Zoom

Aggressioni a medici ed infermieri: tu che ne pensi?

26 Settembre 2024

Abbiamo chiesto a medici ed infermieri di esprimersi sui recenti casi di cronaca, che hanno visto numerosi professionisti della sanità vittime di violenza, e di raccontarci se nella loro esperienza professionale si sono mai ritrovati in situazioni analoghe.
Di seguito le loro risposte.

Sono un medico di famiglia di 67 anni, sono stato aggredito fisicamente almeno 4 volte con gente che ha addirittura scavalcato la finestra per entrare in ambulatorio; in quelle occasioni ho informato le istituzioni, che purtroppo non hanno fatto nulla, tantomeno hanno messo in sicurezza gli ambulatori dove lavoro. Le aggressioni verbali sono oramai episodi di routine quotidiana”.

Fabio Balistreri, medico di famiglia

Sulla questione della violenza sui medici credo di pensarla diversamente dai cori sentiti in questi giorni a difesa dei medici. Da tempo noi medici abbiamo perso molto in deontologia, proprio nel giuramento di Ippocrate che ora io chiamo di “Ipocrite”. Abbiamo perso di vista il paziente, mettendo il danaro prima di tutto. Medici che non fanno le ricevute, arroganti, pieni di sé, hanno perso completamente la dignità che ha fatto perdere il rispetto da parte dei pazienti e nei confronti dei pazienti stessi. Fermo restando che aggredire un medico è sempre sbagliato, senza se e senza ma”.

Giuseppe Varlaro, ortopedico

Sono neurologo, psichiatra e psicoterapeuta da 40 anni. Esprimo la massima solidarietà ai colleghi aggrediti. Devo necessariamente sottolineare due punti: 1) se si pensa al numero di prestazioni che si effettuano ogni giorno tra PS e visite gli esecrandi casi segnalati sono una quantità minima; 2) in 40 anni di attività in prima linea non ho mai avuto atteggiamenti aggressivi da parte dei miei pazienti: bisogna recuperare quel rispetto verso il paziente che una volta si insegnava. Bisogna sempre pensare che non abbiamo di fronte un cuore o un polmone, ma un paziente con la sua rete di affetti, relazioni, aspettative. Capisco tutte le resistenze (siamo pochi, tempi stretti) ma lo dobbiamo sapere e purtroppo il burnout è dietro l’angolo e non c’è sempre molta attenzione da parte delle istituzioni a questo problema”.

Marco Iudica, neurologo

Sono un medico di pronto soccorso e sono stata più volte minacciata verbalmente da parenti di pazienti. Sono in causa con una parente che mi ha detto, l’anno scorso, ” fanno bene quando le ammazzano ” e si riferiva alle dottoresse donne. Sono schifata e preoccupata per questa modalità sempre più frequente di rapportarsi alla figura medica, ma anche a quella infermieristica ed anche agli OSS. Questa è la mia storia, ma è purtroppo simile a molte altre. È ora di dire BASTA!”.

Francesca Spallarossa, medico di pronto soccorso

La centralità della scienza medica deve ritornare ad essere la persona che ha bisogno, nell’ordine, di Attenzione, Ascolto, Cura, Conforto se altro non si può dare. Che tristezza quando qualcuno mi dice di un collega “bravo ma anaffettivo”. Il medico e il paziente devono volersi bene, altrimenti come si crea la fiducia? Come ci si sottopone a cure pesanti senza fiducia in chi le prescrive?”.

Paola Virginia Gigliotti, medico di famiglia

Il problema è legato in modo particolare alla cattiva immagine creata dalle associazioni legali che pubblicizzano il medico come l’unica causa del problema o del decesso dei pazienti. Veniamo dipinti come la causa del danno, anche quando il danno è legato a malattie gravi o – peggio – a incidente. Il tutto condito dalla esiguità del personale e dai carichi di lavoro impressionanti”.

Antonio Lombardo, urologo

A mio avviso bisognerebbe ragguagliare la figura del sanitario a quella del pubblico ufficiale.  Si dovrebbero anche applicare le stesse pene, che si erogano in caso di aggressione fisica o verbale (e relative lesioni) agli esponenti delle forze dell’ordine”.

Antonello Porena, odontoiatra

Da un Iato i pazienti sono esasperati per i lunghi tempi di attesa per visite, accertamenti, diagnosi. Dall’altro i sanitari del servizio pubblico sono stressati per gli insostenibili carichi di lavoro, dovuti alla carenza di personale. Assumere personale giovane e motivato può essere una valida soluzione e una delle azioni da mettere in campo per aumentare l’empatia medico-paziente”.

Olga Mitidieri Costanza, dirigente medico

Sono un dirigente Medico, urologo, di Andria. Per fortuna nessuno mi ha ancora messo le mani addosso, ma le minacce di denunce/querele/esposti o il molto più popolare: “Chiamo i carabinieri!!!” sono all’ordine del giorno. In particolare ricordo con “affetto” un lunedì mattina in cui ero di turno per le sostituzioni dei tutori ureterali nei pazienti sottoposti a cistectomia radicale con confezionamento di ureterocutaneostomie bilaterali. Il paziente, una vecchia conoscenza, al termine della sostituzione mi dice che DEVO mettergli un filo di sutura intorno a ciascun tutore. Gli spiego che non occorre fermare i tutori con un filo di sutura perché 1) il filo di sutura serve per altro e l’Azienda e quindi noi tutti paghiamo quel filo di sutura affinché sia pronto uso e utile a suturare ferite; 2) i tutori ureterali sono automatici pertanto per definizione dallo stoma non si muovono salvo che il paziente non se lo tiri di proposito. A queste mie affermazioni il paziente inveisce con rabbiosa ferocia, intimando che lui è un contribuente che ha versato per più di 40 anni i contributi alla Stato e “pretende” che gli si debba mettere il filo di sutura, adducendo anche che “il paziente ha sempre ragione”. Gli rispondo che sono un Pubblico Ufficiale Medico, che devo salvaguardare ed ottimizzare le risorse dello Stato cioè noi tutti, impiegandole nel miglior modo possibile nell’ interesse dell’utenza tutta. Lui ribatte che, se la penso così, dovrei andarmene all’ estero e non rimanere in Italia. Gli dico a mia volta che me ne andrei all’estero, se non avessi già una famiglia quindi ahimè resto in Italia e finché resto difendo la “res publica” e pertanto non metterò il filo di sutura intorno ai tutori ureterali. Se ne va sproloquiando, sbattendo la porta ed urlando nel corridoio che mi avrebbe fatto un esposto, esposto che per fortuna non mi è mai giunto. Con questa breve storia triste, vi saluto e ringrazio per la voce concessaci”.

Giovanni Silecchia, urologo

Io non ho ricevuto violenze fisiche, ma la sensazione che quello che faccio per i pazienti non sia mai abbastanza è quotidiana ed è disarmante. Sto per andare in pensione perché a breve compio 70 anni, sono un medico di medicina generale, e posso dire che 30 anni fa la gente non si comportava così, c’era rispetto per il nostro lavoro, che non è per niente facile. Le violenze negli ospedali sono inaudite e siccome dipendono da un’esagerata richiesta da parte della popolazione vanno tenute sotto controllo dalle forze dell’ordine, al momento non vedo altre soluzioni”.

Rosanna Filiputti, medico di medicina generale

Il fenomeno della violenza contro gli operatori s’inserisce in un contesto nazionale di incapacità di risoluzione di una controversia altrimenti in modo aggressivo (ne è prova di eventi quotidiani) in cui si articolano molte variabili: incapacità di ascolto, incapacità espressiva, incapacità comunicativa, inidoneità ambientale, ineducazione civica, assenza dell’elemento di solidarietà sociale da parte degli utenti”.

Rosa Maria Gaudio, medicina legale ospedaliera

Dopo 48 anni di iscrizione all’ordine ed avendo ricoperto cariche apicali per un ventennio, posso dire che queste aggressioni – pur se iniziate con le gravi conseguenze della “riforma Bindi” ed alla successiva demolizione della medicina dell’emergenza dei primi anni 2000 – mi sembrano dovute alla giusta (e secondo me irreversibile) caduta di fiducia nei confronti della classe medica conseguente al sostenimento acritico di comportamenti ideologici e per nulla scientifici nella farsa pandemica del 2020.
Essersi sdraiati ai desideri della politica propagati dagli ordini ed aver assunto il ruolo di fantocci del potere ideologico di èlite economiche transnazionali, dimenticando nel contempo ogni nozione appresa nel corso di laurea e nell’esperienza clinica quotidiana, non poteva non avere conseguenze. E temo siamo solo all’inizio di una discesa difficilmente prevedibile perché questa stessa sfiducia ha già da tempo assunto dimensioni internazionali: negli Usa, da oltre un anno, i cittadini si rivolgono sempre meno ai loro medici curanti, lamentando sempre i comportamenti che essi hanno avuto e che, ovviamente, li sfiduciano a mettere ancora nelle loro mani la salute e la vita di chi dovrebbe sentirsi da loro protetto e curato.
Può non piacere se si è omologati al pensiero unico, ma la realtà è questa; inutile inventare altre giustificazioni fantasiose
”.

Giulio Maria Pedone, professore e medico

Vi scrivo per unirmi a tutte quelle donne medico che giornalmente esercitano la loro professione con dedizione e tanta pazienza e non vengono rispettate sul lavoro e a tutti i colleghi che hanno perso la vita o deciso di non continuare a fare il medico a causa di una violenza fisica o di ripetute violenze verbali subite. Sono un medico, lavoro in ospedale. Ultimamente mi interesso in modo particolare di una incomprensibile violenza verbale e fisica che si riversa sui medici (e anche su di me in quanto tale) e della solitudine nella quale vengono lasciati coloro che la subiscono, anzi spesso soli e giudicati come se loro stessi possano essere colpevoli di qualcosa che possano aver detto o fatto per meritarsi tanta violenza che porta credetemi ad una sofferenza e ti cambia dentro”.

Vittoria Becciu, dietologa

Il motivo reale della violenza nei confronti del personale sanitario è che si è perso il senso della realtà in merito all’unica certezza della nostra vita che è LA MORTE. Questa non è più considerata un fatto naturale che riguarderà tutti noi, ma è divenuta un’INGIUSTIZIA CHE VIENE SUBITA SEMPRE PER COLPA DI QUALCUNO! E quale luogo appare più adatto per perpetrare quest’ingiustizia, questo crimine? Ma l’Ospedale ovviamente”.

Paolo Lippe, oncologo

Purtroppo la situazione in cui versano i PS e comunque i Centri di assistenza SSN è frutto delle politiche miopi degli ultimi decenni: numero chiuso a medicina con limitazione del diritto alla scelta di studio sancito dalla costituzione e conseguente riduzione del numero dei professionisti sui territori e negli ospedali, taglio dei fondi alla sanità, privatizzazione dei servizi SSN, chiusura di ospedali, chiusure dei pronto soccorsi, riduzione dei posti letto e conseguente grave difficoltà nel gestire i bisogni dell’utenza. Serve dire altro?”.

Katia Bettiol, ex medico ospedaliero

Non avrei mai immaginato di assistere a un tale squallore professionale. Purtroppo, mi rendo conto che la qualità dell’assistenza sanitaria stia declinando, e questo non solo danneggia chi si trova nel momento di maggiore vulnerabilità, ma offusca la dignità della nostra stessa professione. Basta anche solo porsi una semplice domanda: perché il paziente e i suoi familiari reagiscono ai soprusi in modo violento? Forse, se dobbiamo parlare di colpa, essa risiede sempre a metà strada, condivisa tra chi subisce e chi perpetra, in un sistema che troppo spesso dimentica l’umanità e il rispetto reciproco”.

Daniela Messineo, ex medico di pronto soccorso