18 Settembre 2024
Colleghi medici, la prima arma da mettere in campo per prevenire le aggressioni fisiche e verbali al personale sanitario – numerosissime in questi ultimi tempi -, è parlare di più con il malato e con i suoi parenti, giustamente ansiosi e preoccupati: il colloquio ci può essere di valido aiuto per una buona gestione del paziente stesso, e per dare serenità a chi gli sta vicino.
Iniziamo con la storia infinita e con la focosa diatriba politica sui “Vaccini”, oggi in era Covid-19, che ha creato perplessità, dubbi, esacerbati anche dai non pochi e contrastanti pareri di certa parte del mondo medico, che di sicuro hanno condizionato o fanno da sponda alle decisioni politiche; ed ancora, alcuni esempi di cronaca dello scorso anno, che hanno visto la morte di due neonati per “Pertosse”, contagiati – a detta dei sanitari locali – da mamme, una non vaccinata, l’altra che non aveva fatto il “richiamo”. Tutto questo – e non solo – ripropone ancora una volta, ma con più forte determinazione, la riflessione che da tempo stiamo facendo – (ma rimasta inascoltata pur avendola fatta pervenire ad alcuni organi di stampa) – che il MEDICO DEVE PARLARE DI PIÚ CON I PAZIENTI, NON SOLTANTO NELLE STRUTTURE PRIVATE,MA ANCHE PUBBLICHE, SPECIE SE RICOVERATI ED IN TRATTAMENTO; ANZI DEVE SAPER PARLARE DI PIU’ con loro, deve dare loro tutte le spiegazioni, le delucidazioni sui loro problemi, oltre che sul di loro stato di salute, come del resto recita il “CONSENSO INFORMATO”.
Non basta fare e scrivere due domandine di anamnesi e poi limitarsi a dire “faccia questo, non faccia l’altro”. Basterebbe solo questa “pazienza” a parlare e saper “ascoltare” il malato e il suo entourage, per mettere un freno alle aggressioni al personale. Non pochi sono gli esempi di poco corretto approccio al paziente da parte dei sanitari, che fanno da “miccia” all’accensione di diatribe. Infatti, nel caso dei neonati morti qualche tempo fa, quanto tempo è trascorso tra la gestazione, il parto e i mesi di vita dei due bambini, senza che nessuno (alludiamo ai colleghi che avevano in carico le mamme) avesse indagato se e quali malattie avessero contratto le mamme e quali vaccinazioni avessero o NON avessero fatto? Un tempo, durante una visita medica o in occasione di un ricovero, era di rigore la domanda: “quali malattie esantematiche hai contratto nell’infanzia e quali malattie infettive nello stesso periodo? A quali vaccinazioni ti sei sottoposto?” Questo ed altre cose venivano riportate nella cartella clinica o nella scheda medica personale del paziente. E allora? Si è persa questa abitudine e si sono poste queste domande in occasione della visita medica, segnalandolo in cartella?
Saranno le indagini a stabilirlo.
E questo episodio ci riporta ad un altro fatto di cronaca della così detta “ mala sanità”, occorso a Roma, qualche tempo fa, presso un noto Ospedale Romano, dove era stata portata una ragazza di sedici anni con sintomi di una pesante cefalea ingravescente, poi deceduta –si disse per rottura di un aneurisma cerebrale – dopo essere stata accolta e visitata nel P.S. ed essere poi trasferita in altro nosocomio, ma pediatrico, della capitale, episodio che ci ripropone l’importanza e l’essenzialità di un colloquio serio e concreto, oltre che esaustivo, del medico con i pazienti e con chi li accompagna, dialogo che oggi sembra sempre di più essere relegato alla semplice domanda: “ Che cosa hai? Perché sei venuto al P.S.?”, omettendo di chiedere i pregressi, che in molti casi sono la diretta causa della patologia al momento lamentata.
Oggi poi, l’esiguità del colloquio con i pazienti, sembra essere giustificata e appesantita sia dallo stato di emergenza Covid-19, in cui siamo immersi, sia dall’aumento delle richieste mediche da parte dei cittadini, con un aggravio di lavoro sui medici che veramente non sanno a chi “dare i resti”. Ma questa evenienza pare non venga compresa o giustificata dai cittadini, che talvolta non perdono tempo, anche attraverso i mezzi di comunicazione, a criticare questi atteggiamenti dei medici. Ad ogni modo, noi medici, proprio a motivo del nostro Giuramento, a prescindere, dovremmo sempre essere a disposizione del “malato”, anche se ci dovesse apparire come il “querulus” oraziano il medico è per i malati, i quali spesso pregano i loro parenti di farsi interlocutori per sapere le loro condizioni di salute.
Ed in questo senso, è una grave carenza da parte del personale sanitario, la “stitichezza” o l’avarizia di notizie elargite ai malati ed ai loro parenti, stando a quanto ci riferisce molta gente e molti nostri pazienti. Altro esempio è il caso di una giovane mamma di 28 anni, morta di Covid – 19, al Policlinico Umberto 1° di Roma il 20 gennaio scorso, dopo aver subito, il 13 gennaio, un parto cesareo. È emerso, – come così riportato dalla stampa nazionale che ha dato grande risalto al caso -, che la sua ginecologa – ora indagata-, le aveva sconsigliato di vaccinarsi. Però, ai vari P.S. in cui si era rivolta prima, le avranno fatto la domanda di rito sul Covid, onde ricoverarla subito, perché in stato di gravidanza e quindi da sottoporre in regime di protezione immediata? Non credo, se solo all’Umberto 1° di Roma – e dopo due volte! – hanno ritenuto di trattenerla il 7 gennaio u.s., trovando soltanto in quel giorno un posto di degenza, dopo che la sua storia era iniziata il 28 Dicembre e che l’aveva costretta a girare altri nosocomi, da dove, pare, non avesse ricevuto le adeguate attenzioni.
Chi scrive, è un navigato medico ospedaliero, già primario ORL per oltre 15 anni nella ASL Teramana e Capo Dipartimento delle Chirurgie della stessa ASL, oggi libero professionista ed ancora in contatto con i malati.
Quello che si sente spesso dire da parte di chi sottoponiamo a visita, è che il medico consultato in precedenza in ambulatorio o in ambito ospedaliero “non mi ha fatto tutte queste domande, non mi ha detto che l’epistassi poteva essere sintomatica di altre patologie” oppure “durante il ricovero di mio figlio non ho visto nessuno chiamarmi per aggiornarmi sulle sue condizioni neanche dopo due interventi per frattura tibiale Sn e omerale Sn, tanto che la sua dimissione è stata fatta senza dare le istruzioni di comportamento, salvo quelle scritte su un freddo foglio di carta”. “Per non parlare poi del post-operatorio a domicilio – continua il paziente – mai controllato dai medici di reparto, se non quelli inviati dalla ASL, ma che non erano stati gli attori-spettatori degli interventi, meglio i diretti curanti, per poi arrivare ad un nuovo ricovero d’urgenza, per infezione e procedere al terzo intervento chirurgico”.
Ci crediamo, perché il tipo di Volontariato cui apparteniamo, e che è quello Socio-Sanitario, ci porta di frequente ad accompagnare pazienti bisognosi nei vari ospedali e seguire l’iter dell’accettazione, o del ricovero, o di una visita, o di un esame radiologico. Noi stessi siamo stati – per strana combinazione – qualche anno fa, un paziente “anonimo” per un attacco acuto di appendicite con risentimento peritoneale e al P.S. di un grosso Ospedale Romano definito Codice Verde ed in attesa di sviluppi. Ci limitiamo solo a rilevare alcune cose tra le meno sorprendenti, soprattutto per un medico ospedaliero e primario per oltre 15 anni: diversamente ti verrebbe la voglia di appendere il camice al chiodo, stracciando il Giuramento Ippocratico. E tra queste cose scandalizzanti c’è la quasi completa assenza di colloquio tra paziente e medico, paziente che si trova di botto ad essere oggetto di un “quidam” che decide per te – consenso informato a parte perché dato solo per essere firmato e non discusso o chiarito -. Ciò che sorprende di più – al di là della carenza di organico sanitario, da sempre invocata a mò di giustificativo! -, è che il cittadino che arriva al P.S. non viene non dico subito visitato da un medico! cosa impensabile, ma almeno informato su quello che dovrà fare, e la risposta è sempre la stessa: “aspetti il suo turno.
E pensare che anche a chi scrive è capitato di aver vissuto questa esperienza durante la sua degenza, per un ricovero per appendicectomia: in quella circostanza non si ebbe il piacere né di incontrare il Primario, non perché non ci fosse (omissis), né il collega chirurgo che ha operato, non foss’altro per informarsi sulle condizioni post –operatorie: non si è mai visto, né saputo chi sia! Lo Giuriamo!
Ecco allora venir fuori una delle più grosse carenze nell’approccio al paziente che va in ospedale: l’assenza del COLLOQUIO, che non solo crea tranquillità al paziente (anamnesi), ma serve prima di tutto per acquisire quei dati, seri o no, che ti faranno decidere su di una diagnosi, se non fare proprio la diagnosi. Ma parlare subito con l’utente, indubbiamente è una ottima pratica, atta ad eliminare in primis serie problematiche, dal momento che – e qui lo ricordiamo – molte patologie con sintomi sfumati, possono nascondere invece gravi patologie, che solo una anamnesi accurata può mettere in evidenza! Saper interrogare un malato che si presenta a visita per una qualche patologia, significa “far fare a lui la diagnosi”, che, se sa parlare e descrivere con meticolosa dovizia di particolari i suoi sintomi e la loro provenienza, darà al medico, che sa ascoltare e pilotare il colloquio, utilissimi indizi per una diagnosi, che avrà poi la possibilità di essere trattata con un certo tempismo o con una certa calma.
Intanto, però, ti sei interfacciato col paziente subito e non dopo che la sua sintomatologia si sia intanto aggravata, facendoti poi correre inutilmente. Ed ecco allora la nostra esortazione che parrebbe scontata …ma non lo è: “Colleghi, si parli di più con i pazienti, si ascoltino, si abbia cura di interrogarli, perché se si sapranno formulare loro le domande giuste in base ai sintomi da loro denunciati, si troverà la diagnosi già bella e fatta”.
Questa mia disamina, non vuole essere un rimbrotto, ma una genuina e sincera esortazione, alla luce di lagnanze di molti nostri pazienti. Meglio “perdere” qualche secondo in più nel colloquio, che pentirsi di non averlo fatto!
Dr. Gian Piero Sbaraglia,
già Primario di Otorinolaringoiatria,
Consulente Tecnico d’Ufficio Tribunale di Roma, Direttore Sanitario e Scientifico
Centro di Formazione BLS-D, PBLSD, accreditato ARES-118 e IRC, Misericordia di Roma Centro.