3 Novembre 2022
Una vicenda che ha fatto un gran clamore mediatico, con un brutto finale dopo un cammino meraviglioso. La vicenda parla di noi, di come siamo diventati, di come può emergere per un fatto banale il razzismo e la pochezza intellettuale e morale di molti di noi, cittadini italiani bianchi. Quando vedo Paola Egonu, che gioca nella squadra di pallavolo femminile dell’Italia, lo vedo che è di un colore diverso dal mio, lo vedo che è nera ma la cosa non mi colpisce, non suscita in me nessun tipo di sentimento se non l’ammirazione per vederla volare oltre i tre metri di altezza e schiacciare una palla a 100 chilometri l’ora.
Credo che questo voglia dire essere normale, considerare le persone come semplici esseri umani, indipendentemente dal loro aspetto fisico, dal loro colore, dal loro orientamento religioso, sessuale, dalle posizioni politiche e culturali, perfino sociali. Ognuno è sé stesso e vale a seconda non di come è, ma di come e cosa fa. Da questo consegue che se dobbiamo giudicare una persona da quello che fa io farei la proposta di sospendere la cittadinanza italiana a chi si è arrogato il diritto di offendere la Egonu e racquistarla solo dopo aver sostenuto un severo esame sulla Costituzione Italiana e sui diritti umani dei diversi perché, dovendo scegliere, non avrei dubbi. L’italiana Paola Egonu è nata il 18 dicembre del 1998 a Cittadella, in provincia di Padova, da genitori di cittadinanza nigeriana ed è titolare inamovibile della nostra squadra di pallavolo femminile. Senza di lei la nostra squadra non avrebbe mai potuto raggiungere le vette del volley femminile mondiale. È stata considerata la più forte pallavolista del mondo e, caso fortunato gioca con l’Italia, ma recentemente ha detto che avrebbe lasciato a causa degli insulti ricevuti per non aver contribuito, come doveva, a farci vincere il mondiale!
Ora si può essere più cretini di così?
Non è certo per questo che la cosa mi addolora, il fatto che avrebbe detto di lasciare, ma lo sdoganamento del razzismo, latente, di alcuni cittadini che di fronte ad una sconfitta ne attribuiscono la colpa ad una ragazza di 23 anni, solo per il colore della pelle. Forse l’hanno sopportata, ingoiando l’osso, quando la squadra primeggiava e vinceva e forse hanno aspettato proprio questo, la prima sconfitta importante, per scendere in campo con il loro odio raziale e la loro imbecillità.
La ragazza è stata colta in lacrime appena vinta la partita che ha regalato la medaglia di bronzo alle nostre azzurre nel campionato mondiale femminile mentre si sfogava con il suo procuratore Marco Regazzoni.
Le immagini di vero dispiacere, di sconforto totale di fronte a una situazione diventata insostenibile non hanno un valore solo personale ma devono parlarci di noi, del nostro Paese, di quello che stiamo diventando o forse siamo sempre stati, dato che le questioni razziali e di genere non sono state mai veramente affrontare e risolte perché sempre legate a posizioni politiche contrastanti. Posso provare a immaginarlo questo imbecille, questo odiatore da tastiera: studiato poco e male, lavorato poco e male magari raccomandato dal paparino che gli passa anche la paghetta mensile per le sue birre e le sue canne, soddisfatto della sua ignoranza di cui spesso si vanta, insoddisfatto invece della sua posizione sociale ma soprattutto insoddisfatto di sé stesso e incapace di riconoscere che quel niente che egli è non è colpa della società ma solo di sé stesso, della propria ignavia. Un imbecille ignorante che sfoga il suo risentimento e la sua insoddisfazione su quello che gli capita ma sempre un diverso, qualcuno lontano da lui per caratteristiche fisiche o religiose, o di scelta in tema di sesso, senza rendersi conto che è lui il diverso, diverso dalle persone normali e responsabili fra cui, erroneamente, lui si pone.
Cara Paola, sai benissimo quanto la nazionale, e le tue compagne, abbiano bisogno di te, ma soprattutto siamo noi ad avere bisogno di te. Rappresentiamo quella grande parte di Italia che non giudica in base alle gradazioni cromatiche della pelle, che continua testardamente a credere che non vi possa essere spazio per distinzioni di colore o di genere, che quei “sì, è italiana ma” devono essere affrontati culturalmente prima e anche legalmente poi.
L’episodio fa capire quanto diamo scesi in basso dal punto di vista culturale e sociale. Siamo vittime di preconcetti, visioni distorte, ignoranza diffusa e vantata, presappochismo conoscitivo, visione superficiale, violenza e barbarie verbali gratuite, disconoscimento delle nefandezze del nostro passato, pochezza culturale che per avere quel minimo di soddisfazione che non si riesce ad avere nel lavoro e nella vita in generale si diventa tifosi di squadre di calcio, o di Volley se capita, ma solo quando si vince.
Noi speriamo tu ci ripensi e il tuo sia solo un momento di comprensibile sconforto. La maggioranza degli italiani, quelli più silenziosi, quelli che non fanno rumore, ti apprezzano sia come atleta che come donna e ti aspettano di nuovo a condurre alla vittoria quelle compagne di squadra che ti sono sempre state vicine.