18 Aprile 2024
I livelli di assistenza sanitaria non sono uniformi su tutto il territorio nazionale e questo provoca una mobilità sanitaria che restituisce un’Italia spaccata in due, divisa fra chi si cura dove vive e chi invece cambia regione per accedere alle cure mediche.
Il SSN ha sempre meno medici di medicina generale (nel 2026 caleranno di 135 unità rispetto al 2022), sempre meno medici d’urgenza (il 45% di chi ha lasciato nel 2023 non è stato sostituito), sempre meno infermieri (in media in Italia ce ne sono 6,2 ogni 1.000 abitanti, numero ben al di sotto della media OCSE di 9,9), con offerte diminuite anche per quanto riguarda le strutture ospedaliere e i posti letto. Questa la fotografia attuale del sistema sanitario nazionale scattata durante l’evento che si è tenuto a Roma “#SALUTE24 – Sanità pubblica: l’autonomia differenziata delle Regioni nell’Unione della salute“. Al centro il grande tema del processo dell’autonomia differenziata iniziato nel 2017 e approdato lo scorso 14 febbraio in Commissione Affari Costituzionali alla Camera dei deputati. Se con il ddl si sta lavorando nella direzione di consentire agli enti locali di individuare percorsi anche differenti per garantire omogenei livelli essenziali di prestazioni, ampliando di fatto poteri e responsabilità delle Regioni, la questione sul tavolo è se davvero l’autonomia differenziata riuscirà a ricucire le differenze tra Regioni in ambito sanitario e a risollevare il SSN. All’evento, organizzato dalla piattaforma editoriale Withub, insieme al sito d’informazione con sede a Bruxelles Eunews, all’agenzia di stampa GEA Green Econmy Agency e a Fondazione art.49, che ha l’obiettivo di diffondere la cultura della partecipazione in ogni ambito, sono intervenuti, tra gli altri, il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, il Presidente della Toscana, Eugenio Giani, la Senatrice Beatrice Lorenzin, Ministra della Salute 2013-2018, il Presidente di Egualia, Stefano Collatina, il Vice Presidente & General Manager di Incyte Italia, Onofrio Mastandrea, e il Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.
La mobilità sanitaria. Quello che emerge è il gap tra le diverse regioni italiane. Per questo, molti cittadini decidono di curarsi in una Regione differente rispetto a quella di appartenenza. Secondo i dati AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), il trend della mobilità dei ricoveri in Italia, dal 2017 al 2022, è costante, con un saldo di poco meno di 3 miliardi di euro all’anno. A “guadagnarci” sono state: Lombardia ed Emilia-Romagna, con un saldo attivo pari a quasi 362 milioni di euro la prima e 337 milioni di euro la seconda, e poi Veneto (con “solo” 107 milioni di euro), Toscana, Piemonte, Molise e Trento. Il resto delle Regioni ha avuto nel 2022 un saldo negativo, con Campania, Calabria e Sicilia nelle ultime posizioni. Ma quali sono le Regioni che hanno l’indice di fuga più alto, cioè quelle in cui le prestazioni sanitarie sono erogate ai cittadini in una Regione diversa da quella di residenza? È il Molise a detenere il primo posto per mobilità passiva, con un indice di fuga totale che è oltre il 38%. Al secondo posto la Basilicata e poi la Calabria.
Mancano i medici. La mobilità sanitaria non è l’unica criticità del SSN. L’accessibilità e la qualità dell’assistenza sanitaria è minacciata infatti anche dalla mancanza di medici, in particolare da quelli che garantiscono il primo presidio sul territorio, i medici di medicina generale. Un medico di medicina generale può avere fino a 1500 assistiti (in casi particolari, si può arrivare a 1800), eppure, secondo una rielaborazione GIMBE su dati Ministero della Salute, in quasi tutte le Regioni italiane, al 1 gennaio 2023 almeno la metà dei medici di ogni Regione ha un numero di assistiti superiore a 1500. Qualche esempio: il 71% dei medici di medicina generale della Lombardia ha oltre 1500 assistiti, segue la provincia autonoma di Bolzano (con il 66,3%) e il Veneto (con il 64,7%). Numeri alti anche per la Valle D’Aosta (59,2%), per la provincia autonoma di Trento (59,1%) e per la Campania (58,4%). Appena sopra il 50% anche l’Emilia Romagna. Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sardegna, Marche, Toscana, Liguria e Lazio sono comunque vicini al 50%. Una fotografia del presente che non accenna a migliorare se guardiamo al futuro. Se calcoliamo il saldo tra i pensionamenti tra il 2023 e il 2026 e il numero di borse di studio finanziate per il Corso di Formazione in Medicina Generale, secondo GIMBE, nel 2026 il numero di medici di medicina generale diminuirà di 135 unità rispetto al 2022, con nette differenze regionali: Campania, Lazio e Puglia perderanno rispettivamente 384, 231 e 175 medici, mentre Emilia Romagna, Veneto e Lombardia avranno un saldo attivo rispettivamente di 170, 183 e 328 medici. In generale, la maggior parte delle Regioni del centro nord saranno all’attivo.
Arranca anche il Pronto Soccorso. La cartina tornasole delle difficoltà della sanità pubblica italiana è rappresentata anche dai Pronto Soccorso. Nel 2023, secondo i dati Simeu (Società italiana medicina di emergenza-urgenza) sono stati 4mila i medici di emergenza-urgenza mancanti rispetto al necessario. Sempre nell’anno passato, 1.033 medici hanno lasciato i PS, a fronte di 567 nuovi ingressi e ciò significa che il 45% di chi ha lasciato non è stato sostituito. Per coprire i turni di fronte a un’evidente carenza di personale, le soluzioni adottate vanno dall’utilizzo di contratti atipici (54% dei casi), medici di altri reparti (48%), specializzandi di emergenza-urgenza (32%) o di altri reparti (29%), cooperative (28%) e medici non MEU comandati dalla Direzione (20%). Questa situazione di emergenza ha portato – nel 2022 secondo il Tribunale dei diritti del malato – 300.000 persone a 3 giorni di attesa prima di avere un posto letto.
Mancano anche gli infermieri. Il problema del personale riguarda anche gli infermieri. Secondo gli ultimi dati relativi al 2021, il numero medio di infermieri in Italia è pari a 6,2 per 1.000 abitanti, rispetto alla media OCSE di 9,9. Anche in questo caso, ritorna la netta divisione tra nord e sud con Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria tra le Regioni con più infermieri, male invece per Calabria, Sicilia e Campania con una media rispettivamente di 3,8, 3,77 e 3,59 infermieri per mille abitanti.
Strutture ospedaliere e posti letto: offerte diminuite. Secondo i dati rielaborati analizzando il database Istat “Rapporto Noi Italia 2023” e il portale I.Stat, nel 2004 l’Italia contava 1.296 strutture ospedaliere (pubbliche, equiparate alle pubbliche, private accreditate con il SSN). Nel 2021 sono scese a 1.051, con un decremento del -19% e, se si esclude la Lombardia (+36%, da 129 a 175 strutture ospedaliere) e la Valle d’Aosta (passata da 1 a 2 strutture), tutte le Regioni hanno diminuito l’offerta ospedaliera o l’hanno lasciata intatta. Salta all’occhio, tra le performance peggiori, quella del Lazio (-42% dal 2004 al 2021). Non va meglio a chi cerca un posto letto in degenza ordinaria: nel 2004, in Italia, l’offerta era pari a 231.915, diminuita a 209.568, con un decremento del -10%. Molise (-42%) e Calabria (-40%) fanno segnare le performance peggiori.