Pareri a confronto

Salute mentale: è (davvero) una priorità per le istituzioni?

7 Gennaio 2025

Del Dott. Dimitri Grazio Salvatore, Neuropsichiatra dell’Età evolutiva

Una breve analisi sulla normativa e le sue implicazioni

Negli ultimi anni, il dibattito sull’importanza della salute mentale e sull’accesso a servizi sanitari adeguati si è fatto sempre più acceso, soprattutto in relazione ai disturbi dello spettro autistico, una condizione in forte aumento sia in Italia che nel resto del mondo occidentale. Tuttavia, alcune normative vigenti sembrano ostacolare gravemente l’attivazione di servizi essenziali, sollevando interrogativi sull’effettiva priorità che le istituzioni attribuiscono a questo tema.

Il limite d’età per i medici nelle strutture private

Come noto, in linea generale (e al netto di alcune eccezioni) i medici che hanno superato la soglia dei 70 anni non possono assumere ruoli di Direttore o Coordinatore presso strutture sanitarie e socio-sanitarie private, quali RSA, RSSA, CRAP e altre, che necessitano di accreditamento. Questa norma, presumibilmente introdotta per garantire un ricambio generazionale, ha avuto però l’effetto collaterale di escludere professionisti altamente qualificati, come i neuropsichiatri dell’età evolutiva, dalla possibilità di promuovere e dirigere servizi essenziali sul territorio.

Paradossalmente, questa limitazione non si applica nel settore pubblico. Nelle ASL, infatti, medici specialisti anche di 80 anni o più possono continuare a lavorare come liberi professionisti o con contratti di collaborazione (i cosiddetti “gettonisti”). Questo doppio standard solleva interrogativi: perché nel privato si esclude chi nel pubblico è ritenuto pienamente in grado di operare?

In molti casi, questa normativa si è tradotta in un ostacolo concreto per l’apertura di nuove strutture, con il risultato che famiglie che affrontano ogni giorno le sfide legate ai disturbi dello spettro autistico non riescono a ottenere i servizi di cui hanno bisogno.

Impatti sul territorio e sui servizi

La mancanza di neuropsichiatri dell’età evolutiva disponibili per ruoli direttivi nelle strutture private sta compromettendo gravemente l’avvio di servizi dedicati al trattamento dei disturbi dello spettro autistico e di altre patologie psichiatriche. Molte cooperative e associazioni, infatti, riportano che questa limitazione impedisce l’attivazione di progetti nonostante la domanda sia in costante crescita.

I disturbi dello spettro autistico richiedono competenze estremamente specializzate, che non possono essere facilmente sostituite da altre figure professionali, come neurologi o psichiatri generici. L’aggravante è che la carenza di specialisti giovani rende la normativa ancor più penalizzante, lasciando interi territori privi di servizi adeguati.

Per quanto la limitazione anagrafica appaia giustificata da ragioni amministrative, questo limite sembra favorire indirettamente una riduzione della concorrenza tra le strutture sanitarie, nonché limitare il numero di servizi accreditati. In poche parole, si tratta di una strategia che nel medio-lungo periodo si sta rivelando deleteria, in quanto mette in discussione il diritto dei cittadini a ricevere cure adeguate e tempestive.

Proposta: mettere al centro le famiglie e uniformare i criteri tra pubblico e privato

Ebbene, considerata la situazione appena descritta, cosa si potrebbe fare? Ad avviso di chi scrive, medico neuropsichiatra infantile in pensione con anni di esperienza, che da tempo si confronta con i disagi delle famiglie e con un territorio sempre più desertificato di servizi essenziali, appare necessario estendere alle strutture private in cerca di accreditamento lo stesso criterio utilizzato nelle ASL per l’impiego di medici over 70.

Questo cambiamento permetterebbe di valorizzare l’esperienza di medici qualificati che, nonostante abbiano superato i 70 anni, rappresentano una risorsa preziosa per territori già carenti di specialisti. Incrementerebbe inoltre l’offerta di servizi sanitari sul territorio, rispondendo in modo più efficace alla crescente domanda.

Eliminare il limite d’età per i medici nelle strutture private accreditate non è solo una questione di equità tra pubblico e privato, ma rappresenta un passo necessario per garantire servizi sanitari più accessibili e inclusivi. Privare il territorio dell’esperienza e della competenza di professionisti qualificati significa lasciare famiglie e comunità senza risposte adeguate, aggravando una situazione già critica. In questo senso, uniformare i criteri di reclutamento tra pubblico e privato rappresenta una soluzione che potrebbe davvero fare la differenza per garantire un sistema sanitario più equo e capace di rispondere alle esigenze di una società sempre più fragile, chiamata a confrontarsi con sfide sempre più complesse nel campo della salute mentale.