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Sanità italiana: un modello in declino. Tu che ne pensi?

28 Gennaio 2025

Considerata in passato un vero e proprio fiore all’occhiello, oggi la sanità italiana sembra non passarsela troppo bene: tra liste d’attesa infinite, mancanza di posti letto, stipendi di medici ed infermieri ben al di sotto della media europea e fuga dei camici bianchi all’estero, stiamo assistendo ad una vera e propria crisi, che ci porta a parlare di un modello in declino. Ma è davvero tutto perduto? Lo abbiamo chiesto ai soci Club Medici e ai non soci per capire insieme a loro, che la sanità la vivono ogni giorno da dentro, che tipo di soluzioni si potrebbero introdurre per invertire la rotta.
Ecco alcune delle risposte più significative.

Sono parte interessata nei processi avvenuti in questi ultimi anni per la politica sanitaria adottata dai vari governi. La sanità non è in crisi da oggi, ma dagli anni ‘90, con le varie riforme – dalla Bindi in poi – che hanno finanziarizzato l’idea di SSN, con la scellerata riforma dell’emergenza, con la riduzione della rete ospedaliera, con la politicizzazione estrema delle Asl, con la demotivazione del personale, con la mancanza di una visione chiara della mission, con la burocratizzazione della medicina di base, con la soppressione di fatto delle funzioni della medicina territoriale e con l’incalzare di tagli tanto inopportuni quanto mirati all’ulteriore messa in difficoltà dell’intero sistema. Non è più tempo di pannicelli caldi; la riforma dovrebbe essere globale e sostanziale, partendo dalla “ri-responsabilizzazione” della medicina di base e dalla ricostruzione di quella del territorio per arrivare alla rifondazione della rete ospedaliera. Il tutto passando dalla rivalutazione sostanziale del personale in servizio a livello normativo e stipendiale. Senza parlare della riforma degli ordini, ormai imprescindibile. Troppi danni fatti per troppo tempo nella stessa direzione: solo casualità???

Giulio Maria Pedone, Primario ospedaliero e Direttore UOC universitaria

Sono un chirurgo di 40 anni, che ha deciso di licenziarsi dall’ospedale perché si fa una vita insopportabile, tra mancato riposo, responsabilità, ferie da elemosinare e il dover lavorare come in fabbrica per produrre più visite possibili. Ho deciso di voler diventare medico di medicina generale per poter gestire al meglio la mia vita e quello che ritengo debba essere il lavoro del medico ovvero conquistare la fiducia dei pazienti e prendermene cura senza che qualcuno mi dica che devo fare in fretta perché si devono aumentare le prestazioni. Follia. Ed ora vogliono che il medico di medicina generale diventi un dipendente a tutto gli effetti, eliminando gli unici vantaggi che aveva il medico di famiglia con il paziente? Ovvero la conoscenza, la fiducia e il poter gestire il proprio tempo nel modo che più si adegua alle caratteristiche di questo lavoro. Se mai succederà, questo lavoro (MMG) verrà distrutto, disonorato come è successo a tutti i medici ospedalieri, pezzi ormai arrugginiti e stanchi di un meccanismo infernale. Se il MMG diventerà un lavoro non più indipendente ho già preso la decisione di trasferirmi all’estero (Germania, Svizzera o Austria poiché ho il bilinguismo in tedesco) dove il medico fa ancora il medico e non l’operaio. Con profondo rammarico per cosa è diventata la figura del medico.

Carlo Salvadori, specialista in chirurgia generale

È sempre possibile migliorare. Prima di tutto è necessario aumentare lo stipendio dei medici sanitari, almeno di quelli che sono il pilastro degli ospedali: anestesisti, chirurghi internisti e dell’emergenza. Così aumenterebbero i medici negli ospedali e non ci sarebbe invece la fuga a cui stiamo assistendo.  I medici di famiglia vanno bene così in convenzione e non dipendenti; non è questo il problema anzi.
Le case di comunità sono un discorso molto valido, se costruite come si deve.

Matilde Petraroli, specialista in anestesia, rianimazione e terapia Intensiva

Penso che una cosa da fare subito per rinforzare gli ospedali e di conseguenza potenziare il territorio sia quella di rendere obbligatorio per tutti coloro che vogliono accedere alla medicina e alla pediatria di base un periodo di cinque o dieci anni in ospedale. Io partirei da qui per poi allargare il discorso a tutto il resto.

Aldo Granieri, pediatra

Con 25 anni di carriera alle spalle ho visto nel mio ospedale cose indicibili. Un susseguirsi di primati politicizzati mafiosi ed incompetenti. Degni figli della politica. Questo significa aiutare la sanità pubblica a morire e la situazione è sempre più insostenibile. Per 70 euro al giorno entri in sala operatoria e ti assumi responsabilità che nemmeno un capo di stato. Meglio chiudere! Ne ho il vomito.

Valerio Monaco, dirigente medico

In pensione dal 2018, anno in cui ho smesso del tutto la professione, da sempre ritengo che il numero chiuso abbia contribuito, alla fine, alla carenza di medici. Sono stato sempre un ospedaliero, ma ritengo che le criticità risiedano nella mancanza di riorganizzazione dei medici di base, che dovrebbero partecipare anche alla vita ospedaliera per aiutare i medici di pronto soccorso. Inutile la guardia medica che fu organizzata per dare lavoro negli anni ’70 ai medici neolaureati. Oggi non c’è più questa necessità per cui solo abolendola si renderebbero utilizzabili parecchi medici sul territorio. Nei contenziosi legali tutti possono denunciare, ma una volta che il medico è stato scagionato, parte automaticamente la controdenuncia, onde suggerirei anche di annullare parzialmente la medicina difensiva che risulta essere un ulteriore deterrente alla professione medica. Bisognerebbe poi inforzare il servizio di auto mediche.

Giuseppe Varlaro, chirurgo ortopedico

Medico di famiglia per 42 anni. Attualmente in pensione. La crisi nel settore è legata essenzialmente alla retribuzione del medico per numero di pazienti, cosa che lo costringe ad accettare continui compromessi con i pazienti, che pretendono senza mezzi termini perché “altrimenti si cambia medico”! Mettiamoci anche la burocrazia dei certificati ed i continui richiami asl e la frittata è fatta. Con la dipendenza si andrebbe al difetto estremo opposto: i cittadini non potrebbero più liberamente accedere ai servizi e si creerebbero file di attesa simili a quelle della diagnostica attuale. Una via di mezzo sarebbe la migliore da praticare: medico di famiglia retribuito con quota fissa nazionale, inserito in zone carenti ben delineate, con orario obbligatorio giornaliero più una quota variabile regionale.

Gianfranco Lilla, medico di medicina generale

A mio avviso la sanità italiana non è in declino: è sempre la migliore al mondo per la professionalità che ci mettiamo, la competenza, la disponibilità e l’amore verso i pazienti. I medici di base sono parte viva della salute pubblica e non hanno bisogno della dipendenza. Sulle case di comunità credo comportino solamente spese enormi incrementate i geriatri per la medicina interna cronica. Infine non ci sarebbe carenza di medici, se gli attuali professionisti fossero pagati adeguatamente. Policanti, non politici, vergogna!

Maria Teresa Pappagallo, medico di medicina generale

Sono un medico in pensione da 3 anni. Ho fatto il medico per circa 40 anni in un paese del Piemonte di 3000 anime. Avevo organizzato le visite in ambulatorio ad accesso libero. Chiaramente tutti i giorni sforavo abbondantemente l’orario comunicato all’ASL e affisso fuori dallo studio. Non mi sono mai pentito di tutto questo in quanto l’ho fatto con amore e dedizione. Detto questo, penso che diventare medico dipendente del SSN sia un grosso errore perché innanzitutto si perderebbe il rapporto di fiducia ed empatia medico-paziente. Bisogna tenere conto del fatto che un medico di base entra nelle famiglie ed è a conoscenza di tutte le dinamiche familiari (non è una cosa da poco) che spesso e volentieri illuminano la mente e chiariscono certi tipi di patologie. Semmai bisognerebbe ridurre la burocrazia e non aumentarla in modo esponenziale, cosa che è successa negli ultimi anni, dare più spazio alle visite mediche ambulatoriali e soprattutto domiciliari (cosa che ultimamente i cari giovani colleghi sono un po’ restii a fare). Sarò sicuramente linciato per aver detto questo, ma è opinione diffusa in quanto quasi tutti i giorni me lo riferiscono i miei ex pazienti e non solo. Mi dicono spesso che viene detto loro: “Se stai male vai al PS o chiama il 112” e questo senza aver visto il paziente e aver valutato la necessità di un invio in ospedale. Si potrebbero incentivare economicamente, così si ridurrebbero notevolmente gli accessi al PS. La casa della salute può andare bene nelle grosse città non nei paesi, distanti tra di loro a volte di 10- 12 km. Come si può gestire in un territorio così vasto un’utenza così elevata come prevede la casa della salute? La capillarità della presenza di ambulatori nei piccoli comuni ha permesso ai medici di assistere i loro pazienti spesso anziani. Sulla carenza di medici sicuramente è stato un problema aver introdotto il numero chiuso senza una valida programmazione. Il mio parere è: accesso a tutti (non tramite un test che è un terno al lotto) con esami duri in tutte le università italiane. Chi ha voglia di studiare e fare veramente il medico s’impegna e va avanti altrimenti cambia facoltà o va a casa e farà una professione o mestiere diverso. Saluti a tutti i colleghi e buon lavoro.

Francesco Barone, medico di medicina generale

Personalmente non credo che manchino i medici, semplicemente i medici non vogliono fare più alcune specialità che implicano grande dedizione e sacrificio. Essere sottopagati, soprattutto quando bisogna prendersi grandi responsabilità, porta a preferire specialità “a basso rischio” e più remunerative. Per rendere nuovamente attrattivo il SSN bisogna pagare i medici adeguatamente, dare loro possibilità di carriera MERITOCRATICA e non con tessera politica.

Sergio Grimaldi, medico chirurgo

Penso e credo che certi colleghi e soprattutto i media esagerino la visione allarmistica della nostra professione che è stimata e rispettata forse più di una volta! Certo, indossare il camice bianco è una grande responsabilità scientifica e morale e il medico deve essere preparato certamente, ma innanzi tutto bisogna ricordare che deve “guarire qualche volta, sollevare sovente e consolare sempre”. La stragrande maggioranza dei colleghi che si attiene a queste regole è e sarà sempre amato e rispettato, se comprenderà che la sofferenza e la paura sono purtroppo brutte compagne di vita e cattive consigliere.

Roberto Lolli, gastroenterologo

Il SSN è in declino, si è smantellata la rete degli ospedali. Ogni città ne aveva uno, poi non si è creato più nulla! Ma è in crisi anche il sistema del medico “dipendente”, che non ha più poteri decisionali ed è stato trasformato ad un ruolo impiegatizio. Chi governa ne prenda atto e cerchi di chiarire, soprattutto a sé stesso, cosa vuol costruire per la Sanità di domani.

Pasquale Carlo Sileo, medico del dipartimento di prevenzione

Ho fatto l’anestesista rianimatrice dal 1974 al 2013 e presso l’AOUP di Pisa insegnavo anche alla scuola di specializzazione di anestesia e rianimazione. I giovani erano molto più preparati e con voglia di fare. Ora si laureano alle università online e sono assolutamente impreparati per il mondo del lavoro. Anche gli infermieri erano molto più preparati di oggi. Noi avevamo infermieri che ci aiutavano in sala operatoria bravissimi e molto preparati, questo è venuto meno.

Teresa Giusto, anestesista rianimatrice

Penso che le case della salute siano una cosa indegna e che il lavoro individuale dei medici di base debba essere conservato. Ognuno deve seguire un tot. di pazienti e conoscerli a fondo per poter lavorare bene. Fare i tuttologi con i pazienti altrui non porta da nessuna parte. Non credo più nei sindacati che ci abbindolano. Queste nuove leggi della Sanità italiana sono una cosa indecente. Sono per un lavoro individuale in un contesto ove si condividono esperienze ed idee. Sono per un’eguaglianza sanitaria in tutta Europa perché sono convinta che una sanità assistenzialistica come quella italiana non porti da nessuna parte, ma solo debiti. Sono per un’educazione sanitaria dei cittadini da parte dello Stato perché si evitino sprechi; e sono assolutamente per le assicurazioni come nel resto dell’Europa, assicurando magari solo ad una fascia di meno abbienti una sanità gratuita (ovviamente previo controllo dello Stato). E poi ci sarebbe tanto altro da dire su note dei farmaci, piani terapeutici e quant’altro. La burocrazia è diventata impossibile perciò credo che se non si possa dare tutto gratis ai cittadini, si deve far pagare! Non si può riversare tutto sulle spalle dei medici trattandoli come commercialisti: il medico deve fare il medico e deve serenamente poter prescrivere ciò che ritiene opportuno. Infine lo Stato dovrebbe controllare di più lo stato di esenzione di molti cittadini che allo stato attuale risultano disoccupati (e poi invece non lo sono davvero) usufruendo dei benefici del caso.

Clara Tata, medico di medicina generale

Per venti anni ho lavorato in Comunità accreditate del Solco Bergamo e Brescia. Entrai in Facoltà al secondo anno dalla chiusura: 600 candidati all’Università Statale di Milano. Per la specialistica 7 posti. Assisto oggi a una – prevedibile a mio avviso – carenza di personale, con carichi di lavoro che non permettono di esercitare questo nostro mestiere nel quale si dovrebbe avere tempo e spazio psichico per accogliere la sofferenza. Una fuga pertanto nel privato ne è la triste conseguenza: solo per chi può permetterselo, s’intende. Personalmente accuso tristezza e sconcerto. Il diritto all’accesso alle cure è previsto dalla Costituzione!

Maria Luisa Agostinelli, psichiatra e psicoterapeuta

Stiamo vivendo un momento molto critico per la sanità. Già prima che andassi in pensione dalla mia USL, si notavano chiari segni di criticità: colleghi stanchi per turni lunghi, difficoltà di andare in ferie o a corsi di formazione, tantissime ore di accantonamento impossibili da usufruire per non lasciare scoperti i servizi.
Noi del Territorio e i colleghi ospedalieri denunciavamo queste carenze, ma come per ogni cosa, bisogna prima toccare il fondo perché qualcuno ascolti. E adesso che sono una paziente, mi rendo conto non solo delle condizioni in cui sono costretti a lavorare i colleghi in generale, ma anche della pesante difficoltà di essere pazienti.

Daniela Bertoldini, medico di medicina generale

Sono un chirurgo che ha lavorato 50 anni in una clinica convenzionata della Calabria. Negli ultimi anni ho deciso di specializzarmi sulla proctologia e con tanti sacrifici e spese ho imparato tante tecniche per rendere meno traumatici gli interventi sulla regione ano retto perineale, che ho potuto effettuare con grande soddisfazione dei pazienti in regime ambulatoriale convenzionato, senza che i pazienti sborsassero un euro. Ma dal 1° gennaio del 2025 l’Italia tutta per un decreto ministeriale si è svegliata con la batosta che gli interventi sulla parte meno nobile del corpo non sono più in convenzione, anzi non hanno più alcuna dignità, essendo diventati una “emorroidectomia” pagata alla struttura 50 euro. Ciò ha comportato che le cliniche convenzionate rendessero questi interventi solventi, cioè a completo carico del paziente. Mi chiedo: può un ministro della Sanità avallare questa vergogna? Un ministro che forse non è mai stato dentro una sala operatoria oppure che ha completamente scordato la dignità medica e del paziente che, se soffre, non può attendere i tempi biblici per essere operato in ospedale. Spero che con questa mia riflessione qualcuno informi gli italiani, costretti a pagare solo tasse.

Paolo Cardillo, medico chirurgo

Sono una npi in pensione da 2 anni. Lavoravo 3 gg in ambulatorio e 3 in ospedale.  Ero referente del gruppo di lavoro per la presa in carico di bambini con patologie neurologiche gravi e gravissime. Alcuni così gravi da essere stati domicilio. Ho SEMPRE lavorato tante ore in più perché non mi sembrava giusto lasciare bambini e famiglie privati del servizio a cui avevano diritto e cui avevano bisogno. Ero sempre stremata. Ho avuto moltissimi riconoscimenti dalle famiglie ma nessuno dai ” grandi capi” e dall’amministrazione. Mi è piaciuto tantissimo il mio lavoro e potevo lavorare solo così, però quando il sono andata in pensione chi mi ha sostituito giustamente non stato altrettanto disponibile a sacrificarsi personalmente e molti piccoli pazienti sono abbandonati a sé stessi. Ma a nessuno importa.

Maria Teresa Pozzan, neuropsichiatra infantile

Sono un Pediatra Ospedaliero di “periferia” ormai in pensione. Penso che il Servizio Sanitario Nazionale “Universal” a partire dal 1978 sia stata una grande conquista di civiltà, eccetto che ha aumentato a dismisura, e a mio modesto parere, anche un po’ a sproposito la “richiesta” di prestazioni di ogni tipo alle strutture pubbliche; ma credo anche che sia un patrimonio che non va dilapidato. So che è solo una mia personale, opinabile e modesta opinione, ma penso che il confronto da “strutture pubbliche” e “strutture private” andrebbe fatto quando anche quest’ultime (sia pure con le prestazioni a pagamento) fornissero ai cittadini le stesse cure in quantità e qualità di quelle pubbliche; mi riferisco ai Pronto Soccorso, che affrontano ogni tipo di emergenza ed agli interventi e terapie più innovative, complicate e dispendiose dal punto di vista economico.

Fabrizio Michelotti, ex pediatra

Credo che il declino della sanità pubblica sia per molti versi inarrestabile, frutto di più fattori interconnessi: volontà politica che da diversi anni è finalizzata a distruggere il pubblico a favore del privato con inevitabile mercificazione della salute, perdita dello spirito solidaristico, tramandato dai nostri genitori, volto a dare la possibilità anche ai meno ambienti di salvaguardare la propria salute (cosa peraltro scritta nella nostra Costituzione). E ancora mancanza di adeguata preparazione empatica della classe medica e propensione al tecnicismo. I medici di base, non per colpa solo loro, sono ridotti a meri burocrati sprovvisti di qualsivoglia strumento moderno per adeguate diagnosi con ricorso continuo al consulto specialistico. Nella realtà attuale il medico di base va integrato come qualunque medico ospedaliero in modo da poter accedere a strumenti di diagnosi e cura adeguati. Ci vorrebbe poi l’adeguamento stipendiale tra medici pubblici: è una vergogna apprendere che un chirurgo, che esegue trapianti di organo senza limiti di orario, guadagni la metà di un medico di base. Poi si dovrebbero incentivare le case della salute, preparando adeguatamente i medici a gestire le patologie di più facile approccio per la diagnosi e cura, liberandoli da mansioni burocratiche che possono essere gestite da personale a tal fine preposto. La carenza di organico è frutto della dequalificazione sociale che medici e infermieri hanno subito malgrado le velleitarie parole post Covid. I sanitari, tutti quanti, si devono confrontare quotidianamente con violenze fisiche e verbali e con la mancanza di uno scudo da denunce penali, che generano come conseguenza la medicina difensiva. Si può correggere la mancanza di personale sanitario solo incentivando e valorizzando in ambito sociale un lavoro tanto determinante e indispensabile per il benessere e lo sviluppo di una società veramente civile. Sono un anestesista, ho lavorato per 40 anni presso il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, ricoprendo ruoli di responsabilità che mi hanno permesso di condividere bellissime esperienze lavorative con colleghi di varie specialità, dai quali ho imparato tanto e a cui sono infinitamente grato.

Calogero Spagnolo, anestesista