23 Settembre 2024
Di Vittoria Becciu, dietologa presso I.R.C.C.S. San Raffaele, Milano
Voglio unirmi a tutte quelle donne medico che giornalmente esercitano la loro professione con dedizione e tanta pazienza e non vengono rispettate sul lavoro e a tutti i colleghi che hanno perso la vita o deciso di non continuare a fare il medico a causa di una violenza fisica o di ripetute violenze verbali subite.
Sono un medico, lavoro in ospedale. Ultimamente mi interesso in modo particolare di un’incomprensibile violenza verbale e fisica che si riversa sui medici (e anche su di me in quanto tale) e della solitudine nella quale vengono lasciati coloro che la subiscono, anzi spesso soli e giudicati come se loro stessi possano essere colpevoli di qualcosa che possano aver detto o fatto per meritarsi tanta violenza che porta, credetemi, ad una sofferenza e ti cambia dentro.
Oggi, sapendo quello che so, non farei mai più il medico: negli ultimi anni è diventato psicologicamente stressante perché molti pazienti sono diventati pretenziosi, arroganti e violenti, è difficile oggi instaurare un rapporto di fiducia medico-paziente anche con tutta la disponibilità e professionalità possibile. Si parla tanto (e giustamente) della violenza fisica (assurda) nei confronti dei medici, ma ritengo che si mettano troppo da parte le ripetute violenze verbali e psicologiche ai quali i medici giornalmente sono sottoposti. Le aggressioni verbali (e lo dico per esperienza) le umiliazioni, denigrazioni, insulti sono devastanti quando ripetuti e questo io lo vivo nella mia esperienza di donna – medico.
Si parla mai del fatto che tutte queste violenze sono nella maggior parte dei casi verso i medici di sesso femminile? Una donna medico deve subire doppiamente.
Faccio un esempio: perché io devo essere chiamata “signora”, quando io in ospedale sono un “medico” e ho tutti i diritti di essere chiamata “dott.ssa”? Eppure è all’ordine del giorno che durante il mio lavoro io e le mie colleghe veniamo chiamate genericamente “signore” e quasi mai “dottoresse”, titolo che a quanto pare spetta solo agli uomini. E quando educatamente lo facciamo notare ai pazienti, il più delle volte si alterano e ci rispondono che è sbagliato “riprenderli”.
Un paziente straniero una volta (avevo dovuto chiamare la vigilanza perché era diventato verbalmente molto aggressivo), arrabbiato, mi ha fatto presente che non mi avrebbe mai chiamata dott.ssa perché nel suo paese “una donna non fa il medico e tantomeno quindi veniva chiamata in questo modo”. Porto questo esempio solo perché tutte quelle violenze verbali pesanti sino alle violenze fisiche (sempre gravi) hanno alla base una profonda mancanza di rispetto nei confronti della dignità di un essere umano e a questo bisogna aggiungere una profonda mancanza di rispetto e di stima nei confronti del fatto che sei donna. Bisogna porre rimedio! Bisogna reagire con un muro di “NO” a questi atteggiamenti.
I medici sono lasciati soli. Se davvero si vuole fare qualcosa, allora si faccia!