Covid

Tumore del colon-retto: una storia di ordinaria follia!
di MAURO PONZO

18 Settembre 2024

È tuttora in vigore una legge (388/00), che, al comma 04 dell\’art. 85, prevede la possibilità, per gli ultracinquantenni, di eseguire una colonscopia quinquennale, addirittura in esenzione ticket (cod. prescrittivo D04), per la prevenzione del cancro del colon. Ma il codice D04, probabilmente per ragioni di economia, è stato “sospeso” in sordina dalla Regione Lazio, nel senso che, pur lasciando il codice attivo solo sulla carta, il MMG non ha fattivamente la possibilità di emettere una prescrizione con tale codice. Il Dottor Mauro Ponzo ci racconta la storia di un paziente, che ha vissuto un vero e proprio calvario. 

C’è un cittadino romano sessantenne in ottima salute, che ci tiene molto a mantenerla tale e che, per comodità, chiameremo Paride. Esegue annualmente alcuni esami clinici, strumentali e di laboratorio, pagando il ticket o, ove necessario e ove possibile per il suo portafoglio, pagando di tasca propria l’intero importo richiesto. Inoltre cerca di avere una vita tranquilla e di seguire una dieta sana ed equilibrata, perché non vuole ammalarsi, almeno finché e per quanto potrà evitarlo. È un cittadino esemplare, corretto, istruito, che paga regolarmente le tasse, che si informa sul mondo che lo circonda e che conosce i suoi doveri ma anche i suoi diritti. Ha letto che il tumore del colon-retto è in aumento in tutto il mondo, che compare ad età sempre più basse e che, comunque, soprattutto dopo i 50 anni, il rischio di esserne affetto cresce notevolmente. Ha appreso anche che la prevenzione di tale tumore è attuabile con certezza solo attraverso un esame colonscopico ogni cinque anni circa. Infatti, l’alternativa, cioè l’esecuzione della ricerca della presenza di sangue occulto nelle feci, eseguita annualmente o biennalmente, può dare falsi positivi e, soprattutto falsi negativi, dato che le lesioni benigne (e, a volte, anche le maligne) non sempre sanguinano; inoltre una positività potrebbe indicare un cancro già in atto e, quindi, più che di una “prevenzione”, si tratterebbe, in questo caso, di una “diagnosi precoce”: le due cose, a livello terapeutico e di aspettativa e di qualità di vita, nonché di costi, non sono la stessa cosa.

La c.d. “colonscopia virtuale” non è sicura al 100% e, soprattutto, nei casi dubbi dovrà esser seguita da quella ordinaria. Viene a sapere che, al riguardo, sorprendentemente, lo Stato ha pensato a lui con la legge 388 del 2000, che, al comma 04 dell’articolo 85, recita testualmente al punto 4: “A decorrere dal 1° gennaio 2001…(omissis) sono escluse dalla partecipazione al costo e, quindi, erogate senza oneri a carico dell’assistito al momento della fruizione, le seguenti prestazioni specialistiche e di diagnostica strumentale e di laboratorio, finalizzate alla diagnosi precoce dei tumori dell’apparato genitale femminile, del carcinoma e delle precancerosi del colon retto: a. (…omissis..) c. colonscopia, ogni cinque anni, a favore della popolazione di età superiore a quarantacinque anni e della popolazione a rischio individuata secondo criteri determinati con decreto del Ministro della sanità. Si prevede il codice prescrittivo e di esenzione D04

Perbacco, pensa Paride, allora posso farmi subito prescrivere una colonscopia preventiva dal mio MMG, addirittura senza neanche pagare il ticket. Va sul sito della Regione Lazio, vede che il codice di esenzione D04 è attivo e valido e, così, si reca dal proprio MMG e gli chiede la prescrizione di una colonscopia con tale codice: il MMG prova a emettere la prescrizione, ma il sistema informatico regionale, inspiegabilmente, non glielo permette. Un po’ contrariato comincia allora ad informarsi e a far domande: viene a sapere che la Regione Lazio, con la Delibera del Commissario ad Acta (DCA) n. 30 del 2017, suffragata da evidenze scientifico-statistiche ad hoc, ha stabilito che la prevenzione del cancro del colon, nel Lazio, debba avvenire solo con un protocollo basato sulla ricerca biennale del sangue occulto fecale. In caso di esito negativo si rimanda tutto alla successiva ricerca; mentre, in caso di esito positivo, il soggetto viene richiamato e uno specialista in gastroenterologia lo sottoporrà ad una anamnesi e ad una visita, in esito alla quale potrà decidere di rimandare tutto ad un controllo successivo, ovvero di indirizzare ad un esame colonscopico.

In via “ufficiosa”, peraltro, viene a sapere che (sembra che) il codice D04 è attivo, ma solo alcuni medici specialisti ASL potrebbero usarlo, ma non riesce a trovare da nessuna parte il testo di tale disposizione. Il nostro inappuntabile quanto testardo cittadino suppone allora – dato che nel DCA non se ne parla – che la Regione abbia annullato o, quantomeno, limitato “in sordina” e in modo ufficioso il codice D04 e, in sua vece, abbia adottato il protocollo del DCA. In sostanza una legge dello Stato sarebbe stata disattesa attraverso una delibera regionale. A Paride sorgono alcune domande. Perché è stato fatto? Per motivi puramente economici, pur se “mascherati” dietro citazioni scientifiche, sicuramente valide, ma che si basano su statistiche matematiche di rapporto tra costi e benefici, cioè diagnosi di tumore (il noto pollo di Trilussa, anche se non credo che a qualcuno piacerebbe essere quell’uno su tanti che si ritrova con un cancro perchè il “protocollo” ha fallito)? Ed infine, può una delibera regionale annullare o limitare una legge dello Stato?

Il nostro simpatico romano, però, non demorde e, sulla base di quanto ha letto, desidera eseguire comunque una colonscopia. A questo punto non gli restano che due strade da seguire: la prima è quella di farsi prescrivere l’esame su ricetta “bianca” ed eseguirlo privatamente a pagamento, ma scopre che gli costerebbe dai 500.00 ai 1.500.00 euro, cui aggiungere, eventualmente, altri 100.00- 200.00 euro per la sedazione profonda, fortemente “consigliata” e, in alcuni centri, persino imposta. La seconda è quella di riuscire a convincere il suo MMG a prescriverla attraverso il SSN, inserendo una diagnosi motivazionale fittizia. Il MMG è uno di quelli “vecchio stampo”, ormai sempre più rari a trovarsi; conosce Paride da oltre trent’anni, sa che è una persona corretta non usa ad approfittare delle situazioni, ma che non può permettersi di pagare di tasca propria la colonscopia; inoltre anche lui, un po’ contrariato dalla situazione e ancora fedele al giuramento di Ippocrate fatto tanti anni prima, ritiene che la colonscopia, peraltro prevista dal legislatore nazionale, sia l’esame preventivo migliore da eseguire, come anche riportato in numerosi articoli scientifici a lui noti, e, in definitiva, la scelta migliore per il suo paziente.

Accetta, quindi, di prescrivere una colonscopia su ricettario regionale, con una diagnosi che comporta, però, il codice di priorità “P”, cioè esame programmabile, per evitare di creare un danno ad altri pazienti più bisognosi di eseguire l’esame in tempi brevi. Con la sua prescrizione in mano il nostro amico pensa finalmente di aver risolto il suo problema, ma non è così e se ne accorge quando prova a chiamare il CUP regionale per prenotare l’esame. Prova per giorni a chiamare, ma la risposta è sempre la stessa: “nessuna disponibilità in tutto il Lazio per i prossimi mesi; provi a chiamare continuamente, perché può darsi che riceveremo qualche rinuncia”. È evidente che tale risposta equivale ad ammettere, senza però dirlo esplicitamente, che le liste sono chiuse, altrimenti avrebbero potuto dare un appuntamento, ad esempio, fra un anno!

La chiusura delle liste è espressamente vietata e rappresenta anche un reato penale (L. 266/05, Finanziaria 2006 art. 01 comma 282), di cui risponde il DG della ASL o della struttura, ma, con questo piccolo stratagemma si bypassa la cosa. Il nostro “informatissimo” è indeciso se denunciare la cosa alla Procura della Repubblica, ma, intanto, scopre che esiste un Piano Nazionale Gestione Liste di Attesa (PNGLA) 2019-2021 (in sostituzione di quelli precedenti, completamente e bellamente sempre disattesi da tutti, addirittura con la presa in giro, per ogni PNGLA pubblicato, di una relazione a fine triennio da parte di apposita Commisione, che ne certifica regolarmente il fallimento), recepito anche dalla Regione Lazio (PRGLA), che per il codice “P” prevedono un’attesa massima di 180 giorni dalla richiesta (a gennaio 2021 ridotti a 120 giorni dal Manuale R.A.O.) e recitano quanto segue: il punto 6 del PNGLA 2010-2012, sostanzialmente identico a quello del 2019 (“Le prestazioni erogate in regime libero professionale dai professionisti in favore dell’azienda, (omissis) costituiscono un ulteriore possibile strumento per il governo delle liste ed il contenimento dei tempi d’attesa,(omissis) allorquando una ridotta disponibilità, anche temporanea, di prestazioni in regime istituzionale metta a rischio la garanzia di assicurare al cittadino le prestazioni all’interno dei tempi massimi regionali . Questa libera professione “aziendale” andrà concordata con i professionisti e sostenuta economicamente dall’azienda, riservando al cittadino solo la eventuale partecipazione al costo (ticket)”) – il PRGLA 2016-2018 per il Lazio in premesse ed in particolare al punto 6 comma “f” (“Interventi regolatori con eventuali riduzione o sospensione delle attività di LP intramoenia nei casi in cui i tempi di attesa dell’attività istituzionale superino, in modo sistematico e rilevante, quelli massimi indicati dalla programmazione regionale di 30/60 giorni per la priorità ‘D’ e di 180 giorni per le priorità ‘P’; ..omissis).

In base a tali disposizioni, ovviamente neanche accennate dal call-center al povero Paride (altra violazione delle norme e dei diritti del cittadino, oltre alla limitazione del codice D04), qualora la prenotazione non fosse stata possibile ordinariamente entro 120-180 giorni, la ASL avrebbe dovuto “attivarsi”, anche su richiesta (che il nostro, ovviamente, ha inutilmente inoltrato), per permetterne l’esecuzione in regime di convenzione attraverso altri canali e con spesa a carico ASL. A questo punto potete immaginare il senso di frustrazione e di rabbia che si stava facendo strada nell’animo del nostro amico, quando gli è stato detto che esisteva una sanità convenzionata, apparentemente efficiente, parallela a quella pubblica, evidentemente inefficiente. Attraverso prenotazione diretta ha ottenuto, così, senza grossi problemi, l’agognata prenotazione entro i 180 giorni previsti. Quando, finalmente, ha potuto eseguire la sua colonscopia (fortunatamente negativa), parlando con il personale addetto, ha saputo che in quella struttura un solo endoscopista e tre infermieri, lavorando 8 ore al giorno, riuscivano ad eseguire, in assenza di gravi complicazioni, anche oltre 15-17 endoscopie al giorno.

Allora il suo pensiero è andato ad un articolo precedentemente letto, circa le prestazioni pubbliche: un centro endoscopico con 2 sale, 2 operatori e 6 infermieri, lavorando 12 ore, dichiarava di eseguire un massimo di 17-20 endoscopie al giorno e per ogni esame veniva stabilito un tempo “sindacale” di esecuzione di: 45′ per una colonscopia non complicata (quando bastano 20′) e ben 30′ per una gastroscopia non complicata (quando ne bastano 10′-12′). Questo può spiegare, in parte, per quale motivo le liste di attesa pubbliche siano eterne. Dulcis in fundo, alla struttura convenzionata la Regione, per motivi di budget, pare contingentasse gli esami eseguibili in convenzione, limitandone quindi le potenzialità, anche ai fini della riduzione delle liste d’attesa regionali.

Tutto questo è accaduto al povero Paride in epoca pre-COVID; quindi, con molta probabilità, oggi le cose potrebbero essere notevolmente peggiorate. Paride ha deciso di eseguire fra qualche anno un’altra colonscopia e – come cantava Lucio Dalla – “si sta già preparando per l’anno che verrà”. Per concludere questa storia kafkiana viene da fare un’ultima considerazione: le ultime raccomandazioni negli USA consigliano una colonscopia ogni cinque anni circa a partire dai 40 anni, in considerazione del notevole aumento dell’incidenza di cancro del colon, anche in persone al di sotto dei 30 anni. Inoltre stime ufficiali del 2019 riportano che “un incremento dal 13 al 50% di diagnosi di tumore al I° stadio si tradurrebbe in 130.000 vite salvate ogni anno e in un sensibile aumento del numero dei pazienti con un’aspettativa di sopravvivenza al 90%”: figuriamoci un incremento delle diagnosi di tumore allo “stadio 0” attraverso colonscopia! Fermo restando che l’esecuzione di una colonscopia preventiva in base alla Legge 388/00 sarebbe volontaria (e non so quante persone in pieno benessere sarebbero disponibili a farla, visto che la popolazione risponde, sembra, in modo non troppo entusiastico anche ai semplici screening del sangue occulto) e non impedirebbe di eseguire anche gli screening biennali; la “prevenzione” solo con questi ultimi potrebbe portare ad un incremento di spesa, dovuto alla cura dei tumori colorettali “non prevenuti” e divenuti conclamati, di gran lunga maggiore di quella “risparmiata” con la limitazione del codice D04.