Cultura è Salute

Leggere ci rende medici migliori.
Di FABRIZIO CONSORTI

12 Marzo 2021

Il saggio di Fabrizio Consorti – Dip. di Scienze Chirurgiche Univ. Sapienza di Roma e Presidente del Comitato Scientifico di “Cultura è Salute” sull’intreccio tra Letteratura e Medicina.

“Ma in quel punto si fermarono, il chierichetto col turibolo bussa, poi preme la maniglia e si scosta lasciando la precedenza al suo superiore. E ora figurati e cerca di capire il mio spavento e i miei sentimenti! Nel momento in cui il prete mette il piede oltre la soglia, scoppiano nella camera strilli e invocazioni di aiuto, come non ne hai mai uditi. Tre, quattro volte di seguito, poi un gridare continuato, senza pause, evidentemente a bocca spalancata, con un misto di lamento e orrore e protesta che non si può descrivere, e ogni tanto un’implorazione raccapricciante, finché di colpo il grido si fa cupo e cavernoso come fosse sprofondato sotto terra e salisse dalla cantina.”

Castorp si era volto di scatto verso suo cugino. “Era la Hujus?” domandò indignato. […] “però, Dio mio, deve aver avuto ancora molte energie per reagire così. Ci vuole forza a farlo. Non si dovrebbe far venire il prete prima che il malato non sia debolissimo”.

“Era debole infatti – ribatté Joachim – Oh, ce ne sarebbe da raccontare … È difficile fare la prima scelta … Debole era, ma tanta forza le veniva dallo spavento. Era una fanciulla, la si può anche scusare. Ma anche uomini adulti si comportano talvolta così, ed è una viltà imperdonabile. Behrens tuttavia sa come trattarli, in questi casi trova il tono giusto”.

“Quale tono?” domandò Castorp aggrottando la fronte.

“Non faccia lo stupido” […] “Era uno che alla fine fece una scena orrenda e assolutamente non voleva morire. Behrens allora lo investì: “Per favore, non faccia lo stupido!” gli gridò, e il paziente tacque immediatamente e morì tranquillo” (T. Mann – La montagna incantata. Corbaccio, Milano 2020, pag. 49-50)

Riviviamo una scena di più di un secolo fa, in un sanatorio di alta montagna, nel dialogo fra il Castorp – voce principale di un grande romanzo corale – e suo cugino, entrambi ricoverati con una forma non grave di “mal sottile”. Commentano il comportamento del direttore della clinica, il dottor Behrens, e le prassi in uso in quel luogo all’approssimarsi evidente dell’ultima ora di uno degli ospiti, una ragazza.

Arrivati a questo punto nella lettura di questo articolo, chiedo al lettore di fermarsi un attimo, vuotare la mente e leggere di nuovo le righe iniziali di narrazione: lasciatevi scivolare dentro la storia, respirate l’aria fine di una montagna svizzera, osservate partecipi due uomini di fine Ottocento, di alta borghesia, che discorrono di argomenti enormi come la morte, la dignità, la religione, il rapporto fra medico e paziente.

Personalmente riesco facilmente ad immaginare una lezione al primo o anche all’ultimo anno del corso di medicina che inizi con una riflessione per piccolo gruppo sul passo che vi ho presentato, o anche un evento di formazione continua. Ancora più evidenti, percepisco le emozioni, benefiche, che questa lettura mi suscita, interrogandomi nel mio agire professionale e umano ma al contempo rasserenandomi: nonostante la crudezza delle immagini evocate, sento la mia mente rallentare e adagiarsi nel ritmo della narrazione, immergersi in un mondo fittizio – sì – ma non banale e trovarvi un suo posto.

Ho iniziato l’articolo con questo piccolo esercizio di lettura per introdurre in modo esperienziale il lettore nel tema che tratterò in queste pagine: quale ruolo abbia la lettura di romanzi e racconti nella formazione e nella cura di sé dei medici e dei professionisti sanitari. Non si parlerà dunque di scrittura, né di “narrativa”, ma ci concentreremo sull’atto di leggere opere letterarie, ma anche scritti senza pretesa artistica, come le patografie, cioè i racconti di malattia scritte dai pazienti.

In questo articolo:

  • proporrò un inquadramento dell’esercizio di lettura di testi scritti nel contesto del movimento delle Medical Humanities
  • distinguerò la lettura dalla medicina narrativa
  • accennerò ai fondamenti neurobiologici della lettura
  • esemplificherò come si possa usare la lettura per la formazione pre, post laurea, continua di tutte le professioni di cura e per la cura di sé dei professionisti

Lettura e Medical Humanities

Nel fondamentale testo di Lucia Zannini, dedicato alle Medical Humanities e alla medicina narrativa (Zannini 2008), l’autrice discute nel dettaglio come usare l’opera letteraria per la formazione, fornendo anche alcuni esempi di analisi dei testi ai fini formativi. Qui voglio solo sinteticamente riportare ciò che la Zannini mutua da Rita Charon circa l’analisi di un testo e di una storia di malattia.

Si comincia dal contesto del racconto, da dove proviene quella storia, quali domande pone, quali risposte suggerisce, cosa è stato tralasciato ma avrebbe potuto trovare posto nella storia. Si analizza quindi la forma, identificando gli elementi più caratteristici (il genere, la struttura, il narratore, le metafore ed allusioni ad altri testi, il registro linguistico). Si esaminano quindi tempo e trama del racconto (cosa è accaduto, in quale successione ed eventuali legami di causalità). Infine si suggerisce di far emergere il “desiderio”, cioè cosa – secondo il lettore – lo scrittore voleva veramente dire nel raccontare quella storia.

Leggendo e analizzando un testo letterario è possibile perseguire diversi esiti formativi, che corrispondono a domande diverse da porre al discente impegnato nell’elaborazione. Le elenco brevemente qui di seguito

  • Capacità di esaminarsi personalmente: qual è stata la mia reazione alla lettura? quali emozioni? quali pensieri?
  • Capacità di cogliere le implicazioni etiche: cosa mi dice questa storia sull’esperienza di malattia e di morte? sulle scelte possibili e sulle loro giustificazioni?
  • Capacità empatica: provate a ri-raccontare questa storia dal punto di vista di un altro personaggio
  • Capacità comunicative ed empatiche: quali problemi solleva questo testo, che siano analoghi o simili ai problemi di relazione coi pazienti? con gli altri professionisti? rispetto alla comunicazione di malattia e di morte?
  • capacità di riflessione critica sulla propria attività di professionista: quali temi e problemi solleva questo testo rispetto alle figure professionali e alla loro attività?

Come si evince chiaramente, non stiamo parlando di obiettivi della dimensione del “sapere” o applicativi tecnico-professionali, ma soprattutto di quell’insieme di atteggiamenti che vanno sotto il nome generico di “professionalism” e che connotano l’agire di un buon medico, di un buon infermiere o di qualsiasi altro professionista sanitario. Da ultimo, non obbligatoriamente le storie raccomandate devono avere un argomento medico. Usando l’analogia è possibile ragionare di comunicazione, empatia, lavoro in team o di morte anche usando un romanzo o un racconto fantasy o di fantascienza.

Lettura e medicina narrativa

Dedichiamo poche righe a chiarire un equivoco frequente, cioè la confusione tra l’utilizzo a fini formativi o di cura della lettura e la medicina narrativa. L’Istituto Superiore di Sanità ha chiarito, con le Linee Guida del 2014 (ISS 2014), che la Medicina Narrativa è “una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura).” La medicina narrativa ha una storia illustre e prevede tra gli strumenti comunicativi anche l’utilizzo della scrittura di storie, a partire dall’intuizione originaria di Rita Charon, illustrata nel testo cardinale del movimento della medicina narrativa “Narrative medicine. Honoring the Stories of Illness.” (Charon 2006) La medicina narrativa è quindi un tipo di approccio clinico, basato su una competenza comunicativa particolare, nota come “competenza narrativa”. Essa non è un metodo formativo o di cura di sé.

La pratica di scrittura o narrazione orale e successiva condivisione di storie personali di cura ha un grandissimo valore formativo ed è variamente usata come innesco per attività riflessive o in metodi didattici come “l’incidente critico”, ma non dovrebbe essere indicata come medicina narrativa, bensì come pratica narrativa in didattica. La lettura di storie, che siano opere letterarie o racconti di pazienti o curanti ha parimenti uno scopo formativo e non diretto alla cura, se non che con la cura di sé.

Neurobiologia della lettura

La narrazione è la forma più primordiale di comunicazione della conoscenza fra esseri umani. Non a caso tutte le civiltà del pianeta sono fondate su narrazioni mitologiche delle proprie origini, narrazioni in cui il senso di identità collettiva affonda le radici. Una svolta epocale è stata il passaggio dalla narrazione orale a quella scritta, con la comparsa dei grandi testi fondanti, come i poemi omerici ed esiodei per le civiltà mediterranee o la stessa Bibbia. Ascoltare una storia raccontata o leggerla scritta potrebbe sembrare più o meno la stessa cosa, ma non è così. Cosa succede nel nostro sistema nervoso quando leggiamo?

Gli studi di neuroimaging hanno dimostrato l’esistenza di tre livelli di attività connessi con la lettura (Landi 2013): innanzitutto il riconoscimento delle lettere e la loro eventuale trasformazione in suoni fonetici, al secondo livello abbiamo la composizione e riconoscimento delle parole, nonché la composizione delle parole in frasi di cui si riconosce sintassi e semantica. Infine, al livello più alto avviene la comprensione del messaggio. I primi due livelli hanno un elevato valore clinico per comprendere i disturbi della lettura come la dislessia, aggiungiamo solo pochi dettagli in più sul terzo livello, per fondare su basi biologiche l’affermazione che leggere “ci fa bene”.

Innanzi tutto, come era facile attendersi, la comprensione della sintassi (corretta struttura grammaticale) e della semantica (presenza di significati coerenti nella frase) richiede un’attivazione neurale molto più diffusa che non la semplice lettura di lettere o parole. Il riconoscimento di errori di grammatica o di frasi prive di senso avviene con l’attivazione di aree diverse, con una prevalenza dell’emisfero di destra per il riconoscimento semantico. Il lobo di destra è più implicato anche nella comprensione di testi a struttura narrativa. Infine, forse sorprendentemente, questo livello di comprensione di testi attiva le stesse aree sia che i testi siano ascoltati che letti. Dunque ascoltare e leggere storie non è neurobiologicamente diverso? Per rispondere, dobbiamo alzare il tiro nel livello di complessità, spostare l’attenzione dalle singole aree alle reti di aree cerebrali e aggiungere un ulteriore elemento di neurobiologia e psicologia.

Una ricerca condotta per rilevare con neuroimaging l’attività cerebrale durante la lettura di testi letterari (Tamir 2015), si basava sulle prove scientifiche già acquisite da esperimenti di psicologia cognitiva relative al fatto che la lettura di opere letterarie aumenta il livello di socialità dei soggetti testati. L’esperimento ha confermato che durante la lettura di romanzi o racconti si attiva in modo particolare una rete di aree nervose indicata come default network. Questa rete è nota come il correlato neurobiologico dei processi di cognizione sociale, cioè di quei processi cognitivi relativi alla percezione, comprensione e implementazione di segnali linguistici, uditivi, visivi e fisici che comunicano informazioni emotive e interpersonali. Questo meccanismo neurobiologico comporta in altre parole una simulazione mentale di ciò che viene letto: ciò provoca un aumento della competenza sociale e spiega l’elevato coinvolgimento emotivo che ha la lettura delle storie scritte nei romanzi.

In conclusione, la lettura di testi narrativi stimola in modo particolare alcune aree dell’emisfero di destra e attiva la rete che costituisce uno dei fondamenti delle nostre capacità sociali.

Lettura, formazione medica e cura si sé

Quanto abbiamo descritto finora, si traduce in attività formative efficaci? Nel rispondere a questa domanda conviene separare i due termini “attività formative” ed “efficaci”. L’intero dominio delle Medical Humanities, di cui la lettura di opere letterarie fa parte, soffre per uno dei capisaldi dell’orientamento riduzionista su cui si fonda la medicina contemporanea: la dimostrazione di efficacia. Ciò è lecito e fattibile quando si ha a che fare con indicatori di esito quantificabili, come la sopravvivenza, la guarigione o la riduzione di un sintomo (ad esempio il dolore) o la modifica di una condizione (ad esempio l’ipertensione arteriosa). La cosa diventa problematica se si vogliono valutare esiti qualitativi, come la cosiddetta “qualità di vita”. Questo orientamento di metodo si applica anche alla didattica se ci rivolgiamo ad esiti quantificabili, come il possesso di conoscenza fattuale o operativa o di abilità tecnico-manuali. Per esiti di apprendimento più elusivi, come le cosiddette soft skill o abilità trasversali (comunicazione empatica, capacità di lavorare in team, capacità di self-regulation) una valutazione quantitativa di efficacia è molto difficile, è possibile utilizzare solo valutazioni di tipo qualitativo, che descrivano l’esperienza del partecipante. Quest’ultima deve essere intesa non come gradimento dell’attività, quanto come l’individuazione dei significati e del senso che il partecipante ha attribuito all’esperienza educativa (Kuper 2006). In questo modo la valutazione è parte integrante, riflessiva, dell’attività formativa.

Chiarito questo punto, resta da dire che le testimonianze di uso della lettura documentate in letteratura scientifica internazionale sono molte. Una delle prime pubblicazioni porta tra gli altri la firma della già citata Rita Charon (Hunter 1995) ed indica la necessità dello studio della letteratura nelle facoltà mediche, svolto attraverso lettura e successiva discussione in piccolo gruppo. Esempi di applicazione includono studenti di infermieristica (Freeman 2007) e medicina al 1° anno (Shapiro 2004) e al 4° anno (Welch 2016), quest’ultimo condotto con incontri di discussione online.

Resta da dire che, così come la lettura è efficace nel promuovere l’acquisizione di comportamenti comunicativi e sociali negli studenti, essa è in grado anche di influire sui livelli di stress e burnout di specializzandi (Winkel 2010) e medici (Marchalik 2019). Nel primo caso la lettura era accompagnata dalla riflessione del piccolo gruppo, mentre nel secondo studio – una survey nazionale – si è registrata una differenza significativa degli indici di burnout nei medici che abitualmente leggevano narrativa. Alcune riviste scientifiche internazionali dedicano uno spazio al suggerimento di letture consigliate (Alpert 2014).

Conclusioni

“Il ragazzo era di nuovo accanto a lei a spiegare: “Io non lo sapevo. Diceva che aveva mangiato, o che non aveva fame. Ieri sera ho spaccato una finestra e ho rubato un pezzo di pane. Gliel’ho fatto mangiare a forza. Ma l’ha ributtato tutto, e poi era ancora più fiacco. Ci vuole la minestra o il latte. Voi ce li avete i soldi per un po’ di latte?”

Ma’ disse. “Zitto. Non t’inquietare. Ora vedo di sistemarlo”.

All’improvviso il ragazzo urlò: “Ho detto che sta morendo! Mi muore di fame.”

“Zitto”, disse Ma’. Guardò Pa’ e zio John che fissavano angosciati il moribondo. Guardò Rose of Sharon avvolta nella coltre. Gli occhi di Ma’ oltrepassarono gli occhi di Rose of Sharon, poi tornarono a posarsi su di essi. E le due donne si guardarono profondamente negli occhi. La ragazza di colpo ansimò. Disse: ”Sì.”

Ma’ sorrise. “Lo sapevo che lo facevi. Lo sapevo!”

È il finale mozzafiato di Furore, di John Steinbeck. Rose of Sharon ha appena partorito un feto non vitale, ha avuto comunque la montata lattea e accetterà di allattare l’uomo moribondo: un vero pugno nello stomaco, la rottura di un tabù. Il romanzo è un durissimo atto di accusa di Steinbeck alla sua nazione, per quanto accaduto negli anni della grande depressione, ma non c’è mai una parola polemica, Steinbeck si limita a raccontare una storia, perché questo è uno dei modi più potenti che gli uomini abbiano a disposizione per spiegare il mondo. Chiudo questo articolo così come l’ho cominciato, con un racconto: oggi, 8 marzo, con due donne protagoniste del brano, senza alcuna intenzione di indicare ruoli, ma solo per regalarvi un’altra storia per pensare.