18 Settembre 2024
A cura Marianna Rillo, ufficio legale Club Medici.
A pochissimi giorni dall’inizio delle lezioni ordinate in presenza è forte la pressione sul tema vaccini.
La vaccinazione anti COVID-19 nella fascia d’età pediatrica ed adolescenziale crea naturale disordine e confusione. Dal 16 agosto, l’Italia ha aperto alla possibilità di vaccinare anche i ragazzi dai 12 ai 18 anni per consentire un ritorno nelle aule in completa sicurezza. Tante e contrastanti sono, però, le notizie che arrivano dal mondo scientifico.
Se da un lato, infatti, il vaccino è indicato come possibile panacea e, comunque, come strada obbligata da percorrere per raggiungere l’obiettivo del superamento della pandemia, dall’altro non mancano le voci più scettiche che, soprattutto con riferimento ai più piccoli, evidenziano le possibili problematicità future della vaccinazione, finanche arrivando a stimare come superiori i rischi conseguenti alla somministrazione del vaccino rispetto a quelli riconducibili all’infezione in tale fascia d’età. Eppure, in ragione della diffusione delle più recenti e temute varianti, anche i numeri che interessano i pazienti più giovani iniziano a preoccupare, attesa la verificata presenza di gravi complicanze renali e/o multisistemiche, oltre che alla ormai nota sindrome MIS-C, riscontrata tanto nei casi di contagio asintomatica quanto in quelli di infezione pauci.
In un tale contesto, in cui anche le indicazioni scientifiche e terapeutiche si susseguono senza offrire assolute rassicurazioni, è inevitabile la percezione della disponibilità di informazioni poco chiare, alla luce delle quali assumere determinazioni rilevanti per la propria salute. E se tale stato di dubbio interessa l’adulto che debba prendere decisioni per sé, a maggior ragione si può comprendere come esso possa influenzare il genitore che debba assumerle per il proprio figlio.
Così, dal momento in cui per partecipare alla campagna vaccinale è necessario il consenso di entrambi i genitori – atteso che si tratta di una decisione di natura straordinaria e in quanto tale da assumere congiuntamente – inizia a diventare prassi il ricorso ai tribunali, perché un giudice terzo possa decidere nell’interesse del minore.
Gli strumenti messi a diposizione sono diversi.
Nel caso di genitori separati, qualora questi non riescano a risolvere il conflitto in famiglia, la via obbligata è quella del ricorso ex art. 709 ter c.p.c. e competente sarà il giudice della separazione.
Nel caso di genitori non separati, la competenza è attribuita al tribunale per i minorenni che verrà adito tramite ricorso ai sensi dell’art. 336 del c.c.
Il giudice qualora lo ritenga opportuno può decidere di avvalersi della competenza tecnica di un medico pediatra o un esperto in materia vaccinale, un virologo piuttosto che un immunologo. Al consulente sarà chiesto di pronunciarsi sulla opportunità, nel caso specifico analizzata la singola fattispecie, ad effettuare il vaccino.
Dunque, in caso di conflitto tra genitori, separati o meno, sarà comunque l’Autorità Giudiziaria a dirimere questo tipo di controversie e a sostituirsi nell’esercizio della responsabilità genitoriale.
Come i tribunali tendando a risolvere tale tipo di questioni è invece altra storia.
A fronte di situazioni in astratto non dissimili, in caso di disaccordo della coppia, la giurisprudenza ha negato l’autorizzazione del vaccino al minore. Lo ha fatto, ad esempio, nei casi di vaccini contro il papilloma virus o la meningite, sul presupposto che non esistesse un grave pregiudizio per la salute del piccolo vista la scarsa diffusione delle malattie in questione sul territorio nazionale[1].
Muovendo da queste premesse, ci si potrebbe aspettare, accertata l’assenza di univoche tesi scientifiche in punto di vaccini, soprattutto nelle fasce di età più giovani e considerando che il vaccino anti COVID-19 non è obbligatorio, il raggiungimento della stessa conclusione.
Tuttavia le pronunce che per prime si sono occupate della questione (in ultimo, v. Tribunale di Monza, decreto del 22 luglio 2021) si sono espresse in termini diametralmente opposti valorizzando il dato (difficilmente contestabile) della facilità di contrarre il virus, soprattutto nelle sue varianti, così autorizzando la somministrazione del vaccino anche se voluta da uno solo dei genitori.
Ciò anche in ragione dell’argomento (già speso dal Trib. di Trento[2]) secondo il quale i “programmi vaccinali tutelano l’incolumità sanitaria non solo individuale ma anche comunitaria e per questo devono essere autorizzati”[3].
Il principio, quindi, è che in caso di lite tra genitori in materia vaccinale, debba sempre prevalere l’interesse del minore e della collettività. La giurisprudenza è in questo senso fin troppo chiara: “qualora vi sia un concreto pericolo per la vita o per la salute del minore (per la gravità e la diffusione del virus) e vi siano dati scientifici univoci che quel determinato trattamento risulta efficace, il giudice potrà sospendere momentaneamente la capacità del genitore contrario al vaccino” [4].
Il tema è evidentemente complesso e trascina con sé questioni alle quali non è facile (e probabilmente nemmeno possibile) offrire soluzione.
Ad esempio: tra tesi che caldamente invitano al vaccino e altre che più freddamente ne evidenziano i limiti, come sceglie il giudice? Quando autorizza il vaccino del minore nonostante alcuni contributi scientifici che non lo suggeriscono in giovane età, tutela l’interesse del minore o quello della collettività, che in questo modo vedrebbe neutralizzato (se di neutralizzazione vuole parlarsi, attesa l’idoneità a contagiare anche dei vaccinati) un altro possibile vettore di contagio?
Nemmeno potrebbe dirsi che il giudice in questi casi decide applicando la legge; semplicemente perché – come già detto – il vaccino anti COVID-19 non è obbligatorio, per quanto fortemente suggerito anche dal governo.
Quanto detto, poi, all’evidenza non basta ad esaurire il tema. Ne abbiamo discusso in termini di conflittualità genitoriale. Ma non è da escludere che, ferma e comune la volontà dei genitori, sia il minore a volersi diversamente determinare.
Anzi, anche gli scontri tra genitori e figli sul tema della sottoposizione al vaccino anti Covid-19 sono numerosissimi e hanno raccolto grande clamore mediatico. A segnalarlo è stato il Presidente dell’AMI, Associazione degli Avvocati Matrimonialisti della regione Toscana, Prof. Avv. Gianni Baldini.
In ipotesi del genere va certamente considerata la volontà del minore, la cui posizione può essere rappresentata al tribunale competente su ricorso dell’istituto scolastico o di altra istituzione vicina che, valutata la fattispecie, può interessare il servizio sociale territoriale. L’attivazione della procedura può avvenire anche rivolgendosi al Garante dell’infanzia e dell’adolescenza o all’Ufficio Interventi Civili della Procura minorile, che permetterà al minore di mettere per iscritto le sue dichiarazioni, consentendo alla Procura di chiedere l’apertura di un procedimento presso il tribunale per i minorenni. Innanzi a questo sarà quindi nominato un curatore speciale che sosterrà l’istanza del minore contro i genitori. La complessità della procedura descritta, però, di certo incide anche sulla sua effettiva praticabilità.
In ogni caso, quel che resta è la necessità di coinvolgere il minore nella decisione circa la sua stessa vaccinazione. Il valore dell’opinione espressa dal minore è fondamentale, e a questi fini è senz’altro rilevante l’istituto dell’ascolto.
L’ascolto dei minori, nei giudizi in cui si devono adottare provvedimenti che li riguardano, è oggi regolato nell’ordinamento civile italiano dagli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c.[5] A livello internazionale, invece, il riferimento principale è offerto dalla Convenzione di New York del 1989, dalla Convenzione di Strasburgo del 1997, oltre che dalla Costituzione Europea e, più di recente, dal Reg. UE 219/1111.
In via di massima sintesi, il diritto ad essere ascoltato spetta al minore che abbia compiuto i 12 anni, ovvero anche a quello di età inferiore che dimostri capacità di discernimento.
Il coinvolgimento del minore, attraverso la manifestazione delle proprie intenzioni e volontà, diventa senz’altro uno degli strumenti utili ai fini dell’adozione del provvedimento “migliore”, quello cioè che maggiormente tenga conto e sia in linea con il c.d. “best interest of the child”.
Nelle maglie dell’ascolto, però, si celano non poche insidie.
Rimanendo al tema della determinazione al vaccino, ad esempio, fino a che punto è misurabile la capacità di discernimento? Innanzitutto, in effetti, ci sarebbe da valutare fino a che punto un minore possa essere considerato davvero capace di mettere ordine consapevole tra la miriade di suggerimenti, indicazioni, raccomandazioni e relative smentite che inevitabilmente di questi tempi ingessano anche il ragionamento di soggetti più maturi. Inoltre, il minore che voglia vaccinarsi contro la volontà dei genitori, ad esempio, potrebbe dimostrare di essere ben consapevole dei possibili rischi di tale scelta, sì da orientare verso l’autorizzazione il giudice che lo ascolti. E tuttavia tale sua decisione potrebbe essere il frutto di – certamente comprensibili – stati emotivi, in quanto tali non definitivi: il desiderio di tornare ad abbracciare i compagni, quello di un tenere bacio alla propria fidanzatina, la voglia di scendere in campo con la propria squadra di calcio. È giusto ed è possibile – anche con il dovuto aiuto di esperti – considerare il peso di tali variabili nella volontà del minore che chieda l’autorizzazione?
E ancora, ma in ottica opposta: si può imporre al minore la scelta della vaccinazione maturata dai genitori? Se è vero, come da alcuni sostenuto, che non è da escludere che la vaccinazione possa portare effetti collaterali non ancora ben noti – tutti destinati alla possibile comparsa sul lungo periodo – è giusto accettare l’idea che si possa imporre ad un minore una scelta che potrebbe scontare a distanza di molti anni?
È evidente che quelle offerte sono solo poche e sintetiche occasioni di spunto.
Certamente, l’ascolto potrebbe dimostrare maggiore utilità nel caso di ragazzi prossimi alla maggiore età, già in quanto tali tendenzialmente più in grado di orientare consapevolmente le proprie scelte (come del resto testimoniano facoltà loro riconosciute in altri ambiti, come ad esempio contrarre matrimonio o riconoscere figli).
Ma resta il fatto che la volontà di ciascuno, e quindi a maggiore ragione quella di un minore, è in continua evoluzione, destinata com’è a mutare in base alle esperienze personali e al modo, necessariamente intimo, di viverle. Questo impone di valutarla con prudenza, perché la decisione giudiziale giusta è quella capace di raccogliere, pesare e complessivamente misurare i dati rilevanti.
Il tema della vaccinazione anti COVID-19 è ben lontano dal potersi considerare definito dal punto di vista scientifico. Gli studi sono ancora ampiamente in corso e tutto è ancora da verificare. In un tale contesto non possiamo sapere con certezza se il ricorso all’equazione “vaccino = più salute per tutti” sia la scelta più giusta. Di questo anche i tribunali dovrebbero tenerne conto, differenziando i casi e le fattispecie, a rischio di appiattirsi nell’affermazione di una regola stereotipata o solo politicamente corretta.
[1] Trib. di Milano sezione IX civile, ordinanza deposita il 9 gennaio 2018
[2] Trib. di Trento, decreto del 20 luglio 2020
[3] Così anche il Consiglio di Stato sezione III, 21 aprile 2017 n.1662
[4] Trib. di Roma 16 Febbraio 2017, C. Appello di Napoli 30 agosto 2017, Trib. di Milano17 ottobre 2018
[5] Introdotti dalla l. 219/2012 e dal d.lgs. 154/2013