Covid

LA CULTURA non ha età

18 Settembre 2024

Il futuro dei nostri anziani

La medicina narrativa diventa collante tra arti e promozione della salute. Il Dottor Giancarlo Martinelli, medico fisiatra e responsabile per la riabilitazione territoriale dell’Asl Umbria 1, ci ha raccontato in questa intervista il progetto che sta portando avanti da circa un anno con l’Università delle Tre età a Città di Castello, sull’invecchiamento attivo ed il coinvolgimento di persone affette da malattie degenerative.

Com’è nato il progetto ed in che modo si è rivolto agli anziani?

L’iniziativa s’inserisce all’interno di un’associazione, “l’Università delle tre età”, che a Città di Castello ha un seguito molto consistente: contiamo infatti quasi 1000 iscritti, persone di varia provenienza e varia estrazione sociale, tutti con vasti interessi culturali. Le attività sono molteplici: si va dall’insegnamento di diverse discipline fino all’attività fisica. E questo ha fatto da detonatore perché ha innescato in me questa idea: unire la cultura alla promozione della salute. I nostri interlocutori sono persone in età pensionata, che hanno ancora rapporti molto intensi con la società civile. Molto è stato incentrato sulla narrazione: la medicina narrativa, movimento culturale nato negli Stati Uniti e che ora si sta diffondendo a macchia d’olio anche in Italia, nelle malattie degenerative aiuta a migliorare molto la qualità della vita.  La medicina diventa così un sistema culturale per la costruzione di significati.

E qual è stata la reazione delle persone coinvolte?

Molto positiva. Azioni come l’ascolto, la condivisione e costruzione di un percorso terapeutico – assistenziale sono tutte ben accolte dalle persone che seguiamo. Si stabilisce con loro un rapporto durativo, che continua nel tempo. Andiamo avanti già da un anno con questo progetto e ne abbiamo già colto numerosi benefici: queste persone infatti vivevano in una sorta di isolamento domestico, non vedevano nessuno, non parlavano con nessuno. Ora invece molte di loro sono tornate ad avere una vita sociale più attiva, sono tornate ad uscire di casa dopo molto tempo. Insomma, è stato un successo. La medicina narrativa in particolare ha restituito a queste persone il desiderio di sentirsi vive. L’arte nelle sue varie espressioni come arti figurative, lettura o musica, è un supporto fondamentale durante la malattia.

Come ha gestito il progetto durante la pandemia?

Il covid ha costretto quasi tutti all’auto-isolamento: abbiamo tentato di passare all’online ma non è stato facile perché parliamo di anziani e molti di loro non hanno accesso alle nuove tecnologie o comunque hanno poca dimestichezza; ma proprio questi mesi sono stati da stimolo per pensare ad un programma futuro di iniziative che contemplino anche dei corsi sull’alfabetizzazione digitale e sull’informatica. Sono un fautore della medicina narrativa, porto avanti anche nuovi progetti come i laboratori di lettura narrativa nei reparti di oncologia perché ritengo importantissimo questo approccio nella patologia oncologica; in particolare ci concentriamo sulle donne affette da carcinoma del seno, nelle quali è dimostrato che il sostegno è fondamentale per aiutarle a mantenere un rapporto con il mondo esterno, mentre attraversano un percorso di grande sofferenza.

Alla luce di quanto detto finora, che idea si è fatto del progetto “Cultura è Salute“? 

Basti pensare a quanto è importante favorire la lettura negli ospedali: tutti hanno piccole biblioteche nei reparti e già questo è sufficiente a capire quanto queste iniziative siano di supporto al malato. Innestare un percorso di supporto psicologico attraverso la cultura facilita anche il racconto della propria storia di malattia. L’adesione a questi progetti aiuta moltissimo soprattutto le persone che hanno un’attenzione prevalente nei riguardi delle loro patologie. La cultura “produce” salute e si portano avanti queste iniziative proprio perché hanno anche dei riscontri pratici. Insisto ancora sulla medicina narrativa perché, anche tramite alcuni questionari che abbiamo somministrato, ho riscontrato una maggiore predisposizione dei pazienti ad aprirsi. Ci permette di cogliere anche alcuni aspetti legati alla storia personale del paziente e, laddove la malattia viene vissuta all’interno della storia, non è totalizzante. Grazie a questi progetti non si perde la prospettiva di una possibile guarigione e non si perdono nemmeno i legami ed i rapporti con la famiglia, la professione o il mondo esterno.

A cura di Ufficio Stampa Club Medici