Covid

“Codice Rosso”: essere medico, sapersi emozionare
di STEFANIA CARNIELETTO

18 Settembre 2024

Attualmente in prima linea presso il DEA, Pronto Soccorso dell’ospedale S. Andrea di Vercelli, la Dottoressa Stefania Carnieletto è stata a lungo volontaria in Vietnam ed in Etiopia. Proprio quelle esperienze a contatto diretto con la sofferenza e la morte sono state i binari per trasformarla anche in una scrittrice.

Il suo libro s’intitola “Codice Rosso” ed ha rappresentato per lei una sorta di “liberazione”. Perché?

L’idea di scrivere il libro è nata dopo alcune esperienze lavorative importanti, anche all’estero, che mi hanno portata a stretto contatto con la morte e con molti eventi traumatici, come arresti cardiaci improvvisi o altre situazioni che si sono susseguite nell’arco di pochissimo tempo ed hanno purtroppo riguardato anche dei bambini. Ho voluto comprimere queste vicissitudini, che mi avevano provato molto dal punto di vista professionale ed anche umano, e raccontarle in un libro. L’ho fatto anche grazie anche ad un gruppo di psicologi, che ci hanno portato a riflettere su quello che avevamo vissuto e ci hanno esortato a mettere nero su bianco le nostre emozioni. Da una prima risposta breve, che avevo scritto su un foglio, ho sentito poi l’esigenza di approfondire quello che stavo provando: in “Codice Rosso” mi sono confrontata con la morte stessa, l’ho trasformata in una persona, con cui mi sedevo a tavolino, a chiacchierare. Questo mi ha permesso, attraverso la scrittura, di rielaborare molto ciò che avevo visto e vissuto di persona.

I periodi come volontaria in Vietnam ed in Etiopia, a stretto contatto con i bambini e le loro sofferenze, l’hanno dunque segnata molto. Cosa ricorda in modo particolare?

L’esperienza più significativa è avvenuta in Etiopia, poco prima di specializzarmi, quando ho lavorato in un campo dove risiedevano circa 480 bambini, malati di HIV ed AIDS. L’impatto emotivo è stato piuttosto forte; ho scelto la specialità della medicina interna quindi generalmente lavoravo con gli adulti, ma in quel caso ho voluto mettermi alla prova anche per capire se fossi in grado di gestire bambini anche di piccola età. Per me è stata un’esperienza bellissima, che mi ha dato tanto a livello professionale ed umano e proprio da quel momento è nato un approccio diverso alla cura e al malato. Lavorando ora in pronto soccorso, mi sono trovata a gestire in prima persona qualunque tipo di emergenza pediatrica e quel periodo ha gettato le basi per un percorso futuro.

Cosa intende per “approccio diverso” alla cura?

Dev’esserci una componente empatica tra medico e paziente. Con i bambini è probabilmente più facile, anche nelle condizioni più drammatiche. Con gli adulti si cerca quasi automaticamente di mantenere una sorta di distacco. Con i piccoli pazienti invece il distacco si annulla: ho capito, lavorando proprio con loro, che questo distacco non deve crearsi neanche con l’adulto. Bisogna saper instaurare un rapporto di reciproca fiducia e questo avviene quando anche il medico si mostra per quello che realmente è. La malattia si vive insieme al malato e questo l’ho capito proprio attraverso il libro, avvicinandomi al concetto della medicina narrativa. Cerco quindi di privilegiare un rapporto che vada fuori dagli schemi rispetto al consueto rapporto medico-paziente.

Ma cos’è un Codice Rosso?

Nel mio lavoro s’intende un caso clinico piuttosto grave in cui c’è un imminente pericolo di vita, ma in questo caso, in riferimento al libro, possiamo interpretarlo come una sottile linea rossa che in teoria non si dovrebbe superare, ma invece è importante scavalcare per gestire meglio il contatto con il malato e ad entrare in una dimensione diversa nella gestione della malattia. Il medico dovrebbe essere per antonomasia distaccato dai propri pazienti, non dovrebbe superare una certa linea rossa per evitare che le emozioni lo sovrastino. Ma invece, anche per dare un senso alla morte stessa, è fondamentale cambiare approccio ed aprirsi.

Possiamo quindi affermare che “cultura” e “cura” sono in qualche modo complementari?

Per la mia esperienza posso sicuramente affermare che la scrittura è stata terapeutica: “Codice Rosso” è stato un libro scritto di petto, in pochissimi giorni, avevo la necessità di rivivere ogni momento vissuto ed ogni minuto era buono per scrivere. Ho scritto anche mentre cucinavo o giocavo con i miei figli. Proprio la percezione dell’effetto terapeutico della scrittura mi ha spinto a condividere quelle emozioni con le persone che avevo intorno, l’effetto terapeutico era anche per loro. Volevo far arrivare a tutti quelle emozioni, in primis al personale sanitario, ma poi anche agli altri. Chiunque nella vita si trova ad affrontare momenti critici o la morte. Anche l’attuale pandemia, legata al Covid-19, è stata un “codice rosso” ogni singolo giorno. Pubblicare questo libro, in un momento così fragile per il mondo intero, ha rappresentato per me una possibilità in più di essere di supporto agli altri, a chi doveva gestire l’emergenza o la sta ancora vivendo in qualità di paziente o di familiare.