8 Maggio 2024
L’Arte riveste sempre più un ruolo importante nella formazione del medico e nel rapporto medico-paziente, soprattutto in un’epoca in cui si rischia di spersonalizzare questa relazione.
La centralità del paziente, l’empatia, la vicinanza restano invece elementi chiave del percorso di cura. Raffaele Domenici, autore del libro “Arte e Medicina. Il medico, il paziente e la malattia nei secoli”, mediante l’analisi di noti capolavori artistici, analizza la figura del medico, del malato, i segni specifici di determinate patologie e molto altro ancora.
Cosa l’ha portata a scrivere il libro “Arte e Medicina. Il medico, il paziente e la malattia nei secoli” e quali tematiche affronta?
Da diversi anni mi dedico a ricercare nelle opere d’arte alcuni aspetti relativi al mio lavoro. Sono pediatra e neuropsichiatra infantile, impegnato nella promozione dell’allattamento materno: in questo ambito ho provato a individuare in tante opere raffiguranti la mamma e il bambino i passi del percorso proposto da OMS e UNICEF per la diffusione e il sostegno dell’allattamento naturale. Lavoro che si è concretizzato nella pubblicazione di due volumi, “Allattamento al seno suggestioni artistiche” e “Madre e Madonna, tra arte e sentimento”, che avevano lo scopo di contribuire a una sensibilizzazione sull’argomento. È venuto poi naturale ampliare l’interesse per altre tematiche quali la relazione tra medico e persona malata, in particolare il bambino sofferente o la ricerca di segni indicatori di determinate patologie, affrontate in quest’ultimo libro.
Un intero capitolo è dedicato all’iconodiagnostica: di cosa si occupa questa disciplina e perché può essere di grande supporto nel favorire l’empatia tra medico e paziente?
In un’epoca in cui la medicina rischia di concentrarsi prevalentemente sugli aspetti scientifici e tecnologici, con il pericolo di spersonalizzare la relazione tra medico e paziente, ripristinare e promuovere il rapporto tra la pratica medica e l’ambito umanistico costituiscono valori fondamentali da accrescere per dar vita ad un rapporto personalizzato tra il sanitario e la persona ammalata. L’area di incontro tra la biomedicina, le scienze sociali è costituita dalle Medical Humanities: in questo ambito rientra anche l’iconodiagnostica, la disciplina che applica allo studio delle opere d’arte l’approccio della semeiotica medica per ricercare sintomi e segni clinici. Contribuisce ad esercitare la capacità di osservare e riconoscere i segni di patologie riprodotti inconsapevolmente dagli artisti dunque ad allenare l’occhio clinico: il medico dovrebbe avere un occhio, come quello del pittore, che decodifica la realtà e permette di vedere più in là della realtà formale.
Dunque possiamo affermare che l’arte e la medicina sono due mondi solo apparentemente molto lontani, ma in realtà possono dialogare molto bene tra loro. Con quali benefici per i pazienti da un lato e per i medici dall’altro?
Certamente arte e medicina devono dialogare tra loro. Come sosteneva Edmund Pellegrino la medicina è la più umana delle scienze e la più scientifica delle humanities. Le neuroscienze aiutano a comprendere sempre meglio i meccanismi per cui l’arte e la cultura recano grandi vantaggi alla salute e incidono positivamente sulla nostra condizione personale. Ogni volta che osserviamo un’opera pittorica, una scultura, un’architettura, ma anche quando assistiamo a una rappresentazione teatrale e cinematografica, formuliamo un giudizio estetico che attiva aree differenti del nostro cervello producendo un effetto a cascata, un benessere non solo psicologico, ma anche fisico. Apprezzare l’arte e lasciarsi coinvolgere dalla cultura è importante tanto quanto fare gli screening preventivi per le malattie neoplastiche e le patologie cardiovascolari, mangiare in modo sano, evitare condotte a rischio, svolgere esercizio fisico regolare. Per quanto concerne i medici e gli operatori della salute è dimostrato come arte e cultura possano contribuire alla gestione positiva del burnout.
Oggigiorno è aumentato l’interesse attorno a queste tematiche anche grazie all’organizzazione di seminari, corsi di formazione, eventi e congressi. Secondo lei in Italia il nesso tra scienza e cultura è sufficientemente valorizzato? O si potrebbe fare ancora meglio e di più?
Molte iniziative sono state promosse in questa direzione, soprattutto negli ultimi anni, ma si dovrebbe fare ancora di più per valorizzare l’interdisciplinarietà, che rappresenta un arricchimento per la professione medica. Ad esempio, inserendo questi temi nei corsi di laurea, dunque promuovendoli maggiormente nell’ambito della formazione medica.
A tal proposito come valuta il network di “Cultura è Salute” di Club Medici?
Molto positivamente. “Cultura è Salute” infatti rappresenta un importante modello integrato di promozione del benessere e della salute degli individui e delle comunità, un riferimento significativo per tutti coloro che si occupano di welfare culturale.