23 Gennaio 2025
Di Maurizio Dal Maso – Membro dell’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute, Roma
Casualmente ho avuto modo di leggere in sequenza due articoli che mi hanno fatto capire quanto sia ormai impossibile bloccare il lento quanto non governato (ingovernabile?) decadimento del nostro SSN/SSR per l’oggettiva impossibilità di riformarlo in tempi certi e a costi sostenibili per tutto il nostro Paese. Il primo articolo, scritto da un collega medico, era intitolato “Subito la riforma del Sistema sanitario” (https://www.sanita33.it/politica sanitaria/4614/subito-la-riforma-del-sistema-sanitario.html); mentre il secondo, l’editoriale del numero 48 di Lancet Regional Health, era intitolato “The Italian health data system is broken” (https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(24)00375 2/fulltext). Il primo concludeva con una considerazione che spiegava con chiarezza il nodo politico della mancata ma, a parole, auspicata riforma del SSN: “…c’è un però: i risultati non si vedrebbero a breve, non cambierebbero le sorti elettorali nei prossimi mesi, ma sicuramente salverebbero vite umane oggi destinate ad un ingiusto destino e garantirebbero una qualità della vita che i nostri anziani meritano!”.
Nel secondo , invece, venivano elencate le diverse concause della mancata riforma ovvero l’insieme di aspetti tecnici, professionali, istituzionali ed organizzativi non governati da decenni che hanno portato a definire non il nostro SSN “rotto”, come non precisamente riportato da diversi media, ma la sua architrave ovvero il sistema informatico/informativo cosa che, nel 2025, è come ammettere che il nostro Paese ha perso anche l’ultimo treno perché i dati, e la loro gestione, sono “il petrolio” del nostro secolo, soprattutto nel mondo sanitario, mentre oggi siamo nella condizione riportata nell’editoriale in cui: “… solo il 42% dei clinici ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione elettronica dei dati attivo in tutti i reparti”.
Tralascio ogni altra considerazione e invito tutti alla lettura di entrambi questi brevi articoli per farsi un’idea personale di quanto, ormai, la questione di un nuovo e “aggiornato” SSN sia stabilmente fuori controllo e, temo, anche fuori agenda. Da anni, tutti i giorni, stakeholders diversi propongono soluzioni quasi taumaturgiche che hanno tutte il problema di essere inattuabili perché troppo settoriali ovvero di una specifica area o professione o lobby, mentre servirebbe una risposta corale, integrata multispecialistica e multidisciplinare con una visione politica globale di sistema per realizzare una riforma vera e profonda che porti alla riscrittura delle regole e dei modelli di funzionamento e finanziamento del SSN. Le medicina oggi permette di realizzare attività o prestazioni che nel 1978 non erano nemmeno ipotizzabili (robotica, intelligenza artificiale, genomica, chirurgia mininvasiva, ….) e quindi pensare di usarle al meglio, in termini di efficacia ed efficienza assistenziale, nell’interesse di tutti a costi sostenibili utilizzando modelli organizzativi e norme contrattuali o procedurali che, anche se riviste e integrate negli anni, derivano dalla Legge 833/78 è certamente una cosa assurda e nei fatti improponibile. Questa è l’essenza del problema.
La risposta vera sarebbe realizzare quello che già nel 2012 Eric Topol chiamava la “distruzione creativa della medicina” ovvero come la rivoluzione digitale potrebbe creare una migliore assistenza sanitaria smantellando pratiche sanitarie obsolete e migliorando la cura dei pazienti, ovvero come l’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe rendere nuovamente umana la sanità nel ripristinare l’elemento umano nell’assistenza sanitaria migliorando l’efficienza e la precisione clinica. Queste innovazioni sono definite “disruptive” e l’espressione “disruptive innovation” apparve per la prima volta nel 1995 sull’Harvard Business Review. La traduzione del termine “disruptive” è “dirompente, devastante, distruttivo” e fa riferimento a tutte quelle innovazioni capaci di rivoluzionare un modello di attività preesistenti ridefinendo i confini, le azioni e i tempi, variando fortemente il modo con cui gli utenti sono abituati a utilizzare i prodotti e/o i servizi. Quindi significherebbe rivoluzionare il funzionamento di un mercato o settore (SSN) comportando “potenziali” rischi (opportunità?) alle aziende consolidate preesistenti (SSR) ma portando grandi benefici, attesi da tanti anni, agli utilizzatori finali ovvero i cittadini/utenti/pazienti. Tutto ciò spiega il “nodo politico “della mancata riforma del SSN, come correttamente descritto dal collega Paolo Russo.
Il “nodo tecnico” deriverebbe, invece, dalla impossibilità di avere un mandato politico unico e forte (Sponsor) per realizzare questo progetto di cambiamento (Project management) con un regista (Project manager) adeguato e riconosciuto. Infatti, l’attuale assetto legislativo da ampia autonomia alla Regioni nella gestione dei SSR e quindi, di fatto, rende impossibile ogni tentativo di riforma delle regole dell’intero SSN. Ma se si volesse provare a realizzare questo progetto si potrebbero definire i criteri comuni su cui ogni Regione dovrebbe, nel pieno della sua autonomia, operare e cambiare? Temo che anche in questo caso non si riuscirebbe nell’intento anche riproponendo, in una nuova e più attuale declinazione, gli stessi punti cardine della Legge 833/78 ovvero l’equità, l’universalità, l’uguaglianza, la partecipazione e la solidarietà. La realtà sanitaria e sociosanitaria esistente, quella che vivono tutti i giorni i cittadini italiani dopo i primi 47 anni di SSN/SSR, ha raggiunto situazioni così profondamente diverse fra Regione e Regione, ma anche all’interno della stessa Regione e, addirittura, all’interno della stessa Azienda sanitaria, che renderebbe vano e oltre modo dispendioso, al limite del fallimento, ogni tentativo di cambiamento. Parlare oggi di equità significherebbe dire che non si può tollerare il fatto che 1 cittadino su 2 dichiara che dovendo fare un esame diagnostico o una visita specialistica non cerchi nemmeno di prenotarla nel SSN/SSR. Oppure che si continui ad accettare che il Servizio sanitario fornisca risposte uguali a bisogni diversi data l’incapacità “cronica” di decodificare i nuovi bisogni complessi e sempre più di tipo sociosanitario.
A parole da anni tutti, nessuno escluso, cita la necessità di abbattere i mitici “silos” organizzativi e professionali, che infatti sono esattamente presenti, pur con le doverose e necessarie modifiche formali, come quelli esistenti nel 1978. Cito, a semplice titolo esemplificativo, uno di questi che si potrebbe provare ad aggredire in tempi ragionevoli, ovvero quello della Long Term Care (LTC) parametro di cura molto attuale e sempre più al centro dell’attenzione non solo dei cittadini. Oggi la spesa pubblica include tre componenti: l’indennità di accompagnamento (livello nazionale), la spesa sanitaria per LTC (livello regionale) e gli interventi socioassistenziali (livello comunale). Quindi troviamo tre interlocutori diversi (INPS, Regioni e Comuni), tre soggetti istituzionali diversi con procedure interne diverse, regole amministrative e contrattuali diverse, sviluppi di carriera diversi, sistemi premianti diversi, che dovrebbero, miracolosamente, essere in grado di coordinarsi per erogare in modo ottimale ed unitario “quella prestazione”, efficace ed efficiente, che il cittadino si aspetta. In effetti lui si aspetterebbe, da anni, una risposta unica ed unitaria al suo bisogno che è unico ed unitario, ma fino a quando il SSN/SSR manterrà questo assetto e frazionerà i budget dei diversi erogatori non potrà mai fornire il servizio migliore in termini di efficacia ed efficienza al costo minore e in tempi rapidi.
Potremmo provare a costruire un coordinamento operativo più stretto fra i tre diversi livelli, provare a costruire un settore unitario con modelli di intervento unici come regole e budget, che risulterebbero certamente più efficaci, avendo il coraggio di realizzare nuovi assetti organizzativi, forse arrivare anche ad un nuovo modello procedurale unitario di intervento ma poi, inesorabilmente, ci troveremmo davanti al problema di come valutare, a livello locale, i fabbisogni standard per le coperture finanziarie sui vari livelli in linea con i LEA, forse i futuri LEPS, e a quel punto tutto si bloccherebbe cosi come è stato in tantissime altre occasioni, basti ricordare il recente “stop and go” del nuovo nomenclatore tariffario atteso da oltre 28 anni quello per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e da 25 anni quello per l’assistenza protesica. Ancora, sono almeno 30 anni che studi clinici segnalano l’impossibilità di accettare come esito clinico (e finanziario) quello che oggi registriamo nei diversi Sistemi sanitari regionali con i tassi di variabilità attuali. La variabilità (clinica, organizzativa e dei flussi) in medicina è fisiologica ma, oltre un certo livello, diventa patologica, non più correlata ai bisogni e alle necessità dei pazienti, ma solo alle esigenze dei tanti e diversi erogatori. Questo fatto è legato anche al concetto della Non Qualità, ovvero sprechi, duplicazioni, inefficienze, cioè “il fare bene cose inutili” che consuma in media il 10% delle risorse (umane, materiali, finanziarie e tecnologiche) del SSN/SSR senza produrre alcun vantaggio di salute (valore) per i pazienti.
Potremmo citare il dato della eccessiva migrazione dal Sud al Nord Italia di tanti pazienti in cerca di cure e non solo per l’alto prezzo economico e sociale che tutto questo comporta, o il fatto che la spesa “out of pocket”, stabile da almeno 20 anni attorno al 20% della spesa sanitaria complessiva, sia pagata direttamente dalle famiglie e non da enti o assicurazioni e serva nell’80% dei casi ad acquistare prestazioni già offerte, quindi finanziate dal SSN/SSR, generando un inaccettabile condizione di iniquità dovuta allo squilibrio in accesso al servizio sanitario dove solo chi paga due volte lo stesso servizio (prima con la fiscalità generale e poi con il pagamento diretto) ottiene ciò che vuole, quando vuole e dove lo vuole. Ecco, dunque che la sintesi conclusiva di quanto scritto ci porta alla domanda principale da cui tutto parte e a cui tutto ritorna: sappiamo cosa fare (diagnosi), sappiamo come farlo (terapia) e abbiamo le competenze (credo) e le risorse (spero) per farlo, ma: esistono oggi in Italia le condizioni politiche, istituzionali, sociali, culturali, professionali per scrivere in modo coordinato una nuova e moderna Legge di Riforma del Servizio Sanitario Nazionale?