18 Settembre 2024
Il gap della spesa sanitaria pro capite con la media dei Paesi europei dell’area Ocse è di 829 euro, e per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi 48,8 miliardi di euro. Questo dato è in linea con l’entità del definanziamento pubblico per la sanità. A evidenziarlo è il sesto rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale presentato a Roma, che parla di un Ssn ormai al capolinea.
Il fabbisogno sanitario nazionale dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di 23,3 miliardi, in media 1,94 miliardi per anno mentre tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato o non investito adeguatamente in sanità. Dal 2010-2019 è stata la stagione dei tagli: alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di tagli previsti da varie manovre finalizzate al risanamento della finanza pubblica; oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del definanziamento, che ha assegnato meno risorse al Sssn rispetto ai livelli programmati.
Dal 2020-2022 c’è stata la stagione della pandemia: il Fondo sanitario è aumentato di 11,2 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo. Tuttavia, questo è stato di fatto assorbito dai costi della pandemia Covid-19, e non ha consentito rafforzamenti strutturali del Ssn ed è stato insufficiente a tenere in ordine i bilanci delle Regioni.
Per il periodo 2023-2026, infine, la Nota di Aggiornamento del Def 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa sanitaria di soli 4.238 milioni (+1,1%). “La conseguenza – spiega il presidente Gimbe Nino Cartabellotta, sono interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali, aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure“.