentare il rischio di sviluppare l’Herpes Zoster e la cui pericolosità aumenta di molto se sommate proprio al Fuoco di Sant’Antonio. Le principali sono i tumori, le malattie immunodepressive, le malattie reumatologiche, il diabete e le patologie croniche cardiovascolari, renali e respiratorie;
- Oggi la prevenzione vaccinale è alla portata di tutti coloro che sono eleggibili. Il proprio medico di fiducia è la prima fonte di informazione e durante questa settimana dedicata alla conoscenza del Fuoco di Sant’Antonio è possibile ricevere i consigli degli esperti.
“Non mi riguarda”. Quando vogliamo tenere lontano un problema, soprattutto se riferito alla salute, spesso utilizziamo questa formula per distaccarcene. Ma attenzione, quando si parla di salute meglio non sottovalutare nulla e soprattutto meglio puntare sulla prevenzione che nasce dalla conoscenza, specie per chi è a rischio. E non bisogna fare l’errore di pensare che l’età sia l’unica variabile che aumenta le probabilità di sviluppare il Fuoco di Sant’Antonio e le sue conseguenze, come la nevralgia post-erpetica, caratterizzata da forti dolori che possono continuare anche per settimane o mesi dopo la scomparsa dei principali sintomi della malattia. O altre conseguenze come ad esempio seri problemi alla salute oculare per l’interessamento del nervo trigemino o altre ancora. Esistono infatti diverse patologie che possono combinarsi sfavorevolmente con l’Herpes Zoster, sia aumentando il rischio che una persona lo possa sviluppare sia per la complessità che la malattia può creare nella gestione del paziente. Basti pensare ai diabetici: in questa popolazione l’Herpes Zoster può peggiorare il controllo glicemico e comportare un aumento del rischio di nevralgia post-erpetica.
Per questo bisogna evitare di nascondere il capo sotto la sabbia e far finta che il problema non ci riguardi. Ecco perché occorre partire dai dati scientifici, sia negativi che positivi. Quelli negativi ce li fornisce l’epidemiologia e ci dicono che circa 1 individuo adulto su 3 è a rischio di sviluppare un episodio di Herpes Zoster nel corso della propria vita; che l’incidenza e la gravità aumentano con l’età, con un progressivo incremento dopo i 50 anni; che si arriva ad 1 individuo su 2 in chi ha più di 85 anni. Quelli positivi evidenziano, invece, con forza che la prevenzione è possibile. Le persone a rischio per età o patologia possono vaccinarsi e la vaccinazione disponibile è sicura, efficace fino all’89% a dieci anni, con dati che mostrano una protezione anche oltre.
In Italia se ne sa ancora poco
In occasione della Settimana della Prevenzione dal Fuoco di Sant’Antonio, in programma dal 24 febbraio al 2 marzo, gli esperti raccomandano alle persone di informarsi. Anche perché stando ad un sondaggio condotto da Ipsos Healthcare, per conto di GSK, su 8.400 cittadini di 9 Paesi (Cina, Brasile, Italia, Giappone, Germania, Irlanda, India, Portogallo, Stati Uniti), tra i 50 ed i 60 anni (1000 gli Italiani considerati) in molti hanno ancora le idee confuse su questa infezione. Sia che si tratti di uomini e donne in buona salute sia che invece presentino patologie concomitanti. Dei soggetti in buona salute in Italia solo il 52% ha una vaga idea di cosa sia l’Herpes Zoster e come possa rappresentare un rischio o addirittura non ne ha sentito parlare. La maggioranza degli intervistati su scala internazionale in questa decade si sente più giovane di quanto dice l’anagrafe e di conseguenza a minor rischio. Per questo è ancor più importante conoscere il rischio di sviluppare l’Herpes Zoster e puntare sulla prevenzione, nell’ottica sia della salute del singolo sia della sostenibilità del Servizio sanitario, limitando le spese per diagnosi e cura.
“La vaccinazione in età adulta e avanzata – commenta Enrico Di Rosa, direttore del Servizio “Igiene e Sanità Pubblica” della ASL Roma 1, e presidente della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) – rappresenta una strategia di sanità pubblica fondamentale per il singolo e per la comunità, anche alla luce del trend demografico del nostro Paese. Gli over 65 italiani rappresentano il 23% (oltre 4 punti percentuali in più rispetto alla media UE) della popolazione totale, e nel 2050 si prevede che ne costituiranno fino al 35%. Secondo uno studio condotto dagli esperti di Altems Advisory (Università Cattolica del Sacro Cuore) se raggiungessimo gli obiettivi di vaccinazione previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, risparmieremmo 10 miliardi di euro annui di spese sanitarie, mancata produttività e altri costi correlati, che andrebbero ad accrescere il nostro PIL e la possibilità di investimento in altre priorità sanitarie. In quest’ottica la vaccinazione contro l’Herpes zoster è una soluzione per fare fronte in modo equo ai bisogni medici della comunità e della popolazione per continuare ad essere attiva e produttiva”.
Chi sono i soggetti a rischio
Le probabilità di sviluppare l’Herpes Zoster aumentano progressivamente con l’avanzare dell’età, anche per il ruolo giocato dal naturale processo di immunosenescenza. Ma non bisogna dimenticare quanto e come la presenza di alcune situazioni molto diffuse (stiamo parlando ad esempio di diabete, malattie reumatologiche o di condizioni che comportano uno stato di immunodepressione come le terapie per patologie onco-ematologiche) possa rappresentare di per sé un fattore di rischio, a prescindere dall’età. Nel nostro Paese le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana (24 milioni), mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni (fonte XXII Rapporto sulle politiche della cronicità – Cittadinanzattiva 2024). Eppure dal sondaggio Ipsos, considerando chi appunto soffre di cronicità di questo tipo, emerge addirittura un livello di conoscenza più basso rispetto all’intera popolazione dei sani: siamo al 49% di persone che non conoscono l’Herpes Zoster o hanno solo qualche vaga informazione al riguardo. Insomma, in Italia come negli altri Paesi circa la metà della popolazione ignora che le cronicità come diabete, malattie respiratorie e malattia renale cronica nonché le patologie reumatologiche ed onco-ematologiche possono indebolire il sistema immunitario e quindi aumentare i rischi di sviluppare lo Zoster.
“Il medico di medicina generale è il primo punto di riferimento per i cittadini – dichiara Tecla Mastronuzzi, Medico di Medicina Generale di Bari, responsabile nazionale della Macroarea Prevenzione della SIMG – e sappiamo bene che questo è vero soprattutto per i pazienti anziani e per i pazienti fragili, per malattie e conseguenti terapie o per le precarie condizioni sociali. La riattivazione dello zoster per questi pazienti rappresenta un “incidente” che cambia la vita. L’HZ può modificare sostanzialmente la traiettoria di salute dei nostri pazienti, rendendo necessario il ricovero, con impatto sulla spesa sanitaria e sulla qualità di vita del singolo. Un recente studio – prosegue la dott.ssa Mastronuzzi – indica che dal 2003 al 2018 l’HZ ha rappresentato la causa di 11 ospedalizzazione ogni 100.000 pazienti/anno. Il tasso di incidenza di ospedalizzazioni per Zoster è 20 volte maggiore negli over 79 e 11 volte maggiore nei soggetti tra i 70 e i 79 anni, rispetto a quelli che hanno meno di 50 anni. Senza dimenticare che lo stesso studio parla di una incidenza di mortalità pari all’1,7% durante il ricovero. Quello che abbiamo capito più recentemente è che le complicanze e le conseguenze dellHZ non terminano con la manifestazione clinica della malattia: conosciamo bene la nevralgia post herpetica e le temibili conseguenze del coinvolgimento oculare ma oggi sappiamo che nel paziente con HZ aumenta in rischio di eventi cardiovascolari e neurologici. A fronte di quanto descritto la vaccinazione rappresenta uno strumento fondamentale per prevenire non solo la riattivazione della malattia, ma anche il decadimento delle condizioni generali di salute che si può associare a questa condizione. Insomma l’HZ è un brutto incidente, imprevedibile ma sicuramente prevenibile”.
Prevenzione su misura
Dall’indagine Ipsos emerge che i pazienti con malattie cardiovascolari e respiratorie sono quelli maggiormente informati sul rischio di sviluppare Herpes Zoster, mentre le persone con nefropatie risultano essere le meno informate. Seguono, sempre in termini di consapevolezza del rischio, i pazienti con diabete e gli immunosoppressi. In generale, tuttavia, il “non mi riguarda” è piuttosto diffuso, come se esistesse una discrepanza netta tra il rischio percepito e le reali implicazioni sfavorevoli in cui potrebbero incorrere queste categorie di pazienti. Nel nostro Paese la situazione è allineata al quadro generale. Nel caso del diabete, ad esempio, il 61% degli intervistati in Italia è consapevole dell’elevato rischio che corre nel contrarre la patologia da Herpes Zoster, ma non ne sa abbastanza o pensa che non lo riguardi. Esistono, invece, precise evidenze cliniche che mostrano come la presenza di diabete aumenti il rischio, sia di sviluppare l’infezione da Herpes Zoster, sia di incorrere in complicanze (come ad esempio la nevralgia post-erpetica). Una ricerca condotta negli USA che ha valutato i risultati di 62 studi clinici mostra come i pazienti diabetici presentano un rischio più alto del 30% di sviluppare l’infezione da Herpes Zoster (Kawai K, et al. Risk Factors for Herpes Zoster: A Systematic Review and Meta-analysis. Mayo Clin Proc. 2017 Dec;92(12):1806-1821. doi: 10.1016/j.mayocp.2017.10.009). Per quanto riguarda l’immunodeficienza legata a malattie o terapie, in Italia, il 65% degli intervistati con problematiche legate all’immunodepressione è consapevole dell’elevato rischio che corre nel contrarre le manifestazioni dello Zoster. Ma anche in questo caso i soggetti non ne sanno abbastanza o pensano che non li riguardi.
“È importante promuovere la vaccinazione nei pazienti oncologici – spiega Sandro Pignata, Direttore dell’Oncologia Medica presso l’IRCCS Istituto Nazionale Tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete Oncologica Campana (ROC) – per farlo è però necessario partire dagli operatori sanitari: la cultura vaccinale, la consapevolezza del suo valore, l’informazione corretta è fondalentale proprio per garantire un’adesione consapevole alla vaccinazione, che non solo è parte integrante del trattamento oncologico, ma preserva la qualità della vita dei pazienti. La Regione Campania – continua il Prof. Pignata – ha istituito la Rete Oncologica Campana, coordinata dall’Istituto Pascale, per identificare i centri specializzati nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei tumori maligni e le vaccinazioni rientrano a pieno titolo nella presa in carico del paziente. Visto il tema di oggi, le stesse linee guida AIOM raccomandano fortemente la vaccinazione contro l’Herpes Zoster. In chi si trova ad affrontare un tumore solido del sistema nervoso centrale o in generale un cancro gastrico, colorettale, polmonare, mammario, ovarico, prostatico, renale e vescicale, si calcola sia associato un aumento del rischio di infezione da Herpes Zoster tra il 10-50%”.
“È importante proteggere i pazienti con malattie reumatologiche – commenta Andrea Doria, professore di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l’azienda Ospedale-Università di Padova e presidente SIR – ad esempio in caso di lupus eritematoso sistemico (LES), il rischio di Herpes Zoster aumenta del 150% rispetto alla popolazione di confronto. Per quanto riguarda l’artrite reumatoide, due studi che hanno coinvolto oltre 160.000 pazienti dimostrano che il rischio è quasi doppio rispetto alla popolazione generale. Anche i farmaci necessari per il trattamento delle malattie reumatologiche – cortisone, immunosoppresori, farmaci biologici e JAK inibitori – possono influire sul rischio”.