10 Dicembre 2024
Pubblicata con grande ritardo, la relazione annuale del Ministero della Salute sull’ “attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione di gravidanza” ci restituisce una fotografia del Paese ferma al 2022. I dati sono quindi già obsoleti, e poco utili per le istituzioni a livello nazionale e regionale che dovrebbero occuparsi di programmare le politiche per migliorare il servizio e garantire a tutte le persone il fondamentale diritto di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Il quadro che ne emerge conferma comunque una situazione di grave difficoltà, da Nord a Sud del Paese.
L’obiezione di coscienza si conferma essere uno dei principali problemi nell’accesso all’aborto. Tra il personale specializzato in ginecologia il dato è in lieve diminuzione a livello nazionale rispetto al 2021 (60,7% rispetto al 63,4%) ma rimane a valori elevati, con punte al Sud del 90.9% in Molise, del 81.5% in Sicilia, del 79.2% in Basilicata, del 77.9% in Puglia. Anche per quanto la figura dell’anestesista, il dato nazionale è in diminuzione (dal 40.5% al 37.2%) ma con punte al Sud del 75.2% in Calabria, 66.7%, in Molise, 62% in Sicilia, 61.9% in Basilicata e 61.7% in Campania. I dati che ci vengono restituiti sono aggregati su base regionale, non per singola struttura, e questo impedisce di avere una fotografia chiara delle strutture in cui l’obiezione di coscienza arriva, come sappiamo dalla ricerca “Mai dati” dell’Associazione Luca Coscioni, anche al 100% impedendo di fatto alle persone di accedere al servizio.
I Consultori Familiari pubblici sono in diminuzione a livello nazionale, in valori assoluti da 1871 a 1819, al di sotto della proporzione di 1 ogni 20.000 abitanti previsti per legge: come nel 2021ci sono 0.6 consultori ogni 20.000 abitanti, quindi poco più della metà di quelli che dovrebbero esserci per legge. Questo dato è ancora più significativo se si considera che il 43.9% dei certificati per IVG, quindi quasi la metà, sono rilasciati da un consultorio. Oltre a ciò si aggiunge il fatto che questi dati non ci restituiscono una fotografia chiara della reale situazione di difficoltà incontrata dall’utenza poiché nella realtà molti consultori, anche a causa della mancanza di personale, sono attivi solo alcune ore al giorno e alcuni giorni alla settimana. La situazione si complica ulteriormente se tra il personale del consultorio ci sono obiettori di coscienza, che in alcuni casi si rifiutano addirittura di rilasciare il certificato per IVG (contrariamente a quanto previsto dalla legge 194/78).
La pratica di IVG farmacologica a livello nazionale è in leggero aumento, dal 45,3% al 52%, ma rimane molto bassa rispetto ad altri paesi, come Francia e Inghilterra dove arriva a oltre il 70%, o come i Paesi del Nord Europa che superano il 90%.
I dati sui tempi di attesa ci dicono cheil 74,3% delle IVG sono state considerate non urgenti, pertanto più di 48mila persone sono state costrette all’attesa forzata di 7 giorni dal rilascio del certificato, pratica che l’OMS considera una barriera all’accesso alla IVG, un’inutile fonte di sofferenza e di potenziale trauma psicologico. Per quanto riguarda il tempo di attesa tra rilascio del certificato e la procedura si osserva una riduzione della percentuale di persone che hanno effettuato l’interruzione di gravidanza entro 14 giorni dal rilascio del certificato (dal 78.4% al 77.7%). Sono invece aumentate le percentuali delle persone che hanno atteso tra 15 e 21 giorni (da 13.2 a 13.8%) e tra i 22 e 28 giorni (da 4.6 a 5%).
“I dati del Ministero della Salute, benché già obsoleti perché di due anni fa e pubblicati dopo due interrogazioni parlamentari presentate dalla deputata Gilda Sportiello in collaborazione con l’attivista Federica di Martino, ci confermano quanto emerso dal nostro ultimo report “Aborto a ostacoli”. Ossia quanto ancora l’accesso all’aborto in Italia sia una vera e propria corsa ad ostacoli e quanto siamo lontani dalle raccomandazioni dell’OMS e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza – spiega Gianluca Ferrario, Coordinatore medico di Medici del Mondo. Come organizzazione medico sanitaria, insieme alle altre associazioni e attiviste impegnate nella battaglia perché l’accesso all’aborto sia considerato un diritto, chiediamo dati aperti, aggiornati e disaggregati per struttura in modo che siano utili per la programmazione a livello nazionale e regionale e per le persone che devono accedere al servizio. E torniamo a chiedere al Ministero della Salute di adeguare la normativa e le procedure in materia di IVG recependo le raccomandazioni dell’OMS e di garantire un sistema sanitario davvero capace di garantire il diritto all’aborto. Riteniamo necessari l’aumento del limite legale di età gestazionale in cui è possibile ricorrere all’IVG, l’abolizione dell’attesa forzata e dell’obiezione di coscienza. L’interruzione volontaria di gravidanza deve essere considerata come un atto medico, privo di connotazioni ideologiche, volto a garantire la tutela della salute psicofisica della persona gestante”
Chi è Medici del Mondo. Medici del Mondo (MdM) è una rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale. Oggi gestisce circa 400 progetti in oltre 70 Paesi del mondo, così come attività di advocacy sia a livello europeo che internazionale. Nel 2020 nasce MdM Italia che, tra le varie aree di intervento, si occupa di salute sessuale e riproduttiva e ribadisce con forza che l’aborto è un diritto umano e un pilastro fondamentale dell’uguaglianza di genere. MdM ritiene che l’aborto libero e sicuro sia un’emergenza di salute pubblica, considerando che ogni anno nel mondo 39.000 donne muoiono a causa di interruzioni di gravidanza realizzate in condizioni non sicure. Per questo MdM si impegna a fare pressione presso le istituzioni perché l’aborto sia un vero diritto in ogni Paese.