29 Gennaio 2025
di Maria Frigerio, cardiologa
Editore Giuseppe De Nicola
Nel 1967, a Città del Capo, in Sud Africa, il chirurgo Christiaan Barnard entra nella storia della medicina sostituendo per la prima volta un cuore umano malato con uno sano. Da allora, il numero dei trapianti cardiaci si è moltiplicato, così come le speranze di chi attende un cuore.
Ma un cuore che transita in tre persone supera ogni immaginazione.
Le cronache sanitarie e la letteratura medica riportano solo una manciata di trapianti cardiaci effettuati su un secondo ricevente. Uno di questi casi ha riguardato proprio la dottoressa Frigerio, e da qui il titolo del libro: Alberto, fratello dell’autrice, fisico-matematico tra i più brillanti della sua generazione, morì improvvisamente il 5 marzo 1993, all’età di 41 anni, a causa di un ictus che lo aveva colpito alcuni giorni prima.
Il suo cuore fu trapiantato prima in uno sventurato ragazzo, stroncato da un’emorragia cerebrale pochi giorni dopo, e poi, per vent’anni, ha battuto nel torace del secondo e più fortunato ricevente.
Scrive Gaetano Cappelli, lo scrittore potentino: “… è di tanti destini simili al mio che ‘Il cuore che visse tre volte’ racconta…
È indubbio che ancora oggi ricevere un trapianto resta tra le più sconvolgenti avventure che possano capitare, nella vita normale, a delle persone normali. E questo per il particolare, e direi unico, carico di problematiche che si agitano nella mente di chi la vive…
Ma le reazioni dei pazienti sono tra le più varie, ed è proprio dalla benevola, umanissima curiosità con cui vengono raccontate che il libro trae la sua particolare energia…
«Rassegniamoci: per quanto possiamo impegnarci nel perseguire l’equità, è il caso che prevale nel decidere i nostri destini» ci ricorda Maria Frigerio in questo suo diario di bordo che, di volta in volta, si fa racconto filosofico e romanzo, journal intime e trattato medico, documento realistico e purissima fiction, nel frattempo descrivendoci quella grande commedia che è la vita degli uomini con la consapevolezza e lo stile della scrittrice di razza… “
Questo libro è composto da storie nate nell’ospedale Niguarda di Milano, che Maria Frigerio definisce “il luogo dell’anima”, dove ha lavorato fin dalla giovinezza e per oltre quarant’anni, più di trenta dei quali dedicati alla cura di persone con malattia avanzata, ai candidati al trapianto e ai trapiantati di cuore. I protagonisti sono i pazienti, ma non si tratta di casi clinici: sono persone che, chi improvvisamente e chi a seguito di una cardiopatia di lunga data, si sono ritrovate a dover cercare un modo — ciascuno il proprio — per tenere insieme la propria vita, la malattia e le cure…
Dalle storie si possono enucleare, a guisa di aforismi, frasi capitali come questa: “L’ospedale è fatto per i pazienti, non per chi ci lavora”. Tra i casi più commoventi, c’è quello di un uomo che, vicino alla morte e senza rimedio, chiede di poter “bere l’ultima birra della sua vita”.
«Avrei dovuto rispondere NO. Invece dissi di sì» scrive la dottoressa. «Non tutta una birra intera, però».
La mattina dopo la informano che il cuore si è fermato.
Un altro caso riguarda un uomo chiamato da alcuni medici, perché ingombrante e rozzo, “Neanderthal”. Ma i fatti li smentiscono. Felicemente trapiantato, qualche mese dopo si fa vivo e dice che ha scoperto chi è la mamma del suo donatore e che va con lei al cimitero a trovare il figlio. L’imprevedibilità dei cuori, in tutti i sensi.
Sull’autrice
Maria Frigerio è una cardiologa milanese, diplomata in pianoforte, nata a Milano sotto il segno dell’Acquario. Dopo la maturità classica, ignorando i consigli del professore di italiano e della mamma, che la vedevano il primo scrittrice e l’altra insegnante, si è iscritta a Medicina. Ha sempre lavorato presso il Centro De Gasperis dell’Ospedale Niguarda di Milano, occupandosi dei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata e trapiantati di cuore (dal 2000 come direttore della sezione di Cardiologia a loro dedicata). A suo modo, ha risposto alle aspettative della mamma contribuendo alla formazione sul campo di decine di giovani medici di tutta Italia. Pensa di aver trascorso più tempo nel suo ospedale, “un luogo dell’anima”, che in qualunque altro posto e che sia stato un privilegio fare il “lavoro più bello del mondo in uno degli ospedali migliori del mondo”. Ora, invece di dedicare il suo tempo ad altre passioni, come la musica e il giardinaggio, oppure a Evelyn, la bimba di suo figlio, troppo lontana, ritiene di aver soddisfatto anche le aspettative del suo professore, scrivendo questo libro. Il marito e Luna, una bionda femmina di Labrador, portano pazienza.