8 Luglio 2024
Di Massimo Lanzaro, psichiatra
Introduzione
La mia esperienza con persone affette da disturbo borderline di personalità (BPD) è cominciata anni addietro, quando ho avuto la ventura di lavorare al Dene Hospital nel West Sussex, in Inghilterra. Si tratta di Medium Secure Units (MSU), una versione avanzata, per così dire, delle nostre REMS, dove vengono ricoverati esclusivamente utenti borderline definiti clinicamente gravi, a cui non è consentito lasciare la struttura se non con permessi speciali. In quel contesto le gamme di grigio praticamente non ci sono: le persone hanno un disturbo severo (anche così si dice in gergo), fanno cose autolesionistiche tremende, sono spesso socialmente pericolose e disastrose a livello di relazioni interpersonali. Col passar del tempo mi sono reso conto che avere avuto la possibilità di mettere sotto la lente di ingrandimento un estremo del continuum borderline mi ha molto aiutato a comprendere gli stadi intermedi e quelli ancor più sfumati. Ad esempio: mentre in una MSU una persona non esitava a conficcarsi un coltello nella gamba, una mia paziente che seguo tuttora si procura dei piccoli taglietti dove è sicura che gli altri non possono vederli. Chi soffre di BPD è solitamente travolto da una percezione amplificata delle proprie emozioni, che non riesce a controllare o a gestire; sperimenta quella che è stata definita una stabile instabilità nei comportamenti e nelle relazioni. Spesso vanno in isolamento e ritiro sociale a causa della loro fragilità, del pessimismo dei sintomi depressivi e degli stati ansiosi. Molti fanno abuso di alcol e/o sostanze stupefacenti, soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di comorbidità con disturbi dell’umore, praticano autolesionismo e arrivano a compiere tentativi di suicidio, a volte molto seri, altre volte meramente dimostrativi (c.d. cry for help). Andando oltre in questa ipotetica “gamma o spettro di gravità” (tra l’altro avvalorata dalle tesi di Otto Kernberg), a questo punto potrei chiedermi: chi di noi non si è sentito fragile qualche volta, chi non ha preso una sbronza per mitigare un momento di crisi esistenziale? Chi non ha sperimentato momenti di ansia o demoralizzazione? In altre parole: forse tutti abbiamo qualche tratto borderline, che non si manifesta in maniera evidente o che emerge di tanto in tanto come fattore isolato, magari in seguito a particolari stress.
La letteratura ci dice che la prevalenza del BPD (cioè il rapporto tra il numero dei malati e il numero totale degli individui in un periodo di tempo definito) è in continuo aumento in adolescenti e giovani adulti nella post-modernità, ovvero in quello che Bauman definisce “Il mondo liquido”. Perché? Esiste una plausibile ancorchè articolata spiegazione per questo fenomeno? Postulare una risposta a questa domanda e descrivere le conseguenze sulle relazioni amorose e interpersonali delle persone con tratti borderline è l’argomento di questo scritto.
La società liquida
Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche ha concentrato le sue pubblicazioni sul passaggio dalla modernità alla post-modernità, e le relative questioni etiche.
Con un’espressione divenuta proverbiale, egli ha paragonato i concetti di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società.
È evidente il collegamento con i suoi primi studi di fisica, che intraprese prima di passare alla sociologia: “I fluidi non possono mantenere una forma da soli (come l’identità frammentata di chi ha un disturbo borderline della personalità) finché non li metti in contenitori (idem: il setting terapeutico) non conservano la medesima forma per molto tempo. Le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano comunque prima che i loro modi di agire riescano a “consolidarsi”.
Sostanzialmente, Bauman ritiene che l’uomo di oggi non abbia più certezze né punti di riferimento stabili (che sono, si noti, caratteristiche costitutive di un’organizzazione BDP: la perenne precarietà, instabilità e incertezza). È diventato tutto più fluido, liquido appunto.
Il postulato è dunque che, in un certo senso, questa aura generalizzata di “instabilità liquida” potrebbe essere un fattore ambientale e culturale predisponente che contribuisce ad alimentare i tratti borderline che sono in potenza presenti in ognuno di noi. In altre parole, la società contemporanea abbasserebbe la soglia borderline delle persone “normali” e acuirebbe i tratti di chi ha già il disturbo di personalità diagnosticato e conclamato in vari livelli di gravità.
Il modello biopsicosociale e l’influenza ambientale
A questo punto è indispensabile accennare al modello vulnerabilità-stress-coping (VSC), che è una teoria che spiega come sorgono i disagi psicologici. Secondo questo modello, detto anche biopsicosociale, in alcune persone l’effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti ambientali supera una certa soglia di adattamento individuale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a cui la persona è vulnerabile (Zubin et al., 1992).
La vulnerabilità, il cui concetto somiglia molto a quello di fragilità, va intesa come una predisposizione congenita, in parte ereditaria e in parte acquisita, probabilmente associata ad anomalie del metabolismo di alcuni neurotrasmettitori; tale predisposizione interagisce con fattori psicologici quali la personalità intesa come capacità di risposte individuali ad un evento biologico o sociale, in parte innata, in parte acquisita sulla base delle esperienze pregresse.
Tale interazione determina una specifica soglia di vulnerabilità di base, che, se superata in seguito ad eventi stressanti, dà origine all’episodio psicopatologico.
Questo, a ben pensarci succede anche con l’epilessia: tutti gli esseri viventi hanno una cosiddetta soglia epilettogena, ciò significa che in determinate condizioni di sofferenza (ad esempio, arresto cardiaco, ipoglicemia marcata, fotostimolazione estrema) il cervello reagisce producendo una crisi epilettica anche nelle persone “normali”, senza diagnosi di epilessia. La soglia epilettogena individuale è regolata da una predisposizione geneticamente determinata.
Ora, auspicando di essere ancora più chiaro: alcuni possono provare un forte stress se vedono un gattino abbandonato, altri non si curano nemmeno di un lieve terremoto, rimangono calmi e “fanno le cose giuste tranquillamente”. Lo stress per ciascuno di noi è una variabile fortemente soggettiva, entro certi limiti “gaussiani”. Come detto, questa situazione non è “immutabile”: per migliorare le cose si può intervenire sulla soglia di vulnerabilità della persona, sulla stimolazione stressante quando possibile e incrementando le risorse personali di resilienza.
Infine c’è la variabile della spiritualità, spesso ignorata. La spiritualità aiuta a gestire lo stress, aiuta le persone a sentirsi tranquille, più sicure, il che può ridurre notevolmente lo stress. La meditazione sembra avere benefici simili alla preghiera, aiuta ad abbassare la pressione arteriosa e ad aumentare le difese immunitarie, tra i numerosi benefici per combattere lo stress.
Tenendo presente questo modello e l’influenza che l’ambiente ha sullo stress e sul disagio psicologico ricordiamo l’idea di James Hillman, secondo cui le nostre nevrosi e la nostra cultura sono inseparabili, mentre il mistico Paramansa Yogananda sosteneva che l’ambiente è più forte della volontà (quindi ove possibile bisognerebbe sceglierlo con cura). E l’ambiente, la cultura prevalente nel cui ambito noi tutti viviamo, se prendiamo per buone la tesi di Bauman, sono anche quelle che hanno le caratteristiche del mondo liquido. Anche Walter Benjamin ebbe a dire che i “malati” hanno una cognizione speciale dello stato collettivo della società.
La liquidità è riscontrabile anche nelle relazioni sentimentali, ed è proprio questo il tema centrale del saggio Amore liquido di Bauman. In particolare, le riflessioni in esso contenute riguardano l’uomo senza legami fissi, l’abitante della società liquido-moderna.
Mentre fino a poco tempo fa le relazioni a lungo termine erano considerate “istinti naturali”, oggi sono percepite come oppressive: “L’impegno verso un’altra persona […] in particolare un impegno incondizionato e “finché morte non ci separi”, nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, assomiglia sempre più a una trappola da scansare a ogni costo”.
Prendiamo ora in considerazione tre paradigmi accreditati per cercare di definire ulteriormente la sindrome borderline: quello fenomenologico, quello di Kernberg e quello nosografico-descrittivo del DSM.
1. Alcune note di psicopatologia fenomenologica
Kohut ha definito i borderline e i narcisisti “persone tragiche” (con drammaticità magari alternata a vittimismo), il cui marker distintivo è la collera disforica. In altre parole fa riferimento ad un terzo asse del tono dell’umore: non ipo/triste, né iper/euforico ma –dis, cioè una costante tensione, irritabilità, collera, che spesso esita in improvvidi agiti (acting-outs) come lanciare oggetti o sputare sentenze lapidarie (che possono assurgere a convinzioni erronee ma per certi versi inappellabili). Le relazioni interpersonali sono ovviamente difficoltose, proverbialmente definite “stabilmente instabili” e tramate dalla cosiddetta manipolatività, più o meno consapevole. La manipolazione è un tipo d’influenza sull’altro finalizzata a cambiare la percezione o il comportamento usando schemi e metodi subdoli e ingannevoli, che possono anche nei casi peggiori sfociare nell’abuso sia psicologico che fisico, anche se di solito quella borderline non è machiavellica, è “bonaria”, ovvero mirata ad ottenere piccoli vantaggi: consente loro semplicemente di sopravvivere, in un certo senso.
Spesso si assiste a comportamenti “come se”: mi comporto come se tu fossi il terapeuta perfetto, come se avessi incontrato la persona della mia vita (questo rientra nella visione delle cose bianco/nero, che non contempla sfumature di grigio e procede alternando continuamente idealizzazioni e svalutazioni). Si assiste allo stilema del vuoto, dello spleen alla Baudelaire, quando l’animo si colora di nero e, per mitigare questo stato d’animo quando diventa insopportabile non è inconsueto il ricorso a sostanze “anestetizzanti o tranquillanti” più o meno lecite, come l’alcool o la cannabis, ad esempio o a comportamenti come la promiscuità sessuale (che genera poi inevitabilmente sensi di colpa). Altre caratteristiche che si possono riscontrare: nessun impegno sicuro, incluso quello lavorativo, vite nomadi, passaggio da una stanza in affitto ad un’altra: in altre parole uno stile esistenziale di vita “liquido”, alla Bauman, appunto. Si pensi ad attori come James Dean, eroe/antieroe che anticipa la post-modernità, alla “Personalità di mercato” descritta da Fromm e principalmente all’”Uomo senza qualità” di Musil.
2. Il modello psicodinamico di Kernberg
Negli anni ’60 Otto F. Kernberg, psichiatra e psicoanalista, sviluppò un modello psicoanalitico di questi disturbi basato sulla teoria delle relazioni oggettuali e sulla Psicologia dell’Io. Il termine “organizzazione di personalità borderline” descrive un livello di funzionamento mentale che varia lungo un continuum, da un livello superiore, meno patologico e più vicino al versante nevrotico, ad uno inferiore, più grave e prossimo alla psicosi. Questo, detto a margine, confermerebbe l’ipotesi che in ciascuno di noi potrebbero esserci degli sfumati, normalmente impercettibili tratti borderline, influenzabili tuttavia nel loro “disvelamento” dai livelli di stress e dalle circostanze ambientali.
Kernberg indica vari sintomi: fobie multiple, reazioni dissociative, preoccupazioni ipocondriache, sessualità perversa polimorfa, abuso di sostanze e incapacità di posticipare il soddisfacimento degli impulsi o di modulare affetti come l’ansia, a causa di una debolezza intrinseca dell’Io. Ritiene però che la diagnosi si debba basare non tanto sui sintomi riscontrati, quanto sulla presenza di alcune caratteristiche strutturali che determinano l’organizzazione di personalità borderline (distinta dalle altre due che sono l’organizzazione nevrotica e quella psicotica delle personalità).
L’organizzazione borderline si caratterizza per l’impiego sistematico di un certo gruppo di meccanismi di difesa che Kernberg considera più “primitivi” rispetto a quelli di tipo nevrotico: la scissione, la svalutazione, l’idealizzazione e l’identificazione proiettiva, mediante cui l’individuo categorizza ogni persona del suo ambiente come “completamente buona” o “completamente cattiva”, anche se il giudizio su una persona può variare da un giorno all’altro o anche più volte al giorno. Le relazioni oggettuali sono quindi patologiche, la persona esterna non è considerata nel suo insieme di caratteristiche positive e negative, e anche le rappresentazioni di sé non vengono integrate, portando a una diffusione o dispersione dell’identità individuale, e caratteristiche individuali “di tratto”, alcune delle quali potrebbero essere cioè di natura genetica.
Nello specifico, Kernberg individua una forma di “debolezza dell’Io”, che ricorda l’insicurezza ontologica descritta da Laing (come se dovessero reiventare ogni giorno la narrazione della propria identità). Questa si manifesta in una difficoltà nel differimento della scarica pulsionale e nella regolazione dell’ansia (che conduce a forme di “voglio tutto e lo voglio subito”). Fanno fatica a sublimare e gestire emozioni intense, come l’innamoramento, e a regolare i comportamenti e i vissuti ed esse correlati. Il pensiero di queste persone, poi, sembra “primitivo” (come nelle fasi precoci dello sviluppo) e similpsicotico nelle situazioni di vita in cui l’individuo è sotto la pressione di stressors o affetti intensi, caratteristica che deve aver sollevato, negli anni 50, il serio dubbio che questo genere di disturbi potesse essere una forma di psicosi (eppure i borderline quasi mai diventano “stabilmente psicotici”).
3. Il DSM
Le formulazioni del manuale DSM IV e le versioni successive, come pure le classificazioni più moderne internazionali (ICD-10) hanno ristretto la denominazione di disturbo borderline fino a indicare, più precisamente, quella patologia i cui sintomi sono la disregolazione emozionale e l’instabilità del soggetto. Il disturbo borderline di personalità è un’enorme sfida per la psichiatra contemporanea; è definito come caratterizzato da un vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici è la paura dell’abbandono: i soggetti borderline, infatti, tendono a soffrire di crolli della fiducia in se stessi (che possono essere proiettati sull’altro o sul partner) e dell’umore, e di conseguenza a cadere in comportamenti autolesivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche molto brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare a questi frangenti dei comportamenti normali.
Si osserva, talvolta la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero” oppure alla “separazione cognitiva”, ovvero il sentire o credere che una cosa o una situazione possa e debba essere classificata solo tra possibilità opposte: amico o nemico, amore o odio, etc. Chiaramente, questa separazione non è ponderata, bensì immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica come detto certi meccanismi primitivi di difesa (quali la scissione, l’idealizzazione e l’isolamento delle emozioni).
Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi d’identità e di umore che caratterizzano il passaggio successivo, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata, determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo.
Oltre ai criteri categorici che ora elencherò, aggiungo per completezza che il DSM-5 Sezione III include anche un modello di valutazione dimensionale per determinare la gravità dei sintomi e i tratti di personalità, attraverso scale numeriche su cui sarebbe impossibile soffermarci in questa sede.
Per comodità riporto invece la descrizione categoriale del DBP secondo il DSM 4-TR, rimasta invariata.
Le caratteristiche essenziali sono una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta all’interno di vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
- sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
- un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;
- alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
- impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (come spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, etc.)
- correnti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;
- instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochi giorni);
- sentimenti cronici di vuoto;
- rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.);
- ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress (spesso non correttamente inquadrata dal clinico inesperto).
Veniamo dunque agli aspetti e alle problematiche relazionali. Le persone con DBP possono sperimentare emozioni intense e instabili, comprese quelle legate all’amore e all’affetto. Possono essere in grado di formare legami emotivi profondi e significativi con gli altri, inclusi i partner romantici, e possono provare un forte attaccamento emotivo, che tuttavia spesso è anche caratterizzato da costante instabilità. La tendenza naturale delle persone con tratti borderline è appunto quella di stabilire relazioni superficiali e fatue, che durano poco. Tendono a mettersi nelle mani dell’altro non per amore ma per una forte necessità di protezione e per il bisogno di colmare i sentimenti cronici di vuoto: una mancanza. La società moderna quindi tenderebbe a creare un ambiente nel quale le “propensioni” del BPD vengono inesorabilmente amplificate: la liquidità alla Bauman favorisce infatti la superficialità, la transitorietà e l’instabilità.
Quando il borderline s’innamora ha bisogno di testare in continuazione “se l’altro ci tiene veramente”, soprattutto perchè ha la fortissima necessità di essere accettato anche nei suoi lati peggiori. Per banalizzare, l’amore rende sospettose tali persone, che si ritengono inconsciamente indegne di essere amate. Questo finisce per ripercuotersi (dopo i meccanismi d’idealizzazione iniziale) sul partner, che ha “la colpa” di amare una persona che si ritiene di poco valore, per cui in qualche modo anche lui o lei “deve essere sbagliato” (e come tale viene trattato, in un circolo vizioso). A creare ulteriore ambivalenza e conflitto c’è il timore dell’abbandono che esita nell’atteggiamento “né con te né senza di te”, altro doppio legame tossico.
Se e quando la relazione cominciasse a concretizzarsi, il borderline muove solitamente il suo attacco. Rompe il legame affettivo con un comportamento che ferisce: un tradimento, o un litigio durante il quale si muovono accuse inesistenti, che ha sovente le sue radici in una dimensione superegoica impulsivo-punitiva. Si può immaginare come la tendenza all’impulsività possa essere accentuata in una società liquida, “che va veloce”.
I tratti borderline di per sé quindi rendono le relazioni interpersonali difficoltose; fornirò qualche esempio di come queste difficoltà possano essere amplificate da alcune variabili sociali e antropologiche (anche tenedo presente il modello VSC descritto in precedenza):
- La difficoltà a sperimentare una “solitudine buona” (Correale) e il timore dell’abbandono sono rese più intense in un contesto dove domina la virtualità e la mancanza del sostegno di legami sociali concreti e stabili (si veda, oltre a “La solitudine del cittadino globale di” Bauman, “L’epoca delle passioni tristi” di Miguel Benasayag e Gérard Schmit).
- La tendenza a sviluppare un grado di diffidenza che va fino a sintomi psicotici transitori (anche di sfumato sapore persecutorio) di certo non migliora in una realtà in cui i sistemi di sorveglianza e sicurezza sono ubiquitari nelle aree urbane, e i mass media trasmettono interminabili servizi allarmistici.
Come ricordato da Bin Kimura in “Scritti di psicopatologia fenomenologica” questa precarietà esistenziale rinforza il noto “né con te né senza di te”, e i rapporti tossici e distruttivi.
Ecco alcuni tipi di relazione “instabili e precarie” descritti in maniera più o meno esplicita da Bauman in “Amore liquido”, in cui di certo il lettore ritroverà delle caratteristiche borderline:
- La relazione tascabile
Non implica relazioni ed innamoramento ma si basa esclusivamente sul calcolo e sulla convenienza. - Le relazioni sui siti internet
Una persona così mi spiegò il pregio della relazione elettronica: “basta poi premere il tasto cancella!” (sic). - La relazione da centro commerciale
È pilotata dalla voglia immediata e non dal desiderio (che richiederebbe tempo, coltivazione, costanza, confronto continuo e approfondita conoscenza). - La relazione da mercato azionario
Le mantieni in portafoglio finché promettono di aumentare di valore e le vendi immediatamente non appena i profitti cominciano a calare.
Da questi esempi s’inizia ad intuire come la complessità e i ritmi della realtà contemporanea possono seriamente contribuire a rendere relazioni già precarie tossiche o potenzialmente distruttive. Altri elementi da (ri)sottolineare, specifici del DBP sono:
- I meccanismi di idealizzazione e svalutazione che normalmente si alternano per enantiodromia inducono nel partner sensi di colpa, svalutazione e inadeguatezza. La situazione peggiora quando c’è un grado di analfabetismo emotivo-relazionale e diventa pressochè impossibile confrontarsi autenticamente, pienamente e costruttivamente prima con sé stessi e poi col partner. Ulteriori difficoltà subentrano quando uno dei due o entrambi sono immersi in un contesto familiare ad alta emotività espressa.
- La paura dell’abbandono: se l’altro viene percepito come lontano (e magari di fatto non lo è) si generano emozioni di rabbia, comportamenti controllanti, possessività ingiustificata.
- Quello che è un conflitto costante tra dipendenza e abbandono rende la relazione stressante e destabilizzante; ogni piccolo fossato viene a somigliare ad un precipizio e su questa continua insicurezza è quasi impossibile sviluppare un senso di fiducia reciproca e/o trovare una giusta e sana distanza dinamica di coppia.
- Il tempo del trauma originario è immobile, una scheggia di eternità conficcata nella mente del soggetto con BPD. Emergono i bisogni di vicinanza e protezione mai appagati negli originari attaccamenti ma nessuna relazione riesce a colmare la mancanza di un oggetto interno costante.
- Il tutto vede sullo sfondo una cultura consumistica che predilige soluzioni rapide (una buona psicoterapia non lo è), soddisfazione immediata, risultati senza troppa fatica e ricette infallibili (idem).
Che fare?
Alcuni suggerimenti per aiutare un amico o un parente con il disturbo borderline di personalità: offrire supporto emotivo, comprensione, pazienza e incoraggiamento: il cambiamento può essere difficile e spaventoso per le persone con un disturbo borderline di personalità, ma è possibile il miglioramento nel tempo.
Per vivere con una persona con questo disturbo bisogna rimanere calmi e sereni, fornire affetto ed essere pazienti, soffocare dissapori e dissensi, affrontare le cose in modo calmo ma diretto, senza critiche o giudizi. Inoltre, è molto importante non reagire in modo passivo-aggressivo, sia verbalmente che non verbalmente, poiché ciò favorirebbe la reazione difensiva del partner. Andrebbero incoraggiate ad intraprendere un percorso di psicoterapia dialettico-comportamentale.
La Terapia Dialettico Comportamentale, ideata da Marsha Linehan negli anni ’80, è un programma terapeutico che nasce in modo specifico per la cura del Disturbo Borderline di Personalità per imparare a gestire le emozioni e migliorare le relazioni interpersonali. C’è un consenso generale in letteratura concernente l’efficacia di questo approccio.
Bibliografia essenziale
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- Ammaniti M. (a cura di), Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Milano, Raffaello Cortina, 2002, ISBN 978-88-7078-782-5
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- Linehan M.M. et al., Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline. Il modello DBT. Raffaello Cortina, 2021
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