2 Novembre 2021
La “Voce dei Medici” da sempre promuove l’intreccio virtuoso tra arti e cultura. Stavolta vi raccontiamo la storia di una paziente, che ha fatto dell’origami la sua terapia anti crollo, e che ha contattato la nostra redazione grazie al network di “Cultura è Salute”.
Ciao Renè! Chi sei e perché ti chiamano “art-origamista”?
Per gli amici sono René e sono una donna di 45 anni con una grave disabilità che in gergo scientifico viene chiamata Focomelia e/o Amelia. È una malformazione agli arti superiori, in poche parole, mi mancano le mani. Non è facile convivere con questo tipo di disabilità perché oltre ad incontrare l’inconsapevolezza di molte persone, gli ostacoli mentali che si devono superare sono molti ma, nonostante questo, ci si riesce a convivere per quel che è possibile. Ho provato ad utilizzare le protesi sia da bambina che da adulta, ma niente da fare. Art-Origamista perché nonostante io abbia a che fare con tutto questo, sono riuscita ad entrare nel mondo origamistico. In origami l’uso delle mani è essenziale, non si può per esempio usare la bocca per farlo, o meglio, non conosco nessuno che lo faccia, come succede per la pittura, per esempio. Piego origami dal 2013, dai più facili ad alcuni tecnicamente più difficili e dopo qualche tempo ne ho inventati dei miei e chi ha visto ciò che faccio, mi definisce “artista dell’origami” e da lì nasce Art-Origamista (un po’ poliedrica).
Quando ci siamo conosciute, hai scritto che l’origami rappresenta per te una “terapia anti-crollo”. In che senso?
Esatto. È importante per me l’origami, è stata ed è una terapia che mi sono auto-prescritta perché quando ho iniziato era per un motivo ben preciso. Oltre alla mia disabilità, io e mio marito abbiamo dovuto iniziare a convivere con un altro problema che ha letteralmente rivoluzionato in modo negativo la nostra vita. Una malattia chiamata Istiocitosi a cellule di Langerhans che subentrò a metà del 2012 che da allora ha iniziato a far parte della nostra vita. Lui ne è stato colpito e dunque, ci siamo ritrovati catapultati in una situazione non solo quasi sconosciuta, ma anche difficile da gestire. Avevamo passato mesi tremendi, in balia del: “e adesso cosa facciamo” …
Poi è scattato qualcosa che ci ha fatto dire: “ok, è ora di inventarci qualcosa se no sprofondiamo”. Qui entra in gioco l’origami. È stata come una manna dal cielo, un aiuto emotivo sia per me che per lui. In origami oltre all’uso delle mani, ci vuole anche molto impegno mentale, molta pazienza e non puoi permetterti distrazioni perché se sbagli una piega devi rifare tutto daccapo. Se riapri e richiudi il foglio più volte, cercando di sistemare quella piega, non si otterrebbe il risultato desiderato. Quindi ho lavorato molto con la mente e non ho avuto il tempo di pensare al brutto della situazione che stava accadendo nella nostra famiglia. Questo ha fatto sì che io rimanessi lucida per quando mio marito avrebbe avuto bisogno di me, perché se lui vedeva che io “stavo su di morale”, lui di conseguenza era sereno perché non si sentiva né un peso, né un “malato”.
Inoltre abbiamo scoperto che curi un blog molto bello ed originale! Anche la scrittura in qualche modo ti ha salvata?
Esatto, il blog reneciampa.com. Diciamo che ne posseggo due; il secondo è di cucina e lo gestisco con mio marito. Il blog, quello che avete visto voi invece lo utilizzo soprattutto per farmi conoscere, per far conoscere quello che faccio e per lanciare il messaggio: “Provaci prima di dire non ce la faccio”. Ho scritto alcuni testi, uno pubblicato che poi ho ritirato io stessa dal mercato perché a guardarlo con gli occhi di oggi, trattava la disabilità in modo un po’ burbero, un po’ come se lo avesse scritto quella parte di me più arrabbiata con quel qualcuno immaginario che mi ha causato questo, (ora lo sto riscrivendo ma in modo un po’ più soft…diciamo e sarà a breve pubblicato) poi ho pubblicato un libro di origami, ma la scrittura diciamo che mi fa da specchio; quando scrivo è come se fossi davanti a questo specchio che mi porta a pensare non solo alle cose belle e serene che ho vissuto ma anche ad errori che ho commesso in passato e che ho corretto durante il tempo. Ecco, non so se posso dire che mi ha salvata, certo è che mi sta facendo essere più consapevole della vita che ho fatto e sto facendo.
In un passaggio scrivi che nonostante la disabilità “qualcosa di positivo c’è”. Come hai sviluppato questo approccio più ottimista? Ed in che modo hai raggiunto la consapevolezza di te stessa e delle tue grandi potenzialità?
Le mani sono un dono prezioso che una persona possa avere, possono indossare anelli, ti allacciano le scarpe, ti aiutano nella quotidianità o in alcuni momenti critici, per esempio avrei difficoltà se mi dovessi slogare una caviglia, come successo qualche anno fa, non ho potuto utilizzare le stampelle. Quando successe, ho dovuto prendere in affitto una sedia a rotelle. Quello che di positivo io ho trovato nella mia disabilità è che per esempio non ho il problema di slogarmi i polsi, se cado o vado a sbattere. Questo credo sia l’unica piccola nota positiva. Per quanto riguarda l’approccio ottimista che ho nei confronti della disabilità è forse aver imparato con gli anni ad usare “autoironia”. Io sono molto autoironica, rido molto di me stessa, dei miei difetti e alcune volte spiazzo le persone con certe uscite. Però come dico sempre, io lo faccio perché so dove posso arrivare. Qualcuno in passato ha voluto provare a utilizzare l’ironia su me stessa ma non ci è riuscito, non mi ha fatto mai ridere, proprio per niente anzi. Per quanto riguarda la consapevolezza di sé stessi, secondo me la si raggiunge strada facendo. Forse, se devo essere sincera, non l’ho ancora raggiunta definitivamente perché mi spingo sempre oltre le aspettative (sia mie che degli altri) per raggiungere ulteriori traguardi. Per quanto riguarda le mie potenzialità, sin dalle scuole medie, l’educazione artistica era forse l’unica materia in cui andavo davvero forte e che mi rendeva sicura di me, difatti ho continuato su questa strada in modo solitario, purtroppo non frequentando studi in questa materia ed ora mi ritrovo spesso con le mani tra fogli e colori.
In che modo le arti possono secondo te diventare una terapia? E perché fanno stare bene?
L’arte è bellezza, è divinità, è pura magia, che sia pittura, o cinema, o musica, o teatro, ecc. ecc. che mentalmente cattura. Si, secondo me può diventare terapia perché oltre a stimolare la mente, fargli un po’ il solletico… diciamo, può portare una persona ad avere meno pensieri negativi che magari possono “passeggiare” in quel momento nella nostra testa e capire quanta manualità può acquisire o migliorare con i movimenti che alcune arti ti portano a fare. Il fatto di iniziare a coltivare arte e creatività secondo me è sinonimo di iniziare una nuova dimensione della propria vita. L’arte fa stare bene perché come dicevo prima ti cattura mentalmente, ti ritrovi immerso in un mondo fantastico che magari prima si aveva paura di affrontare.
Infine ti chiediamo, dato che sei entrata nel network di “Cultura è Salute”, cosa ti ha colpita di questo progetto? Ritieni che la cultura sia sinonimo di benessere individuale?
È un progetto importante che va portato avanti. Io personalmente ho letto il manifesto e l’ho sottoscritto. Io e mio marito siamo spesso in ospedale per le terapie a cui deve sottoporsi per l’istiocitosi e (ancor prima di venire a conoscenza del vostro progetto) tante volte gli dicevo che sarebbe bello, per esempio, avere nei reparti una stanza “ri-creativa, culturale” dove nel rispetto di tutti, artisti, comici, gruppi o persone che della cultura ne fanno la propria forma di vita, possono entrare e portare qualche ora di sollievo e spensieratezza a chi sta male, il tutto, naturalmente rispettando il loro volere e senza mai obbligarli. La riabilitazione attraverso l’arte e la cultura secondo me possono aiutare a portare, oltre al benessere, anche una maggior consapevolezza su cosa si possa raggiungere, sia mentalmente che fisicamente.