12 Dicembre 2022
“Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” (Dante) sulla tutela della salute sul lavoro (dal TULLSS ai DPR 1955 e 56 alla ” 626″fino al dlgs 81/08). Peccato però, che pur con le migliorie tecniche in certe lavorazioni, rimangono purtroppo presenti alcune patologie come quella osteoatrosica e tumorale, seppur meno riconoscibile di altre. Così come rimangono gli infortuni mortali (chiamati ipocritamente “morti bianche”, che bianche non sono mai!). I costi per rendere sicuro il luogo di lavoro per gli imprenditori hanno rappresentato un freno all’incremento della crescita economica e occupazionale pur con incidenza sul sistema sanitario e di previdenza.
Tralascio i dati sui morti sul lavoro e cito solo la morte nel maggio di quest’anno, di Luana, giovane mamma, uccisa a 22 anni dal macchinario in fabbrica tessile a Montemurlo (PO), una vicenda che ha suscitato grande sgomento ed indignazione in tutta Italia. Ma passata l’emozione, non è stato preso un alcun serio provvedimento, se non di pura facciata ovvero l’estensione all’Ispettorato del Lavoro dei controlli. Che doveva fare l’Ispettorato se non ispezionare? E perché prima non lo faceva? Le Asl i e Servizi di prevenzione di certo non brillano: i controlli dichiarati dal Veneto sono circa il 3% delle Aziende (il 97% non è mai ispezionato); la riforma sanitaria incompleta prevedeva l’unificazione dei servizi e delle istituzioni di prevenzione e PMP (ex laboratori di igiene e profilassi). Si affermava il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), un diplomato acculturato (si fa per dire) con corsi di formazione di 70 ore. E a fronte delle competenze inadeguate, s’interveniva le società di servizi (cosiddette “per la sicurezza”) alle quali però mancavano le basi di igiene e di medicina del lavoro.
Negli anni sono sorte imprese che forniscono consulenze con programmi per documentare la valutazione di rischi (DVR) e per coprire burocraticamente l’assenza del DVR penalmente perseguibile. I livelli di istruzione dei titolari non sono adeguati ad affrontare la complessità della materia. Le società di servizi producono scartoffie generiche ed inesatte, che non corrispondono alla realtà della singola azienda. Inoltre si segnala il marasma di applicazioni incongrue delle norme in mancanza di controlli, sulla attività di consulenza privata, inadeguate al risultato di salute e sicurezza in fabbrica. In buona sostanza alle competenze teoriche e pratiche degli igienisti industriali, si sono sostituite quelle di queste società con le più varie conoscenze, riducendo invece le mansioni del medico aziendale (medico competente) a cui resta solo la sorveglianza sanitaria.
Il numero dei Medici Competenti (specialisti in materia di lavoro) è calcolato fra i 5 mila e 10 mila in Italia e il loro scarso numero sul totale delle aziende fa sì che si attui pochissima attività di prevenzione, a cui fa da contraltare il risibile controllo delle ASL e dell’Ispettorato del Lavoro. Tutto ciò si traduce in un mercato scorretto (ove non truffaldino o francamente mafioso) con corsi di formazione venduti a peso (o mai effettuati) che avvantaggiano i disonesti rispetto a chi segue i giusti criteri, basati su onestà e correttezza, a salvaguardia della salute con una prevenzione efficace. La formazione è il punto più debole della catena della Prevenzione (si consente infatti anche a non diplomati (se abbiano assistito un docente per tre anni) di essere docenti di formazione. Inoltre anche i diplomati in discipline che non hanno alcuna attinenza con le attività produttive possono fornire una formazione INADEGUATA ED INSUFFICENTE. Eventualmente poi in qualche caso la giustizia indagherà e sanzionerà. Questa situazione è diventata sistematica e alla prossima vittima sul lavoro piangeremo le classiche lacrime di coccodrillo.
Dr. Carlo Pamato, medico – Padova