Medico-Paziente

A tavola non s’invecchia, ma solo se si mangia meno

18 Maggio 2023

Gli esperti della Società Italiana di Medicina Interna, sempre attenti nel dare suggerimenti per incorporare nelle abitudini di vita quotidiana le più recenti evidenze scientifiche, dopo un’estesa revisione della letteratura, riassumono le regole per vivere più a lungo e in salute.  Il take home message è molto semplice: il vero elisir di lunga vita è mangiare poco e all’interno di intervalli limitati nelle 24 ore.

Vivere più a lungo, ma soprattutto vivere in buona salute. È il sogno di tutti e sono molti gli scienziati che da decenni si dedicano alla ricerca dell’elisir di lunga vita, cercandolo nelle pieghe del DNA (in particolare nei telomeri e nei meccanismi di protezione dalla metilazione) e nell’alimentazione. Già Ippocrate invitava a fare del cibo la propria medicina, mentre un detto di saggezza popolare sostiene che “a tavola non si invecchia”. Ma è proprio così?

Fin dall’antichità – ricorda il professor Alessandro Laviano associato di Medicina Interna presso Sapienza Università di Roma – e basta rileggere il mito di Aurora e Titone, era ben chiara la differenza tra longevità ed eterna giovinezza. Oggi, l’obiettivo di “eterna giovinezza” è stato soppiantato da quello di “invecchiamento di successo” (healthy ageing), cioè dall’aumentare il numero degli anni vissuti in salute (healthspan). L’invecchiamento di successo è considerato oggi una priorità per tutti i Paesi ad elevato income, poiché l’invecchiamento della popolazione è correlato ad una maggior incidenza di malattie cronico-degenerative e disabilità, e ha quindi un impatto gravoso sulla spesa sanitaria e sul welfare.  È dunque necessario dare spazio a tutte le strategie che rallentino l’invecchiamento biologico, permettendo un invecchiamento di successo“. 

I meccanismi responsabili dell’invecchiamento sono in gran parte noti e si cominciano a mettere a punto anche alcune strategie per contrastarlo e modularlo. Tra queste, una delle più importanti è proprio l’alimentazione. O meglio, l’alimentazione contenuta, cioè mangiare meno. Senza arrivare alla denutrizione e deprivarsi di nutrienti essenziali. I meccanismi di protezione finora individuati sono tutti legati alla restrizione calorica. Limitare l’apporto di cibo infatti fa entrare le cellule in modalità ‘protezione’ e questo consente loro di resistere meglio agli insulti esterni; allo stesso tempo le cellule ‘a dieta’ soddisfano le proprie necessità attraverso una sorta di auto-cannibalismo (autofagia) delle componenti invecchiate e poco funzionali. In pratica dunque la restrizione calorica attiva una sorta di ‘pulizia interna’ (come quella che si fa periodicamente sull’hard drive del computer) che, oltre a rimuovere componenti deteriorati e potenzialmente pericolosi, stimola anche la rigenerazione cellulare.

Ma cosa si intende esattamente per ‘restrizione’ calorica? Per ottenere effetti benefici, è sufficiente ridurre del 20-40% le calorie introdotte con la dieta. Mangiare di meno (ma sempre in modo controllato) induce un reset del nostro metabolismo ad un livello più basso; e consumando di meno, si determina minor usura. Fin qui la teoria, ma come applicare in pratica la restrizione calorica ad effetto anti-aging?

Da un punto di vista pratico – spiega il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna – la restrizione calorica si può attuare secondo diversi approcci, da adattare alle esigenze del singolo e alle sue possibilità. Ma va detto che si tratta di estrapolazioni teoriche di quanto osservato su modelli cellulari e animali oltre che su marcatori surrogati di longevità in salute; al momento infatti per nessuno di questi approcci esiste la dimostrazione scientifica che ne documenti in modo definitivo l’efficacia nell’allungare la vita in salute, perché i risultati degli studi in corso si potranno osservare solo tra qualche decennio. Alcune evidenze preliminari che questo accada anche nell’uomo vengono dallo studio CALERIE di recente pubblicato su Nature Aging: una restrizione calorica del 25% rallenta i processi di metilazione del DNA (legati a tanti processi di invecchiamento) già dopo appena due anni”.

Ma il cibo, al di là delle calorie, ha anche un elevato valore simbolico, per non parlare del suo effetto consolatore (comfort food); e questo rende molto difficile seguire un regime di stretta restrizione calorica per lunghi periodi di tempo. Per questo, gli scienziati di settore sono alla ricerca di modalità alternative e meno penalizzanti. Una di queste è la restrizione selettiva degli alimenti ultra-raffinati. Numerose evidenze epidemiologiche suggeriscono che una dieta ricca di alimenti ultra-raffinati (farina bianca, zucchero, ecc) è associata ad aumentato rischio di sviluppare malattie cronico-degenerative e precoce declino cognitivo. Un’altra possibile strada è quella del digiuno intermittente, attualmente di gran moda per la perdita di peso. Nell’ottica della restrizione calorica anti-aging, un approccio efficace potrebbe essere quello di alternare giorni di quasi digiuno, a giorni in cui ci si alimenta in quantità normale (ad esempio secondo la formula 5:2). L’argomento è al centro di tante controversie (anche non strettamente scientifiche), ma è serissimo. Tanto da trovare spazio anche su pubblicazioni del gruppo Nature. C’è poi la via della dieta mima-digiuno che consiste nell’effettuare ogni 3-4 mesi, cicli di 5 giorni di una dieta ipocalorica, formulata in modo da riprodurre gli effetti metabolici del digiuno. Questo faciliterebbe l’aderenza alla prescrizione dietetica. Tra le proposte emergenti – spiega il professor Laviano- c’è il time-restricted eating; visto che il primo induttore di attività cellulare è la luce, questo approccio suggerisce di restringere la finestra temporale nella quale ci si può alimentare a meno di 12 ore, meglio se a 8-10 ore, sincronizzandola con la luce solare. Il tutto almeno 5 giorni a settimana. È noto che mangiare tardi la sera si associa ad un maggior rischio di patologie cronico-degenerative, mentre mangiare con la luce naturale sembra ridurre lo stato infiammatorio e potrebbe facilitare il dimagrimento. Un recentissimo lavoro sperimentale, suggerisce inoltre che potrebbe essere proprio la fame, a attivare i meccanismi di protezione, ma non è chiaro se questo succeda anche nell’uomo.