Diritti e Doveri

Medico, difenditi… pensando più a te stesso!
di GIAN PIERO SBARAGLIA

19 Aprile 2021

Dall’aumento dei contenziosi medico – legali, alla pressione che si riversa ogni giorno sulla professione fino ai tempi dei processi enormemente aumentati. Considerazioni e proposte a cura di Gian Piero Sbaraglia, già primario orl (presidio ospedaliero di giulianova) – sempre asl di teramo – e già capo dipartimento delle chirurgie della asl di teramo; direttore sanitario e scientifico presso il centro di formazione accreditato Ares 118 e Irc Misericordia di Roma centro.

Medice, cura te ipsum!”

Questa frase di Gesù, tratta dal Vangelo di Luca, calza a pennello per noi medici, se proiettata in tema medico-legale. Cominciamo con il dire che nonostante il “decreto – legge Balduzzi” (13 settembre 2012 n.158) avesse “tentato” di chiarire o quanto meno di mettere ordine circa la responsabilità dell’atto medico, tuttavia ad oggi si assiste di continuo alla nascita di contenziosi medico-legali da parte di cittadini insoddisfatti, creando nel medico una vera e propria psicosi nel poter essere coinvolto facilmente nelle aule di giustizia.

Si aggiunga poi quanto significato dalla Cassazione con sentenza n° 26568/2019 circa “la responsabilità medica, decisa in base a quattro leggi scientifiche, che ne fanno un vademecum dalla stessa cassazione”.

In questa sentenza si disquisisce sull’operato di medici che con la loro condotta avrebbero causato la morte di una paziente: questa sentenza (riportata dalle newsletter dell’Omceo – ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri del 01 luglio 2019) dà l’esatta fotografia di come le argomentazioni trattate dalla Corte di Cassazione possano in qualche modo “inibire” o comunque “confondere” o meglio ancora “disorientare” individui come noi, della plebe, che a leggerle e rileggerle, fanno venire in mente le parole di Dante a Virgilio nel III canto dell’Inferno, v.12, il canto degli ignavi: “… maestro, il senso lor m’è duro”. Non aggiungo altro, lasciando il resto a chi vuole dilettarsi a leggere la sentenza.

Ma a mio avviso questo giustifica quel timore che sta favorendo la nascita di un’esagerata prudenza da parte di noi medici nell’erogare le prestazioni sanitarie, non più affidandoci al nostro proprio buon senso o discrezionalità, preferendo quasi sempre l’invio del paziente interessato in ambiente ospedaliero, onde proteggerci le spalle; oppure richiedendo esami di laboratorio, radiografici, ecografici e le più diverse consulenze specialistiche, così da coinvolgere molti altri colleghi, con i quali poi formare un bel gruppo di medici, che comunque sono intervenuti su un singolo paziente, per difenderci in caso di contenzioso medico-legale!  Mal comune, mezzo gaudio!

Questo è uno degli aspetti della cosiddetta “medicina difensiva”. Ben diciassette anni sono passati da quando venne pubblicato, a cura di “Sole 24 ore Sanità” nell’ottobre 2004, il nostro articolo “Complicanza non è jatrogenia”, nel quale denunciavamo, tra l’altro, con forza e buone argomentazioni, l’assenza di un argine all’aumento esponenziale dei contenziosi medico – legali di quegli anni. Diciassette anni sono tanti ed ancora oggi ci ritroviamo a parlare delle stesse cose: l’aumento dei contenziosi medico – legali, la lievitazione del costo delle polizze sanitarie professionali, l’incolpevolezza dei medici 6 volte su dieci, con i tempi dei processi enormemente aumentati.

Tutte queste mie amare considerazioni potrebbero trovare soluzione al problema, con alcune proposte concrete: lanciamo allora questo guanto di sfida:

  1. prevedere di risarcire subito, nello stesso procedimento, il medico ed eventualmente la Asl, chiamati in causa, se ritenuto incolpevole; e questo già alla fine del primo grado di giudizio.
  2. ridare efficienza e competenza all’ufficio legale delle asl così da formulare, con indagini interne, una dettagliata relazione su fatti e cose, oggetto del contenzioso, facilitando il compito alla magistratura, e costituendo per di più un freno alla ricerca di motivazioni di convenienza, troppo spesso messe in piedi dopo molto tempo dai fatti, invece di essere prese in considerazione nell’immediatezza dell’accaduto.  Questo punto di sicuro potrebbe costituire un deterrente per coloro i quali “tentano di provarci”, perché l’avere aperto già un fascicolo interno con fatti e circostanze dettagliate, impedirebbe costruzioni esagerate o distorte dei fatti, sempre col fine di poter accendere un contenzioso.
  3. tenere in conto sempre che il danno lamentato andrebbe collocato nella gravità della patologia e nella sua particolare localizzazione: ci sono interventi che comportano la scelta di approcci terapeutici assai invasivi e per questo rischiosi, talora solo ed in maniera imprevedibile al momento di un atto chirurgico. Chi fa chirurgia, sa bene quello che si vuole dire: non raramente l’approccio chirurgico, preparato anche minuziosamente, può rilevarsi modificabile alla luce di ciò che ci si presenta, quando si apre una breccia operatoria! E allora che si fa, se si trovano cose diverse? Se si verificano imprevisti? Si sveglia il paziente per modificare il “consenso informato” datogli in precedenza?

Ciò non significa assolvere tutti e tutto, ma la valutazione della lesione dovrà essere riferita a danni macroscopici, quali quelli d’aver lasciato nella breccia operatoria presidi chirurgici in genere o d’aver arrecato danni riconducibili a grave ignoranza professionale, soprattutto quando c’è di mezzo la morte del paziente!

In conclusione si deve tener presente che ogni atto medico non può essere paragonato all’esecuzione di uno “schizzo” che può essere corretto a piacimento, cancellando con la gomma il tratto venuto male! La professione medica non deve essere oggetto di mero suggerimento o critica; bisogna prima conoscere bene la materia! Dovrebbe essere conosciuta soprattutto da chi pontifica su “come si sarebbe dovuto fare un intervento”, stando seduto su una sedia o, peggio ancora, dovrebbe essere approfondita dagli scranni di “colleghi” che non hanno mai provato il pathos della sala operatoria o che non hanno mai visto in faccia un malato, ma hanno solo scritto e letto carte su carte di ordinanze, senza mai buttarsi in campo, vivendo l’ansia di chi sta in corsia a fianco dei malati, condividendone i loro stessi patimenti!  Ed allora mai come in questa circostanza, la frase di Gesù, riportata da Luca, calza così tanto a pennello per chi esercita attivamente la professione medica: “Medico, cura te stesso” ovvero “Medice, cura te ipsum!”.