18 Settembre 2024
Chiudere tutto e subito per non ritrovarsi di fronte ad un film (purtroppo) già visto. L’appello del Presidente OMCeO di Bergamo, che sollecita anche interventi urgenti di potenziamento del Ssn.
L’Ordine nazionale dei medici ha recentemente chiesto di ricorrere ad un lockdown nazionale per frenare l’impennata di contagi da Covid. Lei è favorevole?
Sembra che stiamo andando in quella direzione e secondo me bisognerà arrivarci: prima ci si arriva e prima si blocca l’infezione che sta diventando veramente drammatica. La gestione delle tre diverse aree, dividere il Paese a blocchi, mi sembra di difficile attuazione. Ricordo quando a marzo bisognava bloccare i comuni di Nembro ed Alzano e non si riuscì a farlo dunque anche adesso mi sembra piuttosto complesso diversificare per aree. Fermare il Paese “a pezzi” è francamente impensabile, credo sia una strategia destinata all’inefficacia. Avrebbe più senso chiudere tutto per azzerare tutto e ripartire daccapo, come avvenne nei mesi scorsi, poiché il virus ci mette un po’ di tempo a ricominciare a diffondersi. Ora è necessario un segnale forte! Ricordo che a gennaio, purtroppo, non ci accorgemmo in tempo di quello che stava per succedere, ma ora siamo forti della prima esperienza e sarebbe folle ripetere gli stessi errori del passato. Stiamo monitorando quotidianamente l’aumento dei casi con i tamponi e ci rendiamo conto che, se i positivi continuano a salire, la situazione diventerà presto ingestibile. Ora abbiamo più conoscenza rispetto a prima quindi usiamo quest’arma della conoscenza come strumento a nostro favore: la divisione in tre aree è complicata! Penso a Bergamo, che ha una situazione difficile, ma fortunatamente non drammatica, ed è stata già dichiarata “zona rossa”. Poi vedo in tv le immagini che arrivano dalla Campania, che non è “zona rossa”, dove le persone passeggiano sul lungomare. Insomma qualcosa non funziona!
Lei ha vissuto in prima persona il dramma di Bergamo durante la prima ondata. Cos’è cambiato rispetto a prima? Siete maggiormente attrezzati per vincere questa battaglia?
Adesso abbiamo la possibilità di fare contact tracing, ma fino ad un certo punto, perché in certe aree i numeri sono già talmente alti che mi sembra di vedere un film già visto a marzo. Durante la scorsa primavera il Covid è stato un’unica grande fiammata, che ha coinvolto principalmente il Nord, ma adesso è come se vedessimo accendersi tante diverse fiammelle, che potrebbero ugualmente far divampare un grande incendio non domabile. Cambiano le modalità, ma l’emergenza è sempre la stessa. Purtroppo in questi mesi non è c’è stato un sostanziale potenziamento del Ssn: qui da noi i medici di famiglia sono addirittura meno di prima perché molti di loro sono andati in pensione e i sostituti sono dei precari. Questo preoccupa perché i medici di famiglia disponibili si ritrovano a fare fin troppe cose: ci sembra di rivivere la stessa situazione, c’è un carico enorme sugli ospedali, sui pronto soccorso che sono al limite della tollerabilità, ed il carico è insostenibile anche per gli stessi medici di famiglia. La differenza rispetto a prima è che ci sono molti pazienti che hanno sintomi lievi e quindi rimangono a casa, dove sono curati a distanza dai medici di famiglia. Certamente gli strumenti sono aumentati: ora abbiamo molte piattaforme di tele monitoraggio, che seguono tanti pazienti a domicilio, poi le Usca danno una mano, ma resta il fatto che il medico di famiglia deve essere operativo 24 ore su 24, con un carico enorme di lavoro, e a volte costretto a svolgere altre attività extra senza alcun aiuto sostanziale.
Bergamo è diventata nei mesi scorsi la città simbolo della pandemia qui in Italia. Cosa ha insegnato la prima esperienza ai cittadini?
Avrebbe dovuto insegnare a tutti che questo virus esiste davvero. La gente ha visto le immagini delle bare, ma le ha viste in tv, e forse da fuori sembrava un film più che la realtà. Qui a Bergamo invece tutti hanno purtroppo avuto almeno un parente o un conoscente morto per Covid quindi la gente sta ben attenta, si rispettano le regole alla lettera, si sta a casa il più possibile. Aver vissuto questa drammatica esperienza in prima persona fa la differenza. Inoltre si sta facendo passare il messaggio che i malati Covid si dovrebbero curare a domicilio, ma questa è un’enorme stupidaggine! Io ho avuto il Covid, ma sono stato dieci giorni a letto con la febbre e mi sono potuto curare a casa. Cosa dobbiamo dire invece a quei malati che hanno bisogno di supporto di ossigeno perché hanno dei sintomi molto più gravi? Cosa devono fare? Starsene a casa? Urge il ricovero per poter trattare correttamente i pazienti più deboli o in gravi condizioni. Dire che queste persone devono stare a casa, è assolutamente sbagliato. I medici di base sono meglio attrezzati di prima, ma non possono occuparsi di tutto: le protezioni individuali ora sono presenti e c’è una migliore fornitura quindi da questo punto di vista va meglio. Anche le Usca stanno lavorando molto bene e questo è un supporto importante, anche se non risolutivo. Quello che non è cambiato è stato il corretto ricambio generazionale, dopo i pensionamenti, che quindi non ha permesso di potenziare il personale ospedaliero, dai medici fino al personale infermieristico ed amministrativo.
Tra l’altro proprio il personale sanitario è perennemente a rischio burnout. Nel frattempo tanti pazienti non Covid vivono una condizione psicologica molto pesante. Club Medici sta promuovendo il portale di “Cultura è Salute” per ribadire il forte nesso tra cultura e benessere. Come valuta l’iniziativa?
La cultura è da sempre uno strumento fondamentale per ognuno di noi: aiuta le persone a riflettere meglio, ad interpretare meglio la realtà circostante e quello che accade nel mondo, a farsi un’opinione. Mi viene in mente Alessandro Manzoni, quando affronta il tema della peste, e se ci pensate al giorno d’oggi viviamo una situazione analoga con il Covid. Con questo esempio voglio dire che la cultura è sempre stata insita nella storia italiana, la storia ci riporta a situazioni che ci fanno comprendere meglio quello che avviene oggi. Guardo con favore a questo progetto: uno spazio culturale permette sempre di staccare da realtà vorticose e difficili da affrontare e questo vale sia per i pazienti sia per il personale sanitario. Diversamente rischiamo solo di pensare in modo freddo e razionale, ma anche l’anima ha bisogno di rigenerarsi, proprio come la psiche.