21 Novembre 2024
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e soprattutto l’Anoressia Mentale sono un TOPOS[1] che ci chiama ad una riflessione sulla pratica clinica, sulle emergenze che caratterizzano il divenire della psicopatologia e quindi non di rado della società. I DCA ci chiamano anche a riflettere sugli aspetti antropologici che determinano un nesso di causalità e proliferazione di sintomi all’interno della relazione tra cibo e corpo. Siamo così obbligati a tenere conto della complessità del disturbo e di come lo stesso possa evidenziare una patologia dipendente non solo dalle relazioni più prossime, intra ed interfamiliari, ma anche dai mutamenti culturali. Vi propongo quindi di guardare ai DCA come a delle “Malattie Mentali Transitorie”, come un tempo ad esempio l’Isteria e i “Viaggiatori Folli”, la Sindrome da Affaticamento Cronico, forse anche non pochi disturbi Borderline.
Vi propongo allora la metafora di “NICCHIE ECOLOGICHE”:
l’ipotesi è che alcune malattie mentali sorgano in relazioni a particolari atmosfere socio-culturali, le Nicchie Ecologiche appunto, o meglio che stati di sofferenza psichica, che comunque emergerebbero, trovino forme espressive in relazione a peculiari influenze che sono:
Ambientali
Sociali
Culturali
Storiche
Nel caso dei DCA il modello culturale è, da un lato il culto esasperato del corpo, della magrezza, dall’altro è il consumismo e l’omologazione di massa che mortificano l’individualità nostra e dell’altro da noi.
Zygmun Bauman in L’Arte della Vita (Ed. La Terza 2009) parla della nostra società post moderna, una società che egli definisce liquida, metafora e veicolo di questi patologici e drammatici scambi con il mondo. Il corpo diviene minaccioso, la “bestia” minacciosa da controllare, addirittura da rifiutare…fino alla morte mentale ma, ahimè anche fisica.
Jeammet in Cibo e Corpo Negati (Ed. Mondadori 2016) avvicina questi disturbi alle perversioni narcisistiche e alle molteplici forme attuali di dipendenza. Egli, sempre in Cibo e Corpo Negati, scrive che il paradosso centrale dello sviluppo dell’essere umano, che la pubertà e l’adolescenza esacerbano, è il muoversi tra due necessità: quella del legame agli oggetti di attaccamento, di cui bisogna nutrirsi per crescere e quella del differenziarsi da loro per divenire sé stessi.
L’Anoressica non tollera il bisogno dal quale si sente invasa in modo intollerabile. “Sicuramente – ancora scrive Jeammet – è altra cosa dal cibo quello di cui ha fame e si sente terrorizzata”.
Allora l’immagine corporea non è mai abbastanza sottile, mai perfetta, perché il corpo si può annullare del tutto solo nella morte e nel delirio psicotico. Fondamentali per la mia formazione alla comprensione, se pur sempre parziale, ed alla cura delle forme gravi di Anoressia Mentale sono stati gli Autori che qui ricordo.
Hilde Bruck che nel suo testo La Gabbia d’Oro collegava il rifiuto del corpo, mediato dal rifiuto del cibo, con il rifiuto della figura materna, con il terrore di abbandonarsi al legame con un altro da Sé ed al piacere di essere donna. Mara Selvini Palazzoli, della quale negli anni ’70 del secolo scorso frequentai la scuola di Terapia Familiare diretta insieme a Boscolo e Cecchin, in L’Anoressia Mentale (Ed. Feltrinelli) definirà tale sofferenza – parlo sempre delle forme gravi – una PICOSI MONOSINTOMATICA, una forma di Paranoia Intrapersonale dove l’immagine del corpo ed il terrore di un corpo di donna sono il persecutore. Con altre parole, Evelyn Kestemberg in La Fame e il Corpo scriverà di perversione fredda. Sempre la Kestemberg evidenziava in La Fame e il Corpo come l’Anoressica viva il corpo come un unico tubo, separato dalle zone erogenee e finalizzato a sole funzioni di svuotamento dove tutto ciò che non è rifiutato ed entra comunque in loro, va espulso: non solo il cibo, ma più in generale viene espulsa la possibilità di una vita viva e passionale.
Rosenfeld e Frances Tustin che evidenziarono come il corpo dell’Anoressica deve essere “fluido” senza la percezione di aspetti solidi.
Simone De Cobert, Corcos e Racamier che parlavano di funzionamento mentale caratterizzato da meccanismi proiettivi massicci e distruttivi, almeno attraverso tre generazioni. Alla giovane può restare paradossalmente, come ultima e letale difesa contro proiezioni inaccettabili, l’utilizzo di quel meccanismo di VIETATO L’ACCESSO, ben analizzato da Gianna Polacco Williams. Così Lei mi ricordava, durante gli anni della Scuola sui DCA dell’Istituto Tavistock, “In molti di loro ho riscontrato una specifica richiesta di non varcare il confine che mi ha portata a formulare l’ipotesi un sistema difensivo basato su una sorta di Divieto di Accesso”. Per l’autrice la giovane vive probabilmente un terrore senza nome che – ricordava W. Bion – è una esperienza estrema insopportabile per ogni umano. Essi ci ricordano come per evitare il ritorno del terrore senza nome – quello che io chiama l’essere invasi dalla Bestia Vampira – la giovane che sta diventano una grave anoressica utilizzerà meccanismi di difesa arcaici come il Diniego, la Negazione, la Scissione e, appunto, il Vietato l’Accesso. Ancora la Bruck ricorda come questi meccanismi difendano – in un qualche modo– il Sé di queste pazienti da una frammentazione francamente psicotica; questi meccanismi di difesa divengono tuttavia anche i nuclei psicopatologici primari delle forme più gravi di Anoressia Mentale. Il Sé fragile – scrive la Bruck – delle potenziali anoressiche sposterà il conflitto dal mondo interno a quello esterno che sarà soprattutto il corpo, alienato e negato miseramente.
Corcos, nelle nostre discussioni al Mont Souris di Parigi con Jeammet, mi evenziava come nelle forme gravi di Anoressia si sia passati da un modello vicino all’isteria ad uno di una patologia più grave che ha le sue origini in una prima infanzia, una patologia che mette in scacco i processi di individuazione e la capacità di assumere un ruolo genitale sessuato. Questi pazienti non assumono le trasformazioni somato-psichiche della pubertà e dell’adolescenza, angosciate\i dalla fisiologica dipendenza, incapaci di elaborare il lutto della separazione che permette l’ingresso nel mondo adulto; essi diverranno paradossalmente dipendenti da queste condotte patologiche mentre sempre più i familiari, le relazioni interpersonali e soprattutto il loro corpo diverranno nemici persecutori.
Lo studio di Edith Stein: la lettura della sua tesi di laurea del 1917 sull’Empatia è fondamentale; più recentemente Rizzolatti e Gallese con le loro scoperte sui Neuroni a Specchio. Essi mi hanno aiutato a comprendere i meccanismi – che sono innati, salvo probabilmente nell’autismo – dell’EMPATIA, ovvero del “fondamento degli altri” mentali e corporei” in cui viene colto il vissuto altrui. Edith Stein scrive “attraverso l’Empatia, ovvero la percezione e il riconoscimento del vissuto altrui, vedo anche come gli altri mi vedono”: essa apre alla dimensione dell’intersoggettività. Le pazienti anoressiche hanno anche questa dannazione “l’essere prive della umanissima e bella dimensione dell’Empatia”. In realtà, oggi, sembra che molti “normali” ne siano privi, non solo le nostre pazienti”.
Un drammatico pericolo, un vero fattore iatrogeno è allora la mancanza di questa dimensione empatica, nell’osservazione clinica e nella cura dei DCA.
Fondamentale è stata poi la conoscenza e lo studio della Teoria dell’Attaccamento: da Bowlby con i suoi quattro tipi di Attaccamento alla Mary Ainsworth e Fonagy a Daniel Stern e la sua Infant Research. Per inciso, per le anoressiche gravi si parla di attaccamento distaccato che può precipitare verso un attaccamento disorganizzato. Ester Bick ed Anzieu che sviluppano i concetti di Io Pelle, pelle vista come un involucro psichico, dove sono scritte, segnate, la storia individuale e sociale di ognuno di noi; se essa torna ad essere viva e calda, permetterà finalmente al corpo di parlare con l’anima. Amelie Nothomb in PSICOPOMPO scrive: “Una notte di primavera mi svegliai verso le due. A strapparmi dal sonno era stata la constatazione di un miracolo: mi sentivo le gambe calde”. (Amelie Nothomb soffrì di una grave Anoressia restrittiva).
Frances Tustin, grande studiosa dell’Autismo, che sviluppò il concetto di a) Narcisismo a pelle spessa b) Narcisismo a pelle sottile.Infine, ricordo Salomon Resnik e Antonino Ferro che – durante le supervisioni – con molta pazienza mi aiutarono a capire che le anoressiche gravi, delle quali parlavo con loro per farmi aiutare a non perdere il senno e la speranza, si misuravano sempre tra vita e morte. In realtà hanno il terrore di confrontarsi con una fame disperante, una fame da Vampiro, una fame insaziabile ed omicida, quella che io chiamo, e che così chiamo con loro nella terapia: la BESTIA.La Bestia che è ben rappresentata dal disegno di una paziente di anni fa (immagine).
Salomon Resnik, durante una supervisione di un ragazzo affetto da Anoressia molto psicotica e carica di angoscia, mi diceva come il vampiro non solo succhi il sangue alla vittima, ma soffi dentro, nello spazio lasciato libero dal sangue, il vuoto, vuoto interno disperante che, a sua volta, richiede ancora sangue con una fame mortifera : il desiderio ,mai appagato del tutto, di sbarazzarsi di questo terribile vuoto interno nella negazione, sempre più prepotente di un Corpo che senta, che ami, che soffra, che ricordi, che desideri: la morte mentale è quello a cui mira la “Bestia”.
A questo proposito vi ricordo Amelie Nothomb che ne Il libro delle sorelle scrive: “l’Anoressia ha parecchi elementi in comunione con la possessione demoniaca” e poi Tristane – la cugina della giovane anoressica che poi morirà – non sapendo bene come definire questa forza negativa di Lisette chiamata malattia, pensava “se è così difficile guarire dall’anoressia è proprio perché è terribile liberarsi da una possessione.
Infine i miei maggiori maestri sono stati e continuano ad essere i miei pazienti, quando accettano di rischiare un po’ di vivere l’esperienza di cura, dell’incontro con questo vecchio, strano ma ancora curioso e sempre rispettoso empaticamente per la loro terribile sofferenza.
CONCLUSIONI
Se le cose funzionano, piano piano può svilupparsi nell’incontro di cura quella “Accoglienza Psicosomatica Amorosa” di cui parla Alessandra Lemma. Essa potrà costituire quella “base sicura”, talvolta mai vissuta prima, (di cui scrive magistralmente Winnicot): nelle terapie riuscite allora il loro corpo potrà tornare ad essere limite intersoggettivo, crocevia delle relazioni, territorio dell’interiorità, ma anche territorio dell’Alterità.
In conclusione, dopo tanti anni di attività clinica istituzionale e individuale, ricordo ed accetto con gratitudine quanto nel lontano 1983 Evelyn Kestemberg, al Tredicesimo Arrondissement, cercò di trasmettermi.Sono disturbi, grandi sofferenze umane – psichiche e somatiche – che sfuggono sempre, per la loro paradossalità, ai nostri tentativi ingenui di omnicomprensione, quando inventiamo e categorizziamo modelli terapeutici esaustivi.
Se tolleriamo sempre modelli “incompleti, leggeri” in realtà potremmo muoverci nella cura con agilità, come i “Temerari cavalieri volanti” di Cancrini e ancor più di Calvino e Kafka.
Potremo così curare e liberare dal tormento della bestia le nostre pazienti ed incontrare con curiosità le loro storie che via via emergeranno finalmente nella cura!
Ricordo ora il Convegno Internazionale organizzato a Savona nel 2009 dal titolo “Terra madre e mele avvelenate”. I DCA che curiamo, come la mela avvelenata dalla strega, interrompono la crescita, un sano e bello sviluppo: il tempo si blocca, la vita si ferma in una freddezza senza passioni, sotto una lastra di cristallo.
Occorre passione, curiosità, ottimismo temperato, perché la vita torni a fluire e la mela mostruosa che doveva imprigionare la nostra Biancaneve, venga espulsa.
Occorre passione, desiderio, occorre rifiutare alibi pessimistici mortiferi; così noi ci concentriamo contro le “Bestie” mostruose, le foreste incantate piene di trappole, di lupi mannari e vampiri, piene di questi “Mostri” (interni e talvolta anche esterni) che si frappongono tra noi e loro. Esse, le ragazze stregate dall’Anoressia, cercheranno di dissuaderci dall’affrontare questi “demoni”, per raggiungere l’adolescente che, in realtà, desidera crescere e divenire una bella donna e risvegliarsi dal sonno malefico, alimentato dal pessimismo disperante e dal terrore della vita.
Con Z. Bauman penso infine che “la capacità di sperare sia una qualità davvero immortale delle persone” e credo che questa qualità sottenda ogni buona esperienza di cura, ma più in generale di vita.
Di Antonio Maria Ferro
Attualmente psichiatra, libero professionista, specializzato nel trattamento dei giovani.
Ha diretto per molti anni il DSM ASL2 savonese ed ha fondato nel 2002 il centro regionale per i disturbi dell’adolescenza e dell’alimentazione di natura psichica (CDAA).
[1] Argomento dialettico o retorico utilizzabile in relazione a discipline diverse, un luogo particolare, un sito, un leit motiv