14 Luglio 2022
Come nella musica, anche nella pittura, nella scultura, si può risalire a come un certo artista usava il pennello, lo scalpello.
E in letteratura, se si legge attentamente Mastro don Gesualdo di Verga, non c’è personaggio che non sia presentato accompagnato da un certo movimento della mano. Ricordiamo il Canonico Lupi con “le mani in pasta dappertutto”.
Lo fa anche Pirandello nel suo teatro, basta leggere “L’uomo dal fiore in bocca” e osservare come cambi il modo di gesticolare dei vari personaggi a seconda di come evolve la vicenda.
Pirandello addirittura descrive nelle sue note di gestualità degli attori.
Molti artisti hanno fatto studi sulle mani: di Rodin se ne contano più di mille. Li ha fatti anche Tiepolo, per non parlare di Leonardo. Molti artisti sono affetti da gravi patologie alle mani. Prendiamo Renoir e la sua artrite deformante grave: ci si aspetta che prima o poi riveli la malattia nelle sue opere. Ma ciò non accade. Continua a dipingere anche se in carrozzella e con i pennelli legati alle mani.
El greco – nato da una famiglia bin cui tutti sono affetti dalla sindattilia, cioè hanno alcune delle dita fuse tra loro, usa le sue opere, se ne contano più della metà, per rappresentare tale malattia con novizia di particolari. Se poi si osservano i quadri di Rubens, che aveva l’artrite reumatoide, ci si accorgerà che approfitta dei dipinti per analizzarla, per studiarla. Nelle Tre Grazie gli alluci sono valghi. Nella serie di ritratti fatti a Maria de Medici, Rubens la dipinge con i segni dell’artrite reumatoide cogliendone il peggioramento con l’avanzare dell’età. La storia poi di Raoul Dufy è singolare: quando l’artista scopre di essere malato, alterna la sua attività al mestiere di scenografo. Ma il 1949, anno in cui si trasferisce negli Stati Uniti, è il periodo in cui inizia a curare la malattia sperimentalmente, con il cortisone. Continua così a dipingere riportando sempre con più forza il colore in scena. Perché il pennello, la spada, il pugnale e anche la penna sono un’estensione della mano che a sua volta è l’estensione del cervello di cui esprime gli stati d’animo.
Il tratto di Raffaello non è quello di Michelangelo: il primo respira gioioso e l’altro impreca. E nelle raffigurazioni di magnifiche Madonne, Deposizioni e nella Pietà urla, grida e la sua mano graffia. Anche nella musica accade la stessa cosa perché la scrittura delle note è strettamente legata alla condizione fisica della mano, delle dita, dei tendini, dei nervi, alla sua dimensione e apertura.
La mano di Chopin non è uguale a quella di Beethoven, né a quella di Rachmaninov che apre uno dei suoi preludi “in tredicesima” con un accordo solenne che impegna tutte e dieci le dita. Caratteristica musicale di Chopin è legata ad uno scarso utilizzo del quarto dito.
In una lettera inviata ad un suo caro amico italiano nel 1848, un anno prima di morire, Chopin confessa: “quel che mi rimane è un gran naso e un quarto dito che non esercitato”.
Ecco perché scrive brani meravigliosi senza impiegarlo in maniera importante.
Paganini invece soffriva della sindrome di Marfan, una patologia genetica che colpisce il tessuto connettivo, le sue mani erano leggere, potevano piegarsi in tutte le direzioni, e le braccia erano ancora più larghe, più lunghe e leggere del normale. Con la mano arrivava a toccare lo snodo tra il braccio e l’avambraccio e questo vuol dire che arrivava con facilità estrema sul ponticello del violino.
La mano dunque è l’espressione esterna del cervello, è una parte del nostro cervello con tanti emisferi dominanti.
La mano, quando è sana, è una meraviglia della natura.
Ha delle caratteristiche stupende. Ha la possibilità di fare infiniti movimenti, ma quello volontario è l’unico comprensibile alla mente umana perché è il risultato di un ordine preciso. E questo movimento diventa esperienza, in quanto impresso nella corteccia, in quella porzione del cervello che guida la volontà, da dove è partito l’ordine di esecuzione (corteccia motrice -parietale e frontale). Ma se ci si chiede cosa si fa con le mani quando si parla, non lo sappiamo. Sicuramente si muovono, gesticolano, seguono un filo logico guidate dal subcosciente.
Perfezionano quello che si dice, o forse esprimono il contrario appunto perché sono guidate da un meccanismo involontario del cervello. Ci sono poi delle posizioni dette LIMBICHE, quelle della mano a RIPOSO. “Apparentemente” a riposo. Si pensa che la mano sia ferma. Mai.
Perché è connessa allo strato del cervello chiamato limbus, legato anche al sogno, ma da cui passa sia il sonno che l’analgesia. Se si collega la mano ad un apparecchio simile a quello dell’EEG, si osserva che il tracciato è in continuo movimento. Si muove più di notte che di giorno, in particolare quando nel sonno parliamo, discutiamo, balliamo e camminiamo.
La mano ha un’attribuzione che non ha nessun altro organo di senso
Tocca l’oggetto ed è toccata dall’oggetto che tocca: è questo fenomeno della reciprocità sensoriale. Da parte sua l’oggetto risponde, informa di cosa è fatto e toccandolo si induce una trasformazione fisica nell’oggetto, nei suoi neutrini, neutroni e in tutta la sua componente fisico-chimica. Quando si guarda una cosa o si ascolta una voce non accade nulla di tutto ciò: lo sguardo non è in grado di produrre modificazioni fisiche o chimiche, così come l’udito non produce una modificazione del suono. La nota del pianoforte non si crea con l’orecchio ma sfiorando il tasto.
È la PELLE che sa cosa ha fatto prima che glielo dica l’orecchio.
Il suono si propaga lentamente (340m/sec), più lentamente quindi rispetto alla propagazione dello stimolo sensoriale. Questa è l’unicità del TATTO.
Il Signum nell’arte
I cenni corporei sono più di seicento ovvero i signa membrorum: è una sorta di fisiognomica generalizzata in cui ogni parte del corpo- la fronte, la barba, i denti, l’ombelico – è ugualmente presa in considerazione. È una semiologia del corpo nella sua interezza con l’aggiunta di movimenti volontari, i gesti calcolati. I gesti tendono a costituire un sistema, un codice.
Nell’arte i gesti più studiati sono quelli legati alla preghiera – junctis manuum – gesto simbolico che domina o addirittura occupa l’intero spazio del santuario (parallelamente abbiamo tutta l’iconografia orientale del buddismo in cui la mano è al centro della scena; i Mudra come la mano di Fatima hanno significati simbolici importanti).
Ampiamente studiato è anche il signum harpocraticum, quello del silenzio, un richiamo alla spiritualità, al ritiro alla dimensione interiore ma in alcuni casi anche sottolineante la rivalità tra il potere letterario e l’arte. (Dosso Dossi, Giove e Mercurio ,1528).
Leonardo aveva già ampiamente utilizzato tale gesto uscendo però da tale definizione.
Affermava: “Coi movimenti delle membra mostran movimenti dell’animo”.
“Il buon pittore deve essenzialmente rappresentare due cose : il personaggio e ciò che pensa”, “l’omo e il concetto della mente sua”.
Ecco il programma di una pittura in cui la figura dipinta non sta lì per rappresentare una condizione, una qualità, bensì un essere vivente.
Per raggiungere tale obiettivo vi è una sola soluzione: “Ci si riesce con l’ausilio dei gesti e dei movimenti delle membra”.
Con la solita audacia Leonardo immagina un universo umano dove la parola sembra essere scomparsa e sussiste soltanto la mimica. Raccogliendo questi motivi, si hanno gli strumenti per creare composizioni in cui il linguaggio sia integramente sostituito dai gesti, l’Adorazione dei magi, opera rimasta incompiuta ne è un esempio cosi come Il Cenacolo, con l’azione intensa delle sue 130 dita.
Ultimo segno ma non meno importante è l’indigitazione.
Con fare saturnino si indica.
Ruolo primario al dito indice che in questo caso viene puntato sul centro della scena, accusa o semplicemente sceglie. Anche in questo segno vi è una complessa comunicazione non verbale che può essere tradotta grazie alla collocazione dell’opera nel contesto storico, sociale dell’artista.
Basti pensare a Caravaggio e alla chiamata di San Matteo. Questa volta il dito indice punta verso il santo e una luce divina da ovest, luce della sera avvolge non i personaggi ma L opera stessa di un misticismo unico.
La mano nello SPORT
Gli esseri umani sono dotati di un minor grado di bilateralità rispetto agli altri animali e ben presto sviluppano una preferenza laterale che riguarda l’utilizzo della mano, del piede/gamba e dell’occhio. Nello sport questo ha un impatto significativo da molti punti di vista: basti pensare a come la tattica di gioco in uno sport di squadra come il calcio viene influenzata dal fatto di avere a disposizione giocatori con un buon piede destro piuttosto che sinistro. Eppure, sarebbe possibile sviluppare la coordinazione bilaterale? E risulterebbe vantaggioso per uno sportivo? Studi sviluppati sulla competenza musicale hanno confermato che chi suona strumenti a tastiera è dotato di una coordinazione manuale praticamente simmetrica, soprattutto se ha cominciato a studiare lo strumento in giovane età: evidentemente l’esercizio ha interagito con il normale processo di sviluppo della lateralità dominante migliorando le prestazioni del lato non dominante. Quindi si può ipotizzare che con l’esercizio il coordinamento bilaterale sia sicuramente realizzabile anche nello sport.
Nel complesso, sviluppare la coordinazione bilaterale può essere utile in sport come il basket e l’hockey, che richiedono una capacità bilaterale: il giocatore di basket può palleggiare, ricevere, passare e tirare la palla con entrambe le mani, così come il giocatore di hockey può spostare la presa sul bastone rapidamente per tirare da destra o sinistra, secondo necessità. Al contrario, in sport di racchetta come il tennis e lo squash, è importante sviluppare tutte le potenzialità del lato dominante; lo stesso, riferito agli occhi, è per gli sport di tiro, in cui l’occhio dominante è utilizzato per prendere la mira.
Coordinazione occhio-mano
La coordinazione occhio-mano è una funzione fondamentale dell’uomo; è la capacità di coordinare le informazioni ricevute dagli occhi con i movimenti delle mani al fine di realizzare un compito. È una competenza che comincia a svilupparsi naturalmente fin dal primo anno di vita, quando il bambino si esercita a raggiungere e afferrare gli oggetti, portarsi alla bocca il cibo, battere le mani, e arriva a perfezionarsi intorno al settimo anno di età. La coordinazione occhio-mano è essenziale per lo sviluppo di competenze di base come la scrittura, così come per le abilità fisiche più avanzate legate allo sport. Nella naturale evoluzione, si sviluppa anche una preferenza a essere destri o mancini. Le persone che apprendono una buona coordinazione occhio-mano in gioventù, mantengono quelle competenze nella loro vita adulta.
La mano in FISICA
La mano ha la capacità di proiettare energia verso chi incontra o ho verso chi ha bisogno di cure. Grazie, come detto, alla straordinaria ricchezza di terminazioni nervose, può indurre un’azione riflessa sull’organismo nel suo complesso.
Mette in moto quella “forza guaritrice della natura” di cui scriveva Ippocrate.
Forza che gli uomini e gli animali conoscono, per istinto, da tempi remoti: gli indiani la chiamavano Prana, i cinesi Qi, i semiti Magh, gli egizi Ka.
Un massaggio alle mani e ai piedi è raffigurato in un dipinto funebre a Saqqaran in Egitto, nella tomba di Ankhmanor – alto dignitario di corte- conosciuta come la tomba dei medici, risalente al 2230 a.C.
La mano ha un’attitudine a proiettare energia, anche se secondo la fisica quantistica, più che di energia si dovrebbe parlare di “fase”.
Perché l’energia è qualcosa di localizzabile mentre l’energia della mano è qualcosa di non localizzabile, che va al di fuori delle categorie spazio-temporali.
In fisica quantistica, lo Spazio quantico o Mondo quantico, dove opera il principio di non località, due particelle di energia, per quanto infinitamente lontane, hanno la capacità di comunicare tra di loro simultaneamente.
La grande differenza quindi tra fisica classica e fisica quantistica è che in quest’ultima i corpi non possono essere concepiti come isolati, qualunque sia la distanza, da altri corpi e non esposti ad azioni dirette di forze sterne.
In conclusione, secondo la fisica quantistica, forse tutte quelle pratiche che fanno uso delle mani possono corrispondere a modalità con cui il terapeuta entra Ion. Fase con il ritmo di un certo essere vivente. Probabilmente se si facesse un excursus nel tempo si potrebbero rinvenire racconti e leggende legate a capacità taumaturgiche ascrivibili ad oggi complesse interazioni fisiche chimiche elettriche ed organiche della mano.
Nell’Europa del V sec d.C. viveva un re che era nato da una donna e da un animale mitico: Meroveo, iniziatore della stirpe germanica dei Merovingi, sovrano del popolo dei franchi. Si credeva fosse figlio di un Dio, dotato di poteri prodigiosi, capace di dominare la natura e influenzare favorevolmente la fertilità del terreno.
Le sue mani erano calde come se fosse febbricitante e un fiume di energia scorreva dai palmi pronto a sanare i malati che si presentavano al castello.
Fu il primo sovrano in Europa a imporre le mani e curare piaghe infette senza esserne contagiato. Una leggenda questa che ricorda la descrizione delle guarigioni di Gesù nel Vangelo di Luca:
“Tutta la folla cercava di toccarlo, perchéé da lui usciva una potenza che sanava tutti” (Luca, 6,19).
Nei secoli a venire le facoltà taumaturgiche e il potere e il prestigio che ne derivano affascinano altri sovrani. Ma a differenza dei re Merovingi, che sono santi e terapeuti per nascita, questi lo diverranno per consacrazione papale, nel corso di cerimonie prodigiose che trasmettono virtù magiche.
La mano del Re tocca, Dio guarisce.
Cosi la mappa geografica della mano taumaturgica – che nelle tradizioni celtiche viene definito tocco fatato o mano fatata- si può estendere a tutta Europa fino a raggiungere anche l’Inghilterra: Shakespeare nel Macbeth parla in v ersi più volte del tocco magico e termina nel 1714 con la morte di Anna Stuart. Fine di un casato, fine di un’epoca. È il secolo dei Lumi e criticare la Chiesa, mettere in discussione alcune pratiche appare legittimo alla luce di una medicina che compie passi da gigante, di una scienza che soppianta antiche credenze grazie anche alla farmacopea. Questo non toglie però in alcun modo il fascino al potere del tocco che sicuramente con valenza diversa e forse più avvalorato da tesi scientifiche, ha un ruolo centrale nel processo di cura, parola usata nel suo significato più ampio.