28 Luglio 2022
Nuovi risultati dagli studi in laboratorio su uno dei meccanismi alla base della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Si è giunti alla classificazione e quantificazione esatta dei depositi di una precisa proteina (TDP-43) che, in modo anomalo, si sposta fuori del nucleo dei motoneuroni, le cellule nervose che dal cervello trasmettono lo stimolo ai muscoli per la loro attivazione.
È il risultato della ricerca pubblicata su Science Advances e guidata da un team di biochimici dell’Università di Firenze, in collaborazione con un gruppo dell’Università di Genova [“A quantitative biology approach correlates neuronal toxicity with the largest inclusions of TDP-43“]. La ricerca è stata cofinanziata da Fondazione AriSLA, ente non profit che finanzia gli studi su questa patologia, e con fondi del Bando Fondazione CR Firenze – Università di Firenze sulle malattie neurodegenerative.
“Abbiamo riprodotto in laboratorio il meccanismo patogenetico che riguarda i motoneuroni: le ricerche sulla SLA – spiega il coordinatore dello studio Fabrizio Chiti, ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell’Ateneo fiorentino – ci dicono che nella grande maggioranza dei casi la proteina TDP-43, che svolge la propria funzione nei nuclei delle cellule, si deposita in forma di inclusioni al di fuori del nucleo dei motoneuroni, nel citoplasma delle loro cellule. Ciò comporta due conseguenze negative: viene a mancare la proteina funzionale nel nucleo e queste inclusioni proteiche si accumulano nel citoplasma con azione nociva. La conseguenza è che il paziente con SLA non riesce a muovere i propri muscoli a causa del malfunzionamento dei motoneuroni”.
Spiegano le ricercatrici Roberta Cascella e Alessandra Bigi, entrambe prime autrici del lavoro: “Riproducendo questo meccanismo in cellule in coltura simili ai motoneuroni –, grazie alla microscopia confocale STED (Stimulated emission depletion) e alla sua alta risoluzione, abbiamo isolato e contato nel tempo una per una le inclusioni di TDP-43 attribuendole a classi in base alla dimensione. Attraverso un modello matematico e un’analisi di global fitting che include tutti gli andamenti temporali osservati per le varie classi, è stata descritta la formazione nel tempo di tutte le classi di inclusioni, identificando le inclusioni maggiormente responsabili della malattia”. “E queste sono risultate essere quelle di grandi dimensioni, a differenza di quanto succede nella maggior parte delle malattie neurodegenerative”, sottolinea Cristina Cecchi, componente del team fiorentino.
Si è scoperto anche che per la degenerazione dei motoneuroni giocano un ruolo la perdita di proteina nel nucleo per il 60% circa, e, per il 40% circa l’accumulo nel citoplasma di TDP-43. Lo studio ha permesso inoltre di capire che le inclusioni più grandi sono “attaccate” dai sistemi protettivi di controllo di qualità presenti all’interno delle nostre cellule (proteasoma e autofagia), che tuttavia non riescono a eliminarle del tutto e a risolvere completamente il problema. Il lavoro è stato eseguito con la collaborazione del gruppo di Katia Cortese all’Università di Genova. Vi hanno partecipato anche gli studenti in tirocinio a Firenze Dylan Giorgino Riffert ed Emilio Ermini. La ricerca apre interessanti prospettive su possibili bersagli farmacologici per combattere la SLA, malattia altamente debilitante di cui si stimano affetti 6000 pazienti all’anno solo in Italia, soprattutto fra i 40 e i 70 anni di età (fonte AISLA).