Donne e Salute

 “The unheard voice”: spegniamo l’ecografo, ascoltiamo le donne!

19 Settembre 2024

Linguaggio denigratorio, obbligo di ascoltare il “battito del feto”, antidolorifici negati: per la prima volta l’associazione “Medici del Mondo”, grazie ad una speciale installazione, ha fatto ascoltare cosa realmente accade nelle strutture sanitarie e le voci finora inascoltate delle donne che vogliono interrompere una gravidanza in Italia. E denuncia un attacco sistematico all’accesso all’aborto che, oltre a negare un diritto che dovrebbe essere garantito, può avere conseguenze, anche gravi, sulla salute mentale delle donne.


Intervista a Gianluca Ferrario, coordinatore medico dei programmi di “Medici del mondo Italia”
L’aborto dovrebbe essere un diritto per qualsiasi donna, ma ancora oggi il condizionale è d’obbligo. Tra obiettori di coscienza e difficoltà di accedere all’Ivg farmacologica, qual è la situazione in Italia?

L’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg, n.d.r.) è un diritto previsto da una legge esistente dal 1978, la 194, e dovrebbe essere garantito in modo uniforme da tutte le regioni italiane. Ma ancora oggi molte non sono adempienti e dunque per moltissime donne l’ivg si rivela un percorso ad ostacoli, determinato da un insieme di fattori. Non c’è solo un motivo che la rende così difficile, il quadro è molto complesso. C’è una volontà politica di contrastare un diritto, che a livello regionale viene declinato con proposte di legge di matrice anti-abortista. Ci sono molti dati che confermano questo trend: si parla di proposte di legge per assegnare una proprietà giuridica all’embrione o di fondi per il sostegno alla maternità, insomma si rema in direzione chiaramente opposta a tutte quelle donne che scelgono volontariamente d’interrompere una gravidanza. Tutto questo vuol dire negare alla donna un proprio diritto, anche attraverso pratiche terribili, come costringere la gestante ad ascoltare il “battito del feto”. Poi c’è il tema che riguarda la parte “tecnica” dell’ivg ovvero l’obbligo di attesa di 7 giorni tra il rilascio del certificato e lo svolgimento effettivo della procedura, che comporta un inutile allungamento dei tempi. Per non parlare degli obiettori di coscienza, che in Italia raggiungono percentuali del 60% tra i ginecologi, il 40% tra gli anestesisti e il 30% tra il resto del personale sanitario. In alcune regioni come Sicilia, Abruzzo e Molise la situazione è particolarmente difficile, esistono realtà dove i tassi degli obiettori di coscienza raggiungono anche il 100% dunque di fatto molte strutture negano alla donna questa possibilità. L’OMS ha detto chiaramente che qualora la struttura sanitaria non riesca a garantire questo diritto e questo servizio alla donna, allora l’obiezione di coscienza diventa indifendibile. Per quanto ognuno abbia il diritto di essere obiettore, la struttura dovrebbe comunque garantire la prestazione, anche attraverso la mobilità del personale. Ma questo non avviene dunque sono le donne ad essere “mobili” ovvero costrette a percorrere anche centinaia di km prima di trovare strutture che le accolgano per un’ivg. Questo comporta un grande disagio economico, la necessità di assentarsi dal lavoro, l’impossibilità di badare (se ci sono) agli altri figli, senza contare i risvolti negativi sulla salute mentale di chi affronta questa odissea.

Alla luce di questa premessa, siete i promotori della campagna “The Unheard Voice” affinché la voce delle donne che vogliono abortire sia davvero ascoltata. Di cosa si tratta? 

“Medici nel mondo Italia” in collaborazione con la giornalista, Claudia Torrisi, numerose ginecologhe, associazioni sul territorio come “Non una di meno”, “Obiezione respinta”, la psicoterapeuta e attivista Federica di Martino (@IVGstobenissimo) hanno promosso la campagna “The Unheard Voice” per far ascoltare cosa realmente accade nelle strutture sanitarie e le voci finora inascoltate delle donne che vogliono interrompere una gravidanza in Italia. Ringrazio a tal proposito le donne che hanno avuto il coraggio di testimoniare la loro esperienza drammatica: grazie ad un’esperienza sonora immersiva all’interno di una speciale installazione – una teca trasparente con un piccolo ambulatorio ginecologico –, sono state riprodotte alcune delle frasi realmente pronunciate dal personale sanitario, come “Doveva pensarci prima!”, “Ti sei divertita, ora paghi”, “Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!”, “Siamo donne, dobbiamo soffrire”. Si tratta di testimonianze reali di donne che, a fronte del proprio diritto di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza, hanno subito abusi e violenze inaccettabili, da Nord a Sud della Penisola, per il tentativo di dare una connotazione negativa al loro gesto ed essere caricate di sensi di colpa. “Spegniamo l’ecografo, diamo voce alle donne” è il leitmotiv di questa iniziativa; un’esperienza molto forte, che tocca le corde più profonde e sensibili di chi si mette all’ascolto.

L’aborto volontario è un evento carico di implicazioni emotive. La violenza psicologica di cui sono state vittime queste donne che tipo di conseguenze può avere sulla salute mentale?

Ai numerosi ostacoli che chi vuole abortire deve affrontare, si somma un trauma emotivo del tutto inutile. Secondo l’OMS una normativa restrittiva sull’aborto può causare angoscia e stigmatizzazione e rischia di costituire una violazione dei diritti umani, oltre a imporre oneri finanziari. Sulla stessa linea lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco -, che dimostra che le donne che incontrano barriere, che ritardino o rendano più difficoltoso l’accesso alla IVG, presentano maggiormente stress, ansia e depressione. Le donne a cui è stata negata l’IVG, rispetto a quelle che hanno potuto abortire, hanno riportato anche maggiori difficoltà economiche e maggiore probabilità di vivere in stato di povertà, di rimanere legate a un partner violento o di crescere i figli da sole. Al contrario le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico: l’emozione più comunemente provata è il sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l’interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta.

Da medico mi atterrisce molto sentire le testimonianze di donne vittime di violenza psicologica, in un momento così delicato della loro vita: non solo manca un percorso di accompagnamento, ma le donne vivono un vero e proprio trauma perché manca un orientamento scientifico che lasci la possibilità e la libertà di decidere serenamente. C’è ancora molta disinformazione, si parla di pillola abortiva come di un “veleno”, si riscontra un atteggiamento del personale sanitario che molte volte è denigratorio, colpevolizzante, e questo è assolutamente deprecabile. In più molte testimonianze riportano la difficoltà all’accesso a terapie antidolorifiche rispetto all’igv, che sono invece una parte essenziale di questo percorso. A molte donne viene rifiutata la terapia antidolorifica per l’aberrante logica del “sei donna, devi soffrire”. Questa è una terapia criminale, una lotta contro l’aborto che si gioca sul corpo delle donne.

Il nostro network di “Cultura è Salute” s’impegna a promuovere il rapporto empatico tra medico e paziente. Da questa intervista ci sembra di capire che in questo senso si deve ancora lavorare molto, Lei cosa auspica per il prossimo futuro?

Da medico penso che l’empatia dovrebbe essere alla base di qualsiasi rapporto tra un professionista della sanità e un paziente, in qualsiasi struttura sanitaria, ancor di più quando si affronta un percorso d’ivg, che già a livello politico trova tanti ostacoli. Vorrei porre l’accento anche sull’importanza del rispetto e del supporto psicologico a garanzia di quello che dovrebbe essere un diritto e in questo senso l’atto medico dovrebbe uscire dall’approccio ideologico, ma limitarsi ad essere tale, nel rispetto della persona che si affida ad un professionista. Nelle testimonianze che abbiamo raccolto è molto toccante il fatto che venga raccontato di quante poche volte sia compiuto il “semplice” gesto di prendere la mano di una paziente per tranquillizzarla e spiegarle a cosa andrà incontro. Tutto questo dovrebbe essere alla base di un rapporto medico-paziente sano, ben diverso dall’approccio freddo e ostile di cui siamo stati testimoni troppe volte.

ABORTO: QUALCHE NUMERO

L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale. Dei circa 121 milioni di gravidanze indesiderate che si verificano ogni anno nel mondo, il 60% si conclude con un aborto. Di questi aborti, il 45% avviene in condizioni non sicure, a causa dell’accesso limitato al servizio. I numeri dell’OMS parlano di 39.000 decessi all’anno e di 7 milioni di persone costrette all’ospedalizzazione. Si stima, inoltre, che oltre 20 milioni di donne in Europa non abbiano accesso all’aborto.

A questo proposito, in Italia, una delle questioni più rilevanti è l’obiezione di coscienza. Secondo il Ministero della Salute, nel 2021 in Italia si è dichiarato obiettore il 63,4% dei ginecologi (con picchi dell’85% in Sicilia, 84% in Abruzzo e 77,8% in Molise), il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico. In Italia effettuano IVG il 59,6% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,8 punti IVG ogni 100.000 donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania (1,5 punti IVG per 100.000 donne), Molise (1,8) e nella provincia autonoma di Bolzano (1,8). La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Secondo la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali (e 4 consultori) la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, in 72 è tra l’80 e il 100%. In 18 ospedali c’è il 100% di ginecologi obiettori.

Altro sintomo di una rete sanitaria non adeguata a garantire l’accesso a cure abortive è il numero di Consultori Familiari (CF), primo punto di accesso e informazione per indirizzare nel percorso per l’IVG. L’Indagine nazionale 2018-2019 dell’Istituto Superiore di Sanità rileva un centro ogni 32.325 abitanti, contro la proporzione prevista dalla Legge 34/1996 di uno ogni 20.000 abitanti, con cinque Regioni con un rapporto superiore a 40.000 residenti per CF. Inoltre, rispetto allo standard di riferimento stabilito nella Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194 al Senato nell’anno 1995, il valore medio delle ore di lavoro settimanali è inferiore di 6 ore per la ginecologia, di 11 per l’ostetricia, di una per la psicologia e di 25 per l’assistenza sociale. Non solo: secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194 presentata nel 2023, nel 2021 i consultori che effettuano counselling per l’IVG e rilasciano certificati rappresentano il 68,4% del totale (l’anno prima erano il 69,9%). Negli anni, comunque, i consultori hanno raddoppiato la frequenza di rilascio della documentazione per l’IVG, passando dal 24,2% del 1983 al 42,8% del 2021. Il 53% di coloro che si rivolgono ai consultori per ottenere il certificato sono persone straniere. I consultori sono anche i luoghi individuati dalle linee di indirizzo emanate nel 2020 per accedere all’aborto farmacologico in regime ambulatoriale – seppur al momento solo tre regioni si siano adeguate a queste previsioni (Lazio, Emilia-Romagna e Toscana).