Covid

Codice Rosso per la violenza sulle donne
Il delicato ruolo del Pronto Soccorso e del medico di medicina generale

18 Settembre 2024

Di Marianna Rillo, ufficio legale Club Medici.

Il 25 novembre si celebra nel mondo la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, una ricorrenza istituita dall’ Assemblea generale delle nazioni Unite.
Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3. In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner. Nel 2019 la Polizia di Stato ha registrato, in media, ogni 15 minuti una vittima di violenza di genere di sesso femminile. Per l’anno 2020 i dati della Direzione Centrale della Polizia Criminale indicano un aumento del numero degli omicidi di donne. Le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking[1] sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019. Il boom di chiamate si è avuto però in piena emergenza Covid-19. Il nostro sistema sanitario mette a disposizione di tutte le donne, italiane e straniere, una rete di servizi sul territorio, ospedalieri e ambulatoriali, socio-sanitari e socio-assistenziali al fine di assicurare un modello integrato di intervento. L’ultimo report sugli “omicidi volontari” curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale parla chiaro. Oggi i dati che riguardano il femminicidio fanno paura. Nel periodo che va dal 1° gennaio al 12 settembre 2021 sono stati registrati 197 omicidi, con 81 vittime donne di cui 70 uccise in ambito familiare/affettivo, 50 di queste hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Un tragico elenco che oggi continua ad allungarsi, mese dopo mese.

La violenza contro le donne è una violenza basata sul genere ed è ritenuta una violazione dei diritti umani (Conferenza Mondiale sui diritti umani: Dichiarazione di Vienna e Programma d’azione).
Accade molto spesso che le vittime di violenza, a volte inconsapevoli della loro condizione, si rivolgano per un primo intervento al Pronto Soccorso. Questo è infatti uno dei luoghi in cui più frequentemente è possibile intercettare la vittima. In particolare per la tempestiva e adeguata presa in carico di queste donne sono state adottate nel 2018 specifiche Linee Guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza[2].
Il Pronto soccorso è un luogo dove prima o poi, nel corso della storia di maltrattamenti e di violenze, la donna giunge. Poiché spesso, però, la violenza rimane nascosta, al fine di individuarne il più rapidamente possibile i segni è importante rafforzare le competenze degli operatori sociosanitari che entrano in contatto con le vittime, mediante specifici programmi di formazione. A tal fine nel 2020 il Ministero della Salute con l’Istituto Superiore di Sanità ha aggiornato ed esteso a tutti i Pronto Soccorso presenti sull’intero territorio nazionale il Programma di FormazionePrevenzione e contrasto della violenza di genere attraverso le reti territoriali”.
Ma di questo parleremo in seguito, essendo necessario innanzitutto individuare gli strumenti normativi predisposti per il contrasto alla violenza.

  • La prima significativa innovazione legislativa in materia di violenza sessuale, in Italia, si è avuta con l’approvazione della Legge 15 febbraio 1996, n. 66 (norme contro la violenza sessuale), che ha iniziato a considerare la violenza contro le donne come un delitto contro la libertà personale, innovando la precedente normativa, che la collocava fra i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume.
  • Con la Legge 4 aprile 2001, n. 154 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari), vengono introdotte nuove misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l’allontanamento del familiare violento. Nello stesso anno vengono approvate anche la Legge n. 60 e la Legge 29 marzo 2001, n. 134 sul patrocinio a spese dello Stato per le donne senza mezzi economici, violentate e/o maltrattate. Uno strumento fondamentale per difenderle e far valere i loro diritti, in collaborazione con i centri anti violenza e i tribunali.
  • Con la Legge 23 aprile 2009, n. 38[3] sono state inasprite le pene per la violenza sessuale e viene introdotto il reato di atti persecutori ovvero lo stalking.
  • Il nostro Paese ha compiuto un importante passo storico nel contrasto della violenza di genere con la Legge 27 giugno 2013 n. 77[4], approvando la ratifica della Convenzione di Istanbul, redatta l’11 maggio 2011. Le linee guida tracciate dalla Convenzione costituiscono infatti il binario e il faro per varare efficaci provvedimenti, a livello nazionale, e per prevenire e contrastare questo fenomeno.
  • Il 15 ottobre 2013 è stata approvata la Legge 119/2013[5] che reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere.
  • Infine il 17 luglio 2019 è stata approvato dal Senato con 197 voti a favore, 47 astensioni e nessun voto contrario il cosiddetto Codice Rosso, Legge 19 luglio 2019, n. 69 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.

Utilizzando una terminologia ben nota in ambito medico-sanitario, in cui il codice rosso indica le emergenze, la legge ha ritenuto di qualificare allo stesso modo alcuni delitti che, per la loro gravità e la frequenza con cui sfociano in esiti drammatici, necessitano di un intervento immediato da parte delle autorità competenti. Vengono così apportate modifiche al codice di rito atte a velocizzare l’instaurazione del procedimento penale e, di conseguenza, l’accelerazione dell’eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime; vengono così inasprite le pene, per rimodellarne alcune aggravanti ed introdurre nuove fattispecie di reato.
In poche parole il Codice Rosso rappresenta una procedura d’urgenza, o meglio una corsia preferenziale fornita per alcuni reati.
A voler essere precisi, rientrano nel Codice Rosso i seguenti reati:

  • maltrattamenti contro un familiare o un convivente;
  • violenza sessuale (anche di gruppo oppure su minori);
  • stalking;
  • revenge porn[6];
  • lesioni personali gravi;
  • deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso;
  • costrizione o induzione al matrimonio.

È doverosa, però, una precisazione: se si sporge denuncia per stalking o per maltrattamenti non è scontato che la Procura della Repubblica proceda d’urgenza secondo i criteri del Codice rosso. Questo avviene solo quando i fatti denunciati riguardino illeciti che si inseriscano all’interno di un più ampio quadro di violenza domestica o di genere. In caso contrario, la notizia di reato seguirà il normale percorso di qualsiasi altra denuncia. Sulla base del Codice Rosso, invece, una volta ricevuta la denuncia/querela, la polizia deve immediatamente comunicare la notizia di reato alla Procura competente. Il magistrato, a questo punto, ricevuta la querela dalla polizia giudiziaria, ha tre giorni di tempo per assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Così facendo, il pubblico ministero potrà valutare fin da subito se sussistono gli estremi per chiedere al giudice l’emissione di una misura cautelare (tipo l’allontanamento da casa o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima). In poche parole, il Codice Rosso, favorisce non solo la maggiore speditezza delle indagini, ma anche l’intervento diretto del pubblico ministero, il quale è tenuto a convocare in brevissimo tempo la persona offesa oppure il denunciante (se persona diversa). Ma la riforma si incentra in termini esclusivi sulla repressione del fenomeno della violenza domestica e di genere, dimenticando quindi, la matrice culturale del fenomeno e la conseguente necessità di intervenire a livello preventivo, il che ha portato non poche critiche.

La violenza di genere è una problematica che interessa diversi ambiti, tra cui quello sanitario.

Se il Pronto soccorso rappresenta spesso il primo anello della catena di luoghi e di azioni che permettono alla donna di intraprendere quel percorso verso la fine di una relazione violenta, è anche vero che il medico di medicina generale riveste un ruolo chiave. Fondamentale è il rapporto di fiducia che si istaura tra paziente e medico generale e proprio in virtù di questo rapporto esclusivo che quest’ultimo, in ambito sanitario, rappresenta la figura che si trova nella situazione più adatta ad identificare, valutare e gestire casi di violenza domestica. Ogni maltrattamento, che sia fisico, psicologico, sessuale o economico, ha delle ripercussioni sulla salute delle vittime, che accusano disturbi di vario genere, per cui fondamentale è riconoscere i primi segnali di una violenza per poter subito intervenire, assistere e guidare la vittima verso quello che è, a volte, anche un percorso di consapevolezza.

Quindi l’accesso al Pronto Soccorso, così come il rapporto che si viene ad istaurare con il medico di medicina generale, è un passaggio molto delicato in quanto costituisce un momento in cui innanzitutto è possibile riconoscere la violenza e intercettare la domanda di aiuto della donna (non sempre esplicita).
Andando in ordine, la prima persona che la donna incontra al Pronto Soccorso, molto probabilmente, è l’infermiere il quale provvede in prima misura ad eventuali medicazioni (quando possibile), subito dopo i reparti presso i quali sono stati richiesti esami, approfondimenti diagnostici e consulenze provvederanno all’espletamento di questi ultimi e alla restituzione dei risultati di tali indagini e valutazioni. Avendo a disposizione anche questi elementi, il medico provvederà all’analisi di tali esiti e alla decisione di dimissione o di richiesta di ricovero. In caso di violenza sessuale il reparto di ginecologia ed ostetricia è responsabile sia dell’apertura del referto sia della sua chiusura in fase di dimissione e informerà la donna della necessità, di eventuali follow-up clinici, ed infettivologici (da eseguire dopo la dimissione) e della presenza di un supporto dell’assistente sociale.

Per il nostro ordinamento giudiziario il medico, a seconda del ruolo che riveste, viene considerato:

  • esercente un servizio di pubblica necessità: quando esercita come libero professionista
  • pubblico ufficiale: quando esercita come dipendente o convenzionato SSN

È importante conoscere questa differenza, in quanto gli obblighi che derivano dal ricoprire l’una o l’altra carica sono differenti. Quando un medico viene a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio, ha l’obbligo di segnalarlo all’autorità giudiziaria in due distinte forme che, a seconda del ruolo che in quella circostanza riveste, sono:

  • il Referto, se a fare la segnalazione è un esercente un servizio di pubblica necessità
  • il Rapporto (o denuncia), se la segnalazione è fatta da un pubblico ufficiale

Si tenga presente che un reato si definisce perseguibile d’ufficio quando il provvedimento penale si avvia anche senza che la vittima sporga querela. Molte situazioni di violenza domestica trovano riscontro, quali forme di reato procedibile d’ufficio, in articoli del codice penale. A titolo esemplificativo i più significativi sono:

Lesioni personali (art 582-583 cp)[7]. A seconda della gravità delle lesioni procurate, si distinguono:

  1. lesioni personali lievissime, quando la prognosi è inferiore ai 20 giorni. Queste ultime sono procedibili d’ufficio se vengono commesse in circostanze aggravanti (utilizzo di armi, sostanze corrosive, materie esplodenti, gas asfissianti e accecanti).
  2. lesioni personali lievi, se la prognosi è tra i 21 e i 40 giorni.
  3. lesioni personali gravi, se la prognosi è superiore ai 40 giorni o quelle che, indipendentemente dai giorni di prognosi, causano un pericolo per la vita della persona offesa.
  4. lesioni personali gravissime, sono quelle che causano una malattia “certamente o probabilmente” inguaribile.

Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583 bis cp )[8]

Maltrattamenti contro familiari e conviventi. (art. 572 cp)[9]

Minacce (art. 612 cp). In questo caso si procede d’ufficio se la minaccia è grave o commessa in situazioni aggravanti con armi o da persona travisata.

Atti persecutori (stalking) (art. 612 bis cp)[10]. Si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Violenza sessuale (art. 609 bis-septies cp). Tale reato è perseguibile a querela della persona offesa, ma nelle seguenti condizioni si procede d’ufficio:

  1. se il fatto è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni diciotto;
  2. se il fatto è commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
  3. se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni;
  4. se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Necessario a questo punto è soffermarci sulla violenza sessuale, in quanto pochi altri reati richiedono un esame e una raccolta di prove così ampia come nel caso di specie. E quando i bisogni medici sono affrontati per primi dai servizi di Pronto Soccorso, è necessario mantenere l’integrità̀ delle prove (per quanto possibile) e se qualcosa viene spostato o rimosso, deve essere puntualmente annotato sulla cartella clinica. Nello specifico:

  • gli abiti devono essere maneggiati il meno possibile
  • le ferite (ove possibile) non devono essere pulite
  • usare buste separate per ogni oggetto raccolto
  • imbustare ogni abito separatamente

Chi presta il primo soccorso, inoltre, deve comunicare alla vittima una serie di informazioni (ad esempio che le prove possono essere distrutte da alcune attività, come usare collutorio, fumare, mangiare), perché è fondamentale preservare prove potenzialmente preziose, che possono essere presenti sul corpo della vittima o sui vestiti indossati al momento dell’aggressione, questo ai fini dell’individuazione del colpevole del reato. Nel caso in cui le vittime di violenze sessuali abbiano il loro primo vero contatto con un agente di polizia, questo appena arrivati alla struttura medica, dovrà fornire al personale ospedaliero ogni informazione riguardo l’aggressione e solo dopo aver ottenuto il consenso della vittima, potrà condividere ogni informazione pertinente con il personale di supporto.

Quanto al consenso da parte del paziente, questo è fondamentale per procedere all’esame fisico (come da prassi ospedaliera), in quanto le vittime di violenza sessuale hanno la possibilità di decidere se dare o meno il loro consenso ad una sola o tutte le procedure del caso.
Il consenso informato è un processo continuo che implica più di una semplice firma. Se sotto stress, molte vittime possono non essere nelle condizioni di comprendere il valore e il significato di tutte le procedure, perciò a queste donne devono essere spiegate accuratamente e ripetutamente, in modo tale che possano comprendere a fondo ciò che il personale sanitario sta facendo e soprattutto perché. Per cui quando si è ottenuto il consenso informato, questo non deve essere interpretato come “carta bianca” perché, sempre in ottica di tutela e salvaguardia della salute psicofisica della vittima, se questa esprime resistenza o non-cooperazione, il personale sanitario deve comunque interrompere immediatamente la procedura. Avere un senso di controllo è una parte molto importante nel processo di guarigione di queste donne, specialmente durante le prime fasi dell’esame fisico e dell’interrogatorio. Proprio per questo motivo il consenso è un aspetto fondamentale anche per la presenza di una persona di supporto o di un avvocato, durante lo svolgimento di ogni attività considerata necessaria.
Le uniche persone che devono essere presenti nel momento dell’esame fisico della vittima, sono il personale sanitario, un traduttore in caso di bisogno e (con il consenso del paziente e del personale medico) un avvocato. Inoltre ogni persona presente è considerata un testimone della procedura e quindi può essere chiamata a testimoniare in tribunale.
Non è necessario che un rappresentante delle forze dell’ordine osservi le procedure di raccolta delle prove. L’esposizione della vittima di violenza sessuale all’osservazione e al controllo da parte della polizia durante lo svolgimento delle attività del personale sanitario (per cui la polizia verrebbe a conoscenza di discussioni private tra il paziente e il team esaminatore) è considerata una violazione della privacy del paziente e non è quindi necessario.

Infine durante l’esame fisico legale, è importante che le procedure sanitarie e la raccolta di prove vengano integrate di volta in volta. Affinché l’esame abbia successo le procedure sanitarie e legali devono essere coordinate; ad esempio, per minimizzare il trauma del paziente, il prelievo di sangue a fine medico (per gravidanza, sifilide, HIV) deve essere fatto insieme al prelievo di sangue a fini forensi.

La violenza di genere è un tema molto delicato e nonostante nel corso degli anni si siano susseguiti vari interventi legislativi, il fenomeno registra tutt’oggi percentuali molto alte, tale da rendere necessari non solo strumenti legislativi ma soprattutto formazione e cultura per poterlo combattere.
L’emanazione del Codice Rosso ha comportato opinioni contrastanti. Se da un alto alcuni lo hanno ritenuto un importante cambiamento storico, per una serie di motivi tra cui soprattutto l’introduzione del reato di revenge porn, la violazione degli ordini di protezione (che diventa un reato procedibile d’ufficio) e l’introduzione di altri reati suddetti, dall’altro invece è stato ritenuto che si trattasse solo di propagandistica, vertendo le critiche, sulla difficoltà delle Procure di agire nel breve lasso di tempo dei tre giorni, non essendoci risorse sufficienti per quest’ultime, né per le forze dell’ordine.

Il problema della violenza domestica e di genere viene affrontato attraverso interventi repressivi, ma non viene contrastato efficacemente da un punto di vista strutturale. Per le donne vittime di violenza, deve essere garantita una dignità, un’autonomia, un sussidio statale tale da consentirle una vita dignitosa svincolata dalla paura. Molte donne non denunciano, perché si sentono loro stesse colpevoli per un qualcosa di cui colpa non hanno, tutto questo sta nella coercizione psicologica che il “carnefice” attua sulla propria vittima, facendola sentire sbagliata, a disagio, incutendole ansia, paura, facendola sentire incapace di relazionarsi con il mondo, attuando una forte destabilizzazione emotiva. Ma denunciare è fondamentale, è un modo per essere libere, per poter uscire dal buio tunnel di violenze.

I dati dei reati di violenza contro le donne che emergono soprattutto da questa situazione emergenziale, la quale purtroppo costringe le vittime di violenza ad una convivenza forzata con il proprio “carnefice”, sono inquietanti, tale da porci davanti ad una vera e propria emergenza sociale, per la quale non basta un inasprimento delle pene ma occorre prendere consapevolezza del fenomeno ed iniziare a dare un’educazione, partendo proprio dalle scuole. I centri antiviolenza, sono numerosi e hanno un’importanza fondamentale ma devono essere supportati attraverso interventi statali più incisivi. Un grande passo in avanti è stato fatto attraverso l’emanazione del Codice rosso, ma questo sembra non essere sufficiente.


[1] Promosso e gestito dal Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio.
[2] Decreto del Presidente del consiglio dei Ministri 24 novembre 2017.
[3] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.
[4] Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011.
[5] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province.
[6] Art. 612 ter c.p., relativo alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
[7] Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente con prognosi superiore a 20 giorni.
[8] Mutilazione degli organi genitali femminili in assenza di esigenze terapeutiche, ossia clitoridectomia, l’escissione, l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
[9] Chiunque maltratti un familiare o convivente o persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata. Nel termine “maltrattamenti” è sottintesa la reiterazione del reato.
[10] Chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Il delitto è punito a querela della persona offesa.