3 Maggio 2022
L’empatia e le arti come condizioni essenziali e strumenti per lo scambio educativo e nelle relazioni genitori-figli. Ce ne parla in questa intervista Federica Lampugnani, pedagogista, educatrice e responsabile di “Pedagogia Valle Olona”.
Quando nasce la vostra Associazione e di cosa si occupa?
Pedagogia Valle Olona nasce nel 2021 come una realtà profondamente ancorata al territorio in cui è sorta cioè la Valle Olona, con le sue caratteristiche ambientali che ne hanno plasmato anche la sensibilità ecologica stessa. Pedagogia Valle Olona, infatti, è un centro pedagogico ed educativo forte dell’immersione in una territorialità ancora capace di mantenere un contatto stretto con la natura e la sua ciclicità. In quest’ottica si occupa di pedagogia e principalmente di interventi familiari con uno sguardo sistemico e relazionale. La famiglia o meglio le famiglie sono microcosmi che presentano molteplici elementi che l’educazione può cogliere per lasciare che queste realtà fioriscano e siano generative dentro le questioni che vivono.
Lo strumento principale di lavoro e interazione è la consulenza svolta in maniera dialogica, narrativa ed empatica: chi arriva deve poter trovare un luogo di risonanza e vicinanza emotiva senza giudizio o pregiudizio. Proprio per la peculiarità di interfacciarci con le famiglie, alcuni ambiti rientrano nel nostro orizzonte d’intervento: la scuola primo fra tutti.
Pedagogia Valle Olona si occupa di integrare all’interno degli incontri educativi lo spazio scolastico che molte famiglie, con bambini e adolescenti, riportano come fonte di difficoltà e scontro nella vita quotidiana. A fronte di questa nota l’educazione scolastica è un programma necessario per offrire un’alternativa di confronto per esternare il proprio vissuto emotivo di molti studenti e studentesse con l’obiettivo di costruire un maggior benessere scolastico, personale e quindi familiare.
Da ultimo, lo spazio autismo è una realtà che offriamo per sostegno e supporto a genitori, educatori, insegnanti e chiunque vuole condividere la vita dentro l’esperienza della neuro diversità e raccontare che cosa com-porta ed esserci per accoglierne il racconto.
Siete un centro di consulenza pedagogica/educativa per famiglie e genitori. Quanto la pandemia ha accentuato le problematiche nella relazione tra giovani e adulti?
La pandemia ha certamente acuito e intensificato i nodi più sintomatici di una “disregolazione” nella comunicazione, nella sensibilità a stare con l’altro e a “reggere” una situazione soverchiante, costringente e imprevista come quella sperimentata dal 2020. Il carico emotivo sui bambini e le bambine vissuto a scuola sono stati notevoli dalla gestione degli spazi, dei tempi, delle distanze e di una didattica non sempre alla portata di tutti e per tutti. Questa fatica è stata vissuta da numerose famiglie che, a loro volta, presentavano preoccupazioni lavorative, di salute e dell’influenza retroattiva delle comunicazioni negative di mass media e social.
Nel periodo del lockdown è arrivata per esempio la richiesta di un incontro sulla tematica del confronto intergenerazionale da parte di una realtà territoriale che chiedeva una lettura proprio della situazione complessa e indecifrabile del legame tra nonni e nipoti. Emerse un desiderio di partecipazione, aiuto e conforto non solo verso i nipoti considerati spesso distanti ma soprattutto la possibilità di essere ascoltati come nonni in un periodo ancora più travolgente nel ridurre le relazioni e aumentare la solitudine.
Quali sono, più in generale, i problemi comportamentali/relazionali più frequenti rispetto ai quali intervenite?
I problemi con cui ci interfacciamo sono spesso manifestati da sintomi che sono indicatori di una problematica educativa e più precisamente di una mancanza di alfabetizzazione emotiva. Il comportamento e la relazione, attraverso un percorso pedagogico, possono nutrirsi di alternative che la carenza di competenze emotive rendono fragili e amplificano la rottura relazionale.
Con grande frequenza nelle famiglie si riscontra una catena generazionale di legami affettivi in cui, per ragioni anche dettate da contesti sociali e storici, l’aspetto emotivo non era “visto” e il “sentire” di un adulto come di un bambino non trovava parole, immagini o una storia per dirsi. Questa privazione genera una serie di problematiche, disturbi e difficoltà che compromettono a vari livelli il benessere psicofisico che, dagli studi, sappiamo deriva da una buona integrazione della nostra mente incorporata. Parafrasando un noto testo: il corpo accusa il colpo.
Che ruolo ha in questo senso la pedagogia narrativa?
Per pedagogia narrativa si intende una modalità di diventare “storykeeper” per coloro che cercano di narrare sé stessi e quindi esprimere la propria voce. Il pedagogista raccoglie ed è testimone di narrazioni che scavano in profondità per cercare di ritrovare sé stessi oppure di dare forma e posto a eventi che possono essere soverchianti in un determinato periodo o età della vita. Una pedagogia è narrativa quando lascia che la “giusta via” si costruisca anche per tentativi per eliminare tutto quello che in realtà è finzione o protezione per non sentire la gravità, il dolore di certe situazioni. Tuttavia molto spesso questo crea un cortocircuito tra la realtà e la “maschera” che scegliamo di indossare per non sentire. Quando invece si è pronti e soprattutto non soli, si può raccontare tutto, anche le esperienze più traumatiche, per integrare le nostre memorie e il nostro sentire autentico. Per ritrovarci interi e non a pezzi. In questo il gioco, la scrittura, l’arte sono un prezioso alleato per entrare dentro i nostri ricordi e le paure in maniera graduale, sentendosi al sicuro e compresi.
Quanto ed in che modo le discipline artistiche sono di supporto alle vostre attività? Con quali benefici?
Come anticipato, le discipline artistiche sono uno strumento prezioso da utilizzare con bambini, ragazzi e adulti. Il gioco per esempio ha un’enorme potenzialità perché pur essendo spesso considerato puerile ha il potenziale per ricreare daccapo, per cercare un senso e trovare il legame che si stava smarrendo, magari con le persone più care. Con bambini e adolescenti giocare permette di immaginarsi addentrandosi anche nelle paure e trovare, insieme ad un testimone, la cura e il tono giusto per rimodulare le ferite emotive.
Con la scrittura invece è possibile dare corpo così come con la pittura al proprio mondo interiore senza valutazioni ma avvicinandosi con la curiosità di esplorare un viaggio speciale e unico. L’esperienza di poesia e scrittura come laboratorio per bambini era stato molto interessante, qualche tempo fa, perché dimostrava ancora una volta la capacità infinita che hanno i bambini di dire, quando non vengono forzati ad esprimersi dentro le righe o dentro i quadretti. Un’esperienza che i bambini stessi riportavano come incredibile perché sentivano di poter attingere da un luogo profondo che dà quasi la vertigine ma di cui percepivano la magia e lo spazio sacro perché fatto d’intimità e del loro sé più vero.
Queste esperienze con gli adulti sono più difficili perché bisogna riabituarsi a giocare, a non sentirsi ridicoli e superare il primo imbarazzo. I benefici che se ne traggono sono comunque diversi ma, recuperando il discorso iniziale della ciclicità, ogni percorso ha i suoi tempi e le sue tappe. L’efficacia di un percorso pedagogico non può essere misurata con una tempistica e con l’efficientismo di una riuscita ad ogni costo. Molto spesso un percorso affronta momenti di crisi, di passi in avanti e momenti di stallo come una storia o un’avventura. I bambini vedono, per esempio attraverso la pratica del book sharing, una riproposizione dei pezzi che potranno servirgli per venire a capo della loro stessa storia. Come i personaggi che amano di più nei libri o nei fumetti, traggono la convinzione che il racconto dovrà e potrà continuare non se trovano una risposta ma se potranno mantenere il legame. In questo caso, il potere della lettura condivisa è strutturare un legame che dica “non sei solo”: questo è molto importante per sostenere il filo di un contatto positivo.
Avete aderito al network di “Cultura è Salute”. Quali valori ne condividete?
Condividiamo la necessità di promuovere l’umanizzazione e l’attenzione ai bisogni di cura, rispetto e personalizzazione nei luoghi di cura. La cultura nelle sue differenti forme e sfumature è imprescindibile per garantire valore umano ai professionisti sanitari che affiancano pazienti e le loro famiglie dentro contesti e situazioni che solo il prendersi cura unito alle terapie può trasformare in ambienti vitali e non spersonalizzanti.
Crediamo anche che la salute sia un complicato intreccio che crei in ogni vita una trama irripetibile e che abbia risorse invisibili, non sfruttate quando tutte le attenzioni vengono riposte nella categorizzazione di un sintomo o di una malattia dimenticando che cos’altro si può vedere, toccare con mano, scoprire restando al fianco di chi ancora ha qualcosa da raccontare, fosse anche solo la sua sola presenza.