Pareri a confronto

Viaggio in una sanità italiana sempre più in crisi

20 Gennaio 2025

Di Franco Bongianino, ex anestesista rianimatore – ex medico di famiglia

Di fronte al susseguirsi di notizie riguardanti la ormai cronica carenza di medici di base, consentitemi alcune considerazioni in qualità di medico da poco in pensione dopo 40 anni di attività appunto “di base”.
Innanzi tutto tengo a precisare che non ho mai gradito questa denominazione, preferendo quella più gratificante di medico di famiglia, che meglio definisce le variegate sfumature umane e professionali di un’attività in passato fondamentale per la vita delle comunità. Ma i tempi sono cambiati, pertanto suggerisco di sostituire la definizione con Impiegato Sanitario oppure, cosa che va tanto di moda, con una bella sigla del tipo G.A.S.T. cioè Gestore Aziendale di Sanità Territoriale. Nel corso degli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una progressiva depersonalizzazione del medico di famiglia, sia a causa dello svilupparsi di vie alternative alla medicina territoriale (dottor Google docet) sia per il costante declassamento della figura del medico verso una condizione di mero burocrate della sanità.

Il carico di lavoro è costantemente aumentato non dal punto di vista clinico bensì da quello burocratico. Ore passate al computer a compilare sempre nuovi certificati, a redigere relazioni, a partecipare a progetti di dubbia utilità e, in ultimo ma non per importanza, a verificare puntualmente la propria spesa sanitaria indotta, nella costante apprensione di non superare i limiti regionali imposti riguardanti prescrizioni di farmaci e di accertamenti diagnostici. Si ha la sensazione che al Servizio Sanitario Nazionale non interessi l’attività medica in senso assistenziale quanto l’attività burocratico-ragionieristica.

Di conseguenza le competenze mediche vanno assumendo sempre minor importanza nella pratica quotidiana, mentre assumono progressiva rilevanza capacità quali la gestione di programmi informatici e la disponibilità a partecipare a progetti in rete che assorbono un sacco di tempo per produrre alla fine risultati statistici interessanti per chi si occupa di queste materie ma di scarsissima utilità per il medico alle prese con ben altri problemi. Rimane poi la pletora di certificati e relazioni da redigere, di e-mail provenienti da Regione e ASL a cui prestare attenzione, di messaggi vari da parte dei pazienti a cui rispondere. Dopo tutto ciò, forse resta un po’ di tempo da dedicare alla pratica clinica. La pandemia Covid ha infine assestato un’accelerazione irreversibile a questo processo di deterioramento professionale, il quale ha condotto all’attuale situazione ormai francamente insostenibile.

Quel nefasto periodo vissuto tra gravi inefficienze e disdicevoli comportamenti, tra esempi di assoluta abnegazione e di altrettanto assoluta negazione, nonché di straordinaria resilienza, ha fatto sì che emergesse quanto di meglio e di peggio il nostro Servizio Sanitario Nazionale potesse produrre. Alla fine abbiamo pensato di esserne usciti migliori, di aver accertato le criticità e di aver sviluppato le capacità per affrontarle e superarle. Ebbene ora pare che tali propositi siano andati delusi. L’organizzazione del SSN va progressivamente peggiorando e si ha una grande difficoltà a reperire medici disposti a lavorare per un sistema che li disincentiva sia nell’aspetto economico che professionale. E questo in ambito territoriale come in quello ospedaliero. I Colleghi che ancora hanno desiderio di “fare il medico” come ci era stato insegnato all’università e poi dall’esempio di chi ci ha preceduti sul campo, mi riferiscono che ormai sono più le ore trascorse davanti al computer, che quelle spese ad ascoltare e aver cura delle persone. Non ci si deve quindi stupire se i nuovi laureati preferiscono altre strade professionali e quelli che rimangono siano costretti ad assumere personale di segreteria per svolgere le sempre più numerose incombenze burocratiche. Ma la strada è ormai segnata. Il vecchio medico di famiglia scomparirà, sostituito da figure dotate di specifiche capacità informatico/gestionali.

Esse avranno il compito di indirizzare i pazienti (o meglio gli UTENTI) verso percorsi diagnostico-terapeutici standardizzati, certificati, razionalizzati, tecnologizzati e, si spera (ma qui nutro forti dubbi) anche un po’ umanizzati. E questi percorsi verranno effettuati in strutture modulari costruite ad hoc per rispondere alle varie esigenze, da quelle basilari a quelle super-specialistiche. Ma tutto questo ancora non esiste e intanto il degrado dell’assistenza sanitaria pubblica procede inesorabile. Ipotesi, le mie, troppo pessimistiche? Vedremo. Nel frattempo auguro ai Colleghi rimasti di riuscire ad esprimere tutta la loro umana resilienza nel vivere quotidianamente una professione che si va spegnendo per asfissia da soffocamento. E ai giovani consiglierei di rileggersi ogni tanto il Giuramento di Ippocrate, che non si usa più pronunciare alla laurea, ma i cui propositi morali saranno sempre tenuti in massima considerazione da coloro i quali vorranno vivere la nostra come una missione e non come un semplice mestiere.