26 Maggio 2022
Di Massimo Lanzaro, medico, psichiatra, psicoterapeuta. Ha lavorato a Londra per diversi anni. Ora è Dirigente al Dipartimento di Salute Mentale della ASL NA 2 Nord.
Per quel che ne so, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni di età. Sembra colpisca nel mondo circa 350 milioni di persone, deteriorandone (tra le altre cose) la capacità di lavoro e di relazione. Nella sua forma più grave può portare al suicidio e sarebbe responsabile di quasi un milione morti ogni anno.
Quello della depressione è un tema che negli ultimi anni è diventato assai popolare, ma sul quale a mio avviso esistono molta confusione e diversi equivoci; l’esperienza mi suggerisce che anche se non esistono affatto ipersoluzioni, un buon punto di partenza dovrebbe sempre essere la corretta definizione del problema o, se appropriato, un globale inquadramento diagnostico con l’aiuto di uno specialista.
Un comune equivoco consiste nel confondere la condizione clinica chiamata depressione con la tristezza normale o con la demoralizzazione. Secondo me sono ancora validissime le parole di Arieti, che nel 1978 diceva della tristezza e della demoralizzazione: “Sono il comune (normale) dolore che coglie l’essere umano quando un avvenimento avverso colpisce la sua esistenza precaria, o quando la discrepanza tra la vita com’è e come potrebbe essere diventata il centro della sua fervida riflessione”, mentre “è meno comune, ma abbastanza frequente da costituire uno dei principali problemi psichiatrici, il dolore che non si attenua col passare del tempo, che sembra esagerato in rapporto al presunto evento precipitante, o inappropriato, o non collegato ad alcuna causa evidente”. Questa è la depressione, che a sua volta può essere graduata su un continuum di severità (di nuovo, compito che spetterebbe ad un professionista della salute mentale) e fa parte dei disturbi dell’umore, insieme ad altre patologie come la mania e il disturbo bipolare. Essa può assumere la forma di un singolo episodio transitorio (si parlerà quindi di episodio depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (si parlerà quindi di disturbo depressivo).
Con il termine “depressione atipica” si intende invece un particolare sottotipo di disturbo dell’umore, caratterizzato essenzialmente da depressione con umore reattivo (in pratica l’umore “migliora se capita qualcosa di buono, peggiora se capita qualcosa di negativo”; questo non succede nelle altre forme di depressione dove l’umore è “stabilmente giù” e non reagisce agli stimoli e agli eventi stressanti esterni). Altri sintomi sono: iperfagia, ipersonnia ed estrema astenia (sorta di profonda stanchezza cronica); spesso la sintomatologia depressiva si accompagna ad ansia rilevante. C’è di solito peggioramento serale, il contrario di ciò che accade nella depressione maggiore endogena, in cui le persone riferiscono quasi sempre di sentirsi “peggio al mattino”.
Poiché in questo tipo di sindrome come detto la persona “risente degli eventi esterni”, ritengo utile descrivere il modello per spiegare l’origine del malessere psichico che viene chiamato in gergo “la teoria vulnerabilità-stress-appraisal-coping”. Questo modello rappresenta una via di uscita nel dibattito serrato fra teorie psicosociali (che ignorano o sottostimano l’importanza dei fattori biologici) e teorie biologiche (che ignorano o sottostimano l’importanza dei fattori psicologici o sociali).
La vulnerabilità va intesa come una predisposizione congenita, in parte ereditaria e in parte acquisita, probabilmente associata ad anomalie del metabolismo di alcuni neurotrasmettitori; tale predisposizione interagisce con fattori psicologici. Questo determina una specifica soglia di vulnerabilità di base per ciascuno di noi, che se superata in seguito ad eventi stressanti, dà origine all’episodio di malessere o ad una conclamata sindrome psichiatrica.
Lo stress contribuisce in modo rilevante allo sviluppo di condizioni patologiche, fisiche e psicosociali, negli esseri umani. “Str” è un prefisso che suggerisce esercizio di pressione: il greco “strangalizein” e il suo derivato inglese e sinonimo “to strangle” (strangolare), analogamente al latino “stringere” (stringere), hanno le loro origini in un passato molto lontano.
Il coping, inteso come l’insieme di strategie mentali e comportamentali (come decidiamo di giocare la partita) che sono messe in atto per fronteggiare una certa situazione, è stato tradizionalmente considerato come una caratteristica piuttosto stabile di personalità. In seguito le modalità di coping sono state analizzate come reazioni flessibili e mutevoli a eventi di vita quotidiana stressanti.
Gli orientamenti più recenti considerano il coping come un processo che nasce da interazioni che superano o sfidano le risorse di un soggetto e che è formato da molteplici componenti, quali la valutazione cognitiva (appraisal) degli eventi, le reazioni di disagio, le risorse personali e sociali, etc.
L’appraisal invece è la personale attribuzione di significato agli eventi e la percezione della propria capacità di far fronte alle conseguenze (Quello che è terribile e traumatico per una persona può non esserlo affatto per un’altra; le risorse che riteniamo di avere non corrispondono sempre a quelle disponibili in realtà etc.).
Dati i fattori descritti si comprende come gli obiettivi di un trattamento efficace, anche nel caso di una depressione (specialmente atipica) dovrebbero essere: innalzare la soglia di vulnerabilità, diminuire lo stress, migliorare le capacità di coping ed analizzare le attribuzioni (sovente erronee) di significato.
È intuitivo che nel caso di patologie gravi tutte queste componenti raramente possono essere affrontate unicamente con un trattamento psicofarmacologico, ma bisogna avvalersi di un approccio terapeutico integrato e multisciplinare.
L’episodio depressivo maggiore secondo il DSM-5 è caratterizzato da sintomi che durano almeno due settimane causando una compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. Essa si manifesta attraverso una vasta serie di sintomi, variabili da paziente a paziente e generalmente presenti quasi ogni giorno. Fra i principali si segnalano:
- Umore depresso per la maggior parte del giorno, (es. tristezza, melanconia accentuate e persistenti).
- Marcata diminuzione o perdita di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, (anedonia o apatia).
- Agitazione o rallentamento psicomotorio.
- Affaticabilità, perdita o mancanza di energia/slancio vitale o prostrazione fisica (astenia).
- Disturbi d’ansia (es. attacchi di panico o preoccupazioni eccessive e persistenti).
- Insonnia o ipersonnia.
- Significativa perdita di peso, in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso, oppure diminuzione o aumento dell’appetito (iperfagia).
- Disturbi psicosomatici (es. gastriti, mal di testa, dolori vari ecc.).
- Diminuzione o perdita di motivazioni personali, capacità di pensare, concentrarsi, risolvere problemi, prendere iniziative, decisioni, agire (rallentamento ideativo, inerzia, svogliatezza o abulia) e pianificare il proprio futuro (sintomi cognitivi).
- Tendenza all’isolamento, alla solitudine, alla sedentarietà, scarsa cura di sé e autoabbandono con diminuzione dei rapporti sociali e affettivi (sintomi affettivi).
- Sentimenti di inquietudine, impotenza, rassegnazione, autosvalutazione (es. diminuzione di autostima), inutilità, sfiducia, delusione costante, pessimismo sul futuro, vittimismo, negativismo sul presente, perdita di senso di vivere, senso di vuoto, tendenza al pianto, fino a senso di fallimento, sconforto o disperazione oppure sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa, recriminazione, risentimento e rimuginazione (fino a casi limite di angoscia e deliri con distacco dalla realtà).
- Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida senza elaborazione di piani specifici, l’elaborazione di un piano specifico per commetterlo oppure un tentativo di metterlo in atto.
- Disturbi alimentari
I sintomi non sono necessariamente tutti presenti, ma per parlare di episodio depressivo maggiore è necessaria la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra elencati. La sintomatologia può variare da paziente a paziente e in genere ha un decorso lento, insidioso e tendente ad aggravarsi nel tempo se non trattato tempestivamente.
Nella maggior parte dei casi però la depressione si configura come disturbo depressivo maggiore: nel 50-60% dei casi un episodio depressivo maggiore sarà seguito da un ulteriore episodio depressivo, portando quindi al disturbo depressivo. L’episodio depressivo non trattato ha una durata media di sei-otto mesi ed è caratterizzato, nella maggior parte dei casi, da una graduale remissione. Talvolta può permanere una sintomatologia depressiva residua: si parlerà in tal caso di remissione parziale dell’episodio.
Apologia della melancolia
Sono uno psichiatra e in fondo sono un tantino melanconico, e non considero questo né un disturbo né una malattia (parola che comunque detesto, dato che contiene in se la radice “male”), anzi associo il tempo melanconico con la passione intellettuale, l’erotismo sensuale e il genio creativo. Di fatto vedo la melancolia come una cura parziale per la nostra dilagante mania culturale (“tutto di più, tutto più veloce”), una condizione collettiva che ormai consideriamo normale. Vedo la melancolia quasi come un rimedio naturale per l’efferata superficialità e la velocità patologica che caratterizza la nostra società e che impedisce la maturazione psicologica degli individui. Di fatto vorrei considerare la melancolia anche come la matrice di opere creative; questa è la musa personificata e immaginata come una maestosa figura femminile che nel Rinascimento era chiamata Madame Melancolie.
E mentre i melancolici sono noti per essere solitari nel il loro patire è possibile identificare una comunità di anime affini nel mondo occidentale che risale almeno da Aristotele. Anche se le caratteristiche della sofferenza melancolica sono differenti a seconda del contesto storico e delle persone, ci sono molte cose sorprendentemente simili come la qualità del dolore, la preoccupazione concernente questioni filosofiche (disperazione, significato della vita) e particolari tratti del carattere. Questi storicamente includono ma non sono limitati a: una grande capacità di lavorare, brillante ed effervescenza intellettuale, cambiamenti d’umore e un talento per il comando.
Viviamo in un mondo dove la velocità è essenziale e nella nostra fretta di arrivare a un futuro migliore abbiamo dimenticato che il rimedio veloce non è un antidoto per una ferita lenta (come quella depressiva ad esempio). In questa cultura della gratificazione istantanea si perdono le normali periodicità e le stagioni della vita, s’ignorano i lenti cicli necessari per la maturazione, la sicurezza, la solidità, e un cambiamento duraturo. È il mondo in cui deve accadere tutto istantaneamente: risposte istantanee, email istantanee, exit-polls urgenti; il tempo dove per tutti è difficile stare al passo. Siamo costretti a processare e filtrare miliardi di parole a velocità inaudite e non è sorprendente che la cocaina sia diventata così popolare e che lo speed sia la droga scelta da moltissime persone d’ogni età.
Il pensiero è il primo aspetto della melancolia. Durante il Rinascimento ci si aspettava che l’educazione l’apprendimento e lo studio potessero indurre la melancolia, intesa come un attributo della maturità, sia intellettuale che psicologica. William James addirittura ha descritto questo cambiamento come la rinascita melanconica dell’anima. Di questi tempi l’esercizio mentale del pensare non può competere con un video di aerobica o un paio d’ore in palestra. Il secondo aspetto della melancolia è la memoria, il terzo è la nostalgia, che può essere concepita come una sorta di dimensione spirituale. Questa risiede nella persona matura che ha varie ragioni per essere melanconico: perdite, tanti ricordi, sogni non realizzati, storie nostalgiche.
L’etimologia della parola greca nostalgia viene da Nostos che vuole dire ritorno a casa e Algia, che vuol dire doloroso. Nostalgia vuol dire letteralmente un doloroso ritorno a casa e ciò che lo rende doloroso è che è difficoltoso o forse impossibile. La casa a cui fa riferimento l’etimologia può essere l’edificio dell’infanzia, uno stato d’innocenza, o il paradiso, o quel tempo o quel posto dove si è scoperto l’amore per la prima volta. La nostalgia melancolica è il desiderio eterno di ciò che è senza tempo. Nella sofferenza della nostalgia è spesso possibile trovare un senso alla propria esistenza.