18 Settembre 2024
Di Massimo Lanzaro, psichiatra
Vi scrivo a proposito del “rischio di burnout per i medici”; di recente ne ha parlato Alberto Scanni. Ci si interroga sul senso di fare il dottore oggi, come capita al sottoscritto, e sui fatti preoccupanti che riguardano la nostra professione. Il dipartimento di salute mentale dove lavoro come psichiatra in questi giorni ha bandito un concorso per assumere dieci colleghi, verosimilmente perché quelli presenti stanno “scappando via”. Non siamo soli: recentemente leggo titoli come “Sanità, la grande fuga dei medici dagli ospedali italiani tra aggressioni, salari bassi e turni massacranti”.
Sebbene in letteratura esistano illazioni sul fatto il burnout possa essere una “fashionable diagnosis” (diagnosi di moda) ed “una scusa medica per astenersi dal lavoro” (Kaschka WP, 2011), esiste invece un’ampia mole di robusti studi sull’aumento del fenomeno dello stress lavoro-correlato. A differenza del passato oggi l’INAIL lo considera come una malattia professionale. Un problema che, se non affrontato, può condurre a depressione, ansia, PTSD, uso di sostanze, fino a pensieri di suicidi (me ne sono capitati purtroppo, di colleghi con queste problematiche). Non sono solo questioni personali, però, perché un medico in pessimo stato di salute mentale può avere effetti devastanti sull’accesso, qualità e costi all’assistenza sanitaria. Ovvero sulla salute dei pazienti.
Come previsto esplicitamente dall’art. 28 del D. Lgs. 81/2008, il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare (in un registro chiamato DVR) tutti i rischi, “tra i quali anche quelli collegati allo stress da lavoro correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’08/10/2004”. Questa valutazione si deve fare a cadenze stabilite, ma, semplicemente, nella maggior parte dei contesti socio-sanitari non viene fatta. Di conseguenza non ci sono dati e non sono implementati interventi di supervisione, o comunque mirati a prevenire o gestire il burnout e/o ad incrementare la nostra resilienza. In altre parole stando ai (non) dati in nostro possesso, noi siamo i professionisti più sereni e meno stressati del mondo.
Poi però un’indagine condotta in 12 Paesi dall’European General Practice Research Network, mostra che gli italiani hanno un livello di stress quasi doppio (il 43%) rispetto alla media dei colleghi europei (22%). Ci sono paesi dove la cultura del cambiamento porta a cambiare anche ciò che funziona. Sono stato per anni “un cervello in fuga”, ed ora che sono tornato chiedo: chi o cosa, da 20 anni, ha reso invece così stagnante la sanità pubblica italiana?