Covid

AstraZeneca, paure e farmacosorveglianza: il rischio zero non esiste
di BARBARA ILLI e PATRIZIA LAVIA

18 Settembre 2024

Le due ricercatrici dell’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del CNR di Roma ci aiutano a fare chiarezza sul tanto discusso vaccino AstraZeneca.

La sospensione del vaccino Astra Zeneca in Europa, sebbene per pochi giorni, segna una battuta d’arresto nella campagna vaccinale, con ricadute nocive in termini di tempo perduto e ulteriori morti. La sospensione riflette la volontà dei governi nazionali di ottenere notizie certe e rassicurare le popolazioni, che si sono trovate di fronte ad una improvvisa raffica di “cattive notizie”: notizie di morti sopraggiunte in soggetti vaccinati con Astra Zeneca, rimbalzate attraverso i social, causando paure che probabilmente non potevano essere ignorate. Quanto la sospensione generale fosse giustificata è stato oggetto di un acceso dibattito: la maggior parte della comunità scientifica ritiene che il basso numero di eventi avversi meritasse certo un approfondimento ma, a fronte dei benefici infinitamente più elevati del vaccino, non giustificasse una completa sospensione. Mentre scriviamo, i casi di morte sono stati approfonditi dall’agenzia regolatoria Europea, che ha revocato la sospensione e autorizzato la ripresa della campagna vaccinale. Una lezione da trarre dalla progressione degli eventi – dalla percezione di un rischio, all’esame dei casi, alla decisione di confermare la sicurezza del vaccino – è che i sistemi di monitoraggio e farmaco sorveglianza di EMA e di AIFA sono stati rapidi ed efficienti. Analizzare la vicenda aiuta a distinguere tra decisioni emotive e decisioni basate su dati e sottolinea l’importanza di un’informazione onesta, comprensibile, trasparente in tutti i passaggi.

Gli eventi tromboembolici

Astra Zeneca stessa aveva riportato eventi avversi – tromboembolie (VTE, venous thromboembolism) ed embolie cerebrali – in numero di 35, su 17 milioni di vaccinati in Europa (0,0002%). In Europa, abbiamo avuto quasi 25 milioni di contagiati con oltre 580.000 morti (2,3% dei contagiati). In altre parole, il rischio di un esito fatale da COVID-19, tra i contagiati, è circa 85 mila volte più frequente del rischio di un esito fatale del vaccino. Si può obiettare, tuttavia, che anche un esito avverso molto raro è pur sempre un evento avverso, e dunque esiti fatali eventualmente causati dal vaccino non debbano essere sottovalutati.  Diamo allora un’occhiata all’incidenza delle tromboembolie nella popolazione generale. Secondo un rapporto dell’American Heart Association (la società americana di cardiologia), si verifica 1 evento di tromboembolia ogni 1000 abitanti. Un aspetto interessante è che, in assenza di profilassi, il 55-60% dei casi è legato all’ospedalizzazione. Pertanto, non dovremmo più ricoverarci? Oppure, è l’ospedale a causare l’impennata di tromboembolie?

Da un’analisi dei fattori di rischio tromboembolici emerge l’importanza del quadro genetico in cui gli eventi si verificano, soprattutto in persone di 50 anni di età o più giovani. Mutazioni che causano perdita di funzione della proteina C, S e antitrombina (tutte con attività anticoagulante), così come mutazioni di guadagno di funzione del fattore V Leiden o della protrombina (coagulanti), nonché alcuni polimorfismi genetici non correlati ad una specifica attività biochimica, sembrano predisponenti. La realtà è che questo tipo di analisi non rientrano nei comuni check-up che ognuno di noi esegue annualmente, a meno di precedenti familiari. Per cui, anziché dire “Non aveva patologie pregresse”, nel caso di eventi avversi gravi dopo vaccinazione, bisognerebbe riportare più correttamente “Non aveva patologie pregresse diagnosticate”, perché non esplorate preventivamente.

Ancor più interessante è il numero di VT E associato all’assunzione della pillola anticoncezionale, utilizzata da milioni di donne. Uno studio danese ha riportato 2045 eventi di VTE su 3,3 milioni di donne, lo 0,061%. Eppure, è questo un farmaco molto utilizzato, nonostante il rischio di patologie vascolari.

La paura in Europa e la responsabilità dei media

Dopo la Germania, in cui si sono verificati, ad oggi, 9 eventi di embolie cerebrali dopo somministrazione del vaccino, giudicate dal Paul-Ehlrich-Institut sospette, diversi Paesi Europei – compresi alcuni in cui non si era registrato alcun evento avverso, come la Francia – hanno sospeso il vaccino Astra Zeneca. In una sorta di effetto domino, anche l’AIFA ha deciso la sospensione sul territorio nazionale, nonostante le rassicurazioni dell’EMA e dell’OMS sulla sicurezza del vaccino. Ma perché il vaccino Astra Zeneca ha suscitato, più di altri, tante paure? Tutti comprendiamo che qualunque farmaco possa originare eventi avversi rari. In gennaio, ad esempio, si registrarono in Norvegia 23 decessi tra persone vaccinate con Pfizer, ma l’ente di controllo norvegese rilevò con prontezza “il numero degli incidenti non è allarmante ed è in linea con le previsioni”. Il vaccino Astra Zeneca è invece diventato il paradigma della sfiducia. È utile analizzarlo, perché emergono diversi piani intrecciati tra cattiva informazione, emotività, trascuratezza nel fornire informazioni precise.

Il “ribaltamento” del primo caso avverso. Fin dall’inizio della sperimentazione Astra Zeneca era finita nel mirino delle testate, per via di un evento di mielite trasversa (un’infiammazione del midollo spinale) occorso, però, in un individuo del gruppo placebo. Nella pubblicazione relativa alle sperimentazioni di Astra Zeneca, si legge che il placebo, in questo caso, non è la semplice soluzione fisiologica, ma il vaccino contro la meningite, che ha tra i suoi effetti collaterali gravi dichiarati proprio la mielite trasversa. Questa informazione però è stata “dimenticata” o trascurata.  

Gli errori di Astra Zeneca. Va detto che Astra Zeneca è incorsa in errori durante il trial di fase 3. Un primo errore di dosaggio portò a somministrare metà della dose stabilita. Si scoprì che, inaspettatamente, la mezza dose era addirittura più efficace della dose intera, un risultato vantaggioso in termini pratici, ma che per le sue modalità casuali ha contribuito a indebolire la fiducia.

Le fasce di età.  C’è stata una pessima comunicazione riguardo le fasce d’età alle quali somministrare il vaccino: mentre la sperimentazione iniziale di Astra Zeneca non aveva incluso persone di età superiore ai 55 anni, la successiva campagna condotta nel Regno Unito ha vaccinato “sul campo” tutte le fasce di età, con una pratica se si vuole azzardata ma che ha fornito nuovi dati, poi pubblicati su Lancet, su una popolazione ampia e ben distribuita. Pertanto, nei primi giorni di marzo, l’AIFA, ed altre agenzie, avevano autorizzato Astra Zeneca anche per gli over 65. Questa evoluzione, ripetiamolo, basata sui dati estesi della popolazione inglese, non è stata ben spiegata alla popolazione ed è apparsa coma un’opportunistica correzione di tiro in corso d’opera, contribuendo alla sfiducia.  Comunicare in modo chiaro e trasparente è quindi un punto nodale per la credibilità dell’intera campagna.

Il problema dei costi. Anche la consapevolezza che Astra Zeneca è più economico rispetto a Pfizer e Moderna ha portato alcuni a sospettare che allora non può essere un buon vaccino, e che l’interesse degli Stati a comperare un vaccino economico potrebbe portarli ad ignorarne gli effetti avversi. Il primo tipo di dubbio non ha consistenza. Enrico Bucci ha analizzato i costi di produzione dei vaccini (Il Foglio, 8 Marzo 2021) scoprendo, ad esempio, che sia Pfizer che Moderna, che usano l’RNA per produrre la proteina Spike come base del vaccino, devono incapsulare l’RNA in liposomi per veicolarlo nell’organismo; questo comporta pagare i diritti di brevetto a quattro differenti produttori di molecole lipofiliche indispensabili alla composizione dei liposomi. La tecnica di produzione di Adenovirus è di per sé economica e, soprattutto, gli Adenovirus a DNA non hanno bisogno di essere incapsulati in altre molecole-involucro. Il secondo punto – l’interesse economico degli Stati – rientra nel filone del pensiero sospettoso. Infatti, se è vero che gli Stati hanno interesse a rifornirsi dei vaccini più economici, dovrebbe essere altrettanto chiaro che non hanno interesse a condurre campagne con effetti disastrosi, come si verificherebbe se si usasse un vaccino o farmaco ad elevata tossicità, soprattutto in una campagna che richiede il consenso volontario informato.

L’accesso ai dati.  Infine, anche l’accusa ad Astra Zeneca di essere poco trasparente nel rilasciare i dati clinici e gli eventi avversi nei soggetti vaccinati è infondata. Sul sito del governo britannico sono aggiornate settimanalmente tutte le segnalazioni di eventi avversi dopo somministrazione del vaccino. 

Ci si chiede allora: è possibile che le decisioni assunte dai governi siano dettate dall’emotività o dal desiderio di recepire l’incertezza dei cittadini, più che da una riflessione scientifica? Quanto le testate giornalistiche hanno alimentato paure e confusione nell’opinione pubblica, tanto da indurre i governi nazionali, e poi l’EMA, a sospendere Astra Zeneca precauzionalmente? Titoli spettacolari, che già nella scelta dei vocaboli suggerivano un legame di causalità (del tipo “si vaccina e muore”) hanno inferto un grave danno alla serenità delle persone.  Dopo il sensazionalismo, pochi giornali stanno adesso seguendo il lavoro di vari gruppi di ricerca per definire in modo più accurato se, alla luce degli eventi che si sono verificati, si possano identificare caratteristiche comuni che possano consentire di intervenire tempestivamente al manifestarsi dei primi sintomi per essere trattati e/o portare ad escludere alcuni gruppi e indirizzarli piuttosto sui vaccini a RNA. In questi giorni, alcuni ricercatori norvegesi e tedeschi hanno dichiarato di aver riconosciuto la causa delle emorragie cerebrali riscontrate dopo il vaccino in una rarissima reazione autoimmune contro le piastrine. Queste dichiarazioni suggeriscono immediatamente la terapia da seguire alla comparsa di sintomi (vertigini, disturbi visivi) a 5 giorni dalla vaccinazione e dovrebbero essere accolte positivamente.

L’EUA: facciamo un ripasso

L’Europa sta procedendo nella campagna di vaccinazione con esitazioni, in bilico tra necessità sanitaria e pressioni dell’opinione pubblica. Anche senza paragonare a paesi con popolazioni più piccole, dove è oggettivamente più facile vaccinare (in Israele, il 55% della popolazione ha ricevuto la prima dose, negli Emirati Arabi il 32%), ricordiamo che negli Stati Uniti, pur con differenze tra Stati, oltre il 14% della popolazione è stato vaccinato con la prima dose, nel Regno Unito oltre il 20%, in Cile il 12%. L’Europa nel suo complesso è al 6,5%; i paesi con i tassi più alti, Germania, Italia e Francia, sono intorno a 8-8,5% nel momento in cui scriviamo. È evidente che la velocità con cui usciremo dall’emergenza COVID19 dipende dalla velocità con cui riusciremo a progredire.

L’auspicio è che i criteri alla base di un’autorizzazione ad uso di emergenza (Emergency Use Authorization, EUA) vengano spiegati con chiarezza all’opinione pubblica, rispettati da chi li pone in essere e implementati dagli Stati in modo razionale.  Questi principi sono, lo ricordiamo:

  1. l’assenza di alternative per contrastare una malattia;
  2. la possibilità che un farmaco attenui anche solo la gravità della malattia; è opportuno qui ricordare che Astra Zeneca  previene un decorso serio della malattia nel 100% dei casi, come i vaccini a RNA; mentre si riscontrano effettivamente differenze nell’efficacia di abbattimento del contagio al livello della popolazione: in effetti, una percentuale dei contagiati vaccinati con Astra Zeneca (da 2 a 3 su 10, secondo diverse stime) può ancora trasmettere il virus, ma tutti eviteranno un decorso grave;
  3. quando i benefici superano i rischi. È soprattutto su quest’ultimo punto che si gioca la partita.

I vaccini restano la nostra migliorare arma contro una pandemia che non scomparirà in poche settimane per incanto. Ad oggi, essi proteggono dalla Covid-19 oltre 200 milioni di persone nel mondo. Rimaniamo assolutamente fiduciosi nei vaccini, nelle agenzie che ne regolano l’utilizzo e, soprattutto, nella scienza.