7 Maggio 2024
Grande successo a Catania per la mostra multisensoriale ed accessibile a tutti, il cui obiettivo è quello di abbattere qualsiasi barriera, permettendo ad ogni visitatore un’esperienza a tutto tondo. Ne parliamo in questa intervista esclusiva con la Professoressa Germana Barone, ideatrice della rassegna e delegata al Sistema Museale di Ateneo.
Professoressa, ci ha molto colpiti la mostra multisensoriale “Il Museo per tutti i sensi” dell’Università di Catania. In cosa consiste questo progetto e che tipo di percorso ha proposto la rassegna?
“Il Museo per tutti i sensi” nasce come seconda edizione di un progetto multisensoriale avviato l’anno precedente sempre all’interno delle sale del Museo dei Saperi e delle Mirabilia siciliane (da ora: Mirabilia), ma in una versione più aggiornata e ampliata. Entrambe le edizioni, infatti, si proponevano tra gli obiettivi da un lato di migliorare l’accessibilità e l’inclusività delle collezioni attraverso nuovi allestimenti tattili e multisensoriali, dall’altro di creare un approccio innovativo alle materie STEM, verso le quali oggigiorno si registra una forte disaffezione specialmente tra i giovani. Se nella prima edizione pilota, intitolata “Il fantastico mondo delle rocce”, ci si era concentrati esclusivamente sulle collezioni di Mineralogia, Petrografia e Vulcanologia dell’Ateneo, nella seconda si è deciso di estendere quelle novità a tutte le sale di Mirabilia, in un unico percorso organico che coinvolgesse, quindi, tutte le collezioni esposte, dall’archeologia all’anatomia, dalla zoologia alla paleontologia. Non solo, ma in aggiunta al percorso di visita ordinario, sono state allestite pure le sale dedicate alle mostre temporanee e nelle quali sono stati esposti modelli plastici in scala di monumenti simbolo della città di Catania. In questo modo ciascun ambiente del museo è stato arricchito da uno o più dispositivi, utili per una diversificata stimolazione sensoriale: dal libro tattile alle riproduzioni in scala di modelli anatomici, dai campioni mineralogici che grazie alle loro peculiari qualità si prestavano ad essere manipolati, annusati (zolfo, pece), assaggiati (salgemma) ai monumenti della città; e ancora diffusori di essenze per stimolare l’olfatto nella sezione di botanica, audio d’ambiente (vulcano in eruzione, sciabordio del mare) per affinare l’udito, didascalie in Braille e audioguide con narrazioni distinte per target di pubblico, tutto ha concorso per rendere i contenuti di ciascuna sala accessibili a un pubblico quanto più ampio e diversificato possibile.
In un mondo sempre più dominato dai social e dall’effimero, quanto è importante il fatto che il “Museo per tutti i sensi” sia stato ideato e co-progettato dai dottorandi di Scienze umanistiche e Scienze geologiche?
Il corso di Museologia e Gemmologia, dal quale sono nati i progetti, si è proposto più come un cross-laboratorio interdisciplinare che coniugasse alla prima fase teorica, svolta in aula, una seconda più pratica, in cui fosse possibile assimilare e mettere subito in atto ciò che era stato appreso. La co-progettazione interna tra i corsisti – studenti universitari del corso di Laurea magistrale in Scienze Geologiche coadiuvati dai colleghi del primo e del secondo anno di dottorato in Scienze per il Patrimonio e la Produzione Culturale – ha costituito un elemento chiave per la realizzazione delle due edizioni. Infatti, per entrambi i gruppi, l’ideazione e l’allestimento hanno comportato delle novità rispetto ai propri ambiti di afferenza; ciascun corsista si è dovuto mettere in gioco portando il proprio know-how e arricchendolo con quello dei compagni; così, ad esempio, se gli aspiranti geologi erano in possesso delle nozioni contenutistiche relative alle collezioni scientifiche, dall’altro i dottorandi umanisti hanno rielaborato quelle informazioni attraverso adeguate tecniche di storytelling. Tra i corsisti, si segnala la presenza di alcune persone in possesso di specifiche competenze in materia di disabilità, che hanno concorso ad affinare la proposta progettuale; tra di essi vi era chi aveva trattato il tema come argomento dei suoi studi precedenti, chi in possesso di certificazioni di corsi di Braille di I e II livello, chi ancora con all’attivo esperienza lavorativa nel campo della disabilità visiva sia in qualità di operatore museale sia in qualità di insegnante. La collaborazione tra questi gruppi di studenti ha permesso, dunque, un confronto virtuoso tra fasce generazionali con competenze diverse, creando, in maniera dinamica ed efficace, un momento di crescita e apprendimento fortemente formativo per entrambi.
In altre parole: è ancora possibile sensibilizzare i più giovani su temi come “inclusività” ed “accessibilità”?
Nella nuova definizione di museo dettata dall’ICOM nel 2022 si legge che «[…] Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità». Non è, dunque, solo una possibilità, ma è un vero e proprio dovere di ciascuna istituzione museale sensibilizzare tutti i tipi di pubblico, a partire dai giovani, ai temi dell’inclusività e dell’accessibilità. Per questo motivo il nostro Sistema Museale d’Ateneo (da ora: SiMuA) lo ha inserito all’interno della propria mission, e cerca di attuarlo attraverso progetti come “Il Museo per tutti i sensi”. Teniamo a sottolineare che, in questo specifico caso, non ci si è voluti fermare alla sola accessibilità fisica attraverso gli allestimenti tattili, ma si è voluto coinvolgere studenti caratterizzati da particolari fragilità, attraverso una co-progettazione che coinvolgesse le scuole fin dall’ideazione del progetto con il supporto e il coinvolgimento degli studenti universitari e dei docenti di scuola. Infatti, nelle prime due giornate inaugurali, le visite sono state condotte dagli Apprendisti Ciceroni, allievi del V anno di una classe del Liceo Artistico “E. Greco” di Catania, tra i quali erano stati inclusi anche studenti diversamente abili (disturbi specifici dell’apprendimento, disturbi dello spettro autistico) che, messi alla pari con i loro compagni attraverso la metodologia della peer education, hanno potuto instaurare un rapporto reciproco e virtuoso di apprendimento circolare gli uni dagli altri, creando un legame sociale e culturale che va al di là delle tradizionali esperienze museali. L’idea che ciascun individuo abbia qualcosa da insegnare e da imparare contribuisce a creare un ambiente inclusivo in cui il valore di ogni partecipante è riconosciuto, e questo è un aspetto che non va mai dimenticato e che bisogna continuare a perseguire.
Il museo è appunto stato accessibile a tutti con l’obiettivo di apportare benefici fisici e mentali ai visitatori: l’arte diventa una “terapia” per l’animo? La bellezza può “curare” corpo e mente?
Come dimostrato in letteratura, esiste una relazione stringente fra cultura e il wellbeing (benessere) di un individuo; partecipare ad eventi culturali, infatti contribuirebbe sia a gestire e ridurre i livelli di stress, sia a migliorare la qualità di vita e di salute di chi ne usufruisce. Ciò è stato ribadito anche dalla prof.ssa Antonella Poce che, nella giornata inaugurale de “Il Museo per tutti i sensi”, ha tenuto un intervento dal titolo “Esplorare le collezioni. Perché il museo è strumento di benessere” affermando che «uno degli obiettivi del museo deve essere quello di divenire luogo accogliente, capace di trasmettere benefici fisici, ma soprattutto mentali. È importante che l’utente si senta ben accolto, felice e che comprenda che il museo sia una estensione del proprio ambiente di lavoro, di studio o di gioco». All’interno del binomio cultura-salute le istituzioni museali, attraverso l’approccio olistico della “Museoterapia”, uniscono competenze mediche e museologiche creando programmi terapeutici innovativi. A conferma di ciò, vi sono anche i dati raccolti dall’ISTAT con gli indicatori BES – Benessere Equo e Sostenibile, tra i quali compare proprio il patrimonio culturale. Arte, bellezza e cultura, quindi, sono ufficialmente riconosciuti come elementi che possono portare benessere, per questo è stato coniato il termine di “welfare culturale”, obiettivo generale che dovrebbe essere perseguito da tutte le istituzioni culturali, cosa che il nostro SiMuA già mette in atto e sul quale continua a lavorare. A breve, infatti, verrà avviata con una prima fase di sperimentazione un’iniziativa che vedrà coinvolti il SiMuA, il museo di Mirabilia e il reparto pediatrico del Presidio Ospedaliero Policlinico “G. Rodolico” di Catania, per far sì che il museo diffonda la cultura anche all’in fuori delle proprie mura, raggiungendo una fascia di pubblico – i giovani pazienti lì ricoverati – momentaneamente impossibilitata nel venire in sede, rafforzando il legame che intercorre tra la fruizione del patrimonio e la sensazione di benessere, fisico e mentale, che ne scaturisce.
Infine questa esperienza rappresenta in qualche modo un trampolino di lancio per ripensare la museologia in chiave sociale?
Assolutamente sì, la nostra iniziativa si inserisce nel solco delle sfide sociali in atto che le istituzioni culturali si trovano a dover fronteggiare attraverso pratiche che, tramite network con altre istituzioni e realtà attive sul territorio, affrontano il tema della memoria collettiva, dell’identità culturale e del patrimonio territoriale. Questo elemento è ribadito con forza all’interno del regolamento del museo di Mirabilia, la cui mission comprende «la promozione di una rete locale con gli altri musei sia cittadini che nazionali, le collaborazioni con le scuole di ogni ordine e grado […], accordi con enti, associazioni e fondazioni del territorio per le attività che rientrano negli interessi del museo, quali la salvaguardia, la tutela e la fruizione dei beni culturali». Anche per questo motivo siamo stati invitati a raccontare le due edizioni del nostro progetto alla XXI Conferenza del Movimento Internazionale per una Nuova Museologia (MINOM) dal titolo “Ripensare le museologie in chiave trasformativa: alleanze trans-disciplinari per società più giuste”, svoltosi a Catania nel febbraio 2024. L’occasione è stata utile non solo perché ha permesso di confrontarci con altre esperienze portate avanti sul territorio nazionale, ma anche perché ha fatto capire l’importanza della collaborazione, della co-progettazione e dell’interdisciplinarietà con un network territoriale che bisogna ampliare e rinnovare, e in cui l’Ateneo, anche attraverso il SiMuA, potrebbe costituire uno dei principali interlocutori nella creazione di patti educativi di comunità che, partendo dalle scuole, miri a una progettazione didattica accessibile a tutti, a prescindere dalla condizione sociale ed economica della famiglia di origine, e rafforzi il rapporto che intercorre tra gli studenti, la loro città e la comunità. In quest’ottica, abbiamo già avviato proficue collaborazioni con diversi interlocutori locali quali, per citarne alcune, la Città Metropolitana di Catania, la Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Catania, il Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, la Fondazione OELLE, la Fondazione Angelo D’Arrigo, l’associazione Officine Culturali, il Polo Tattile Multimediale, il Museo Tattile Statale Omero, la Rete delle Università Sostenibili (RUS) e scuole di diverso ordine e grado.