9 Marzo 2021
Da Mangiagalli a Forlanini, i ritratti di medici e benefattori, che hanno fatto grande l’Ospedale Maggiore, attraverso un affascinante e colorato viaggio nel tempo.
Uno sguardo contemporaneo sul passato, come a voler unire simbolicamente l’antico Ospedale con il Policlinico del futuro, attraverso i ritratti che omaggiano i grandi personaggi della medicina e della beneficenza milanese, realizzati dagli Orticanoodles. Ne parliamo con MARCO GIACHETTI, Presidente della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Un progetto nato in parallelo all’area di cantiere che era già presente, da alcuni anni, per realizzare il nuovo ospedale. Di cosa si tratta?
Dato che il cantiere si trova al centro dell’ospedale, che intanto continua a lavorare regolarmente, volevamo rendere tutta l’area un luogo più accogliente. Ma non ci siamo solo limitati a pensare ad un progetto che fosse bello: volevamo infatti raccontare la nostra storia, che è unica. Si tratta di una storia lunga, prestigiosa, fatta di grandi benefattori che dal 1456 ad oggi hanno donato tanto all’ospedale per farlo diventare quello che è, ovvero un luogo di eccellenza. Volevamo insomma raccontare l’altra faccia della medaglia dell’ospedale in un modo “pop”, democratico ed accessibile a tutti. Per questo abbiamo coinvolto gli OrticaNoodles per ripercorrere questa lunga storia: gli artisti hanno ripreso i ritratti dei benefattori, le fotografie di grandi medici come Mangiagalli e Forlanini, riproducendole con dei murales dai tempi della fondazione fino al nuovo ospedale, dal passato al futuro, attraverso i volti delle persone che l’hanno reso grande nel tempo con l’eccellenza medica e chirurgica. Mi riferisco ai benefattori più importanti: oltre 100 ritratti realizzati dal Guercino a Segantini, Carrà, Sironi insomma tutto il mondo della pittura degli ultimi 400 anni. Sono delle raccolte molto importanti che raccontano la vita dell’ospedale.
Siete sempre andati avanti con questo progetto e con i lavori, sfidando anche tutte le difficoltà di un anno segnato dalla pandemia. Qual è il messaggio?
Durante la pandemia, a parte il periodo del primo lockdown durante il quale era tutto fermo, la nostra volontà è stata quella di continuare a lavorare per dare il segnale importante di speranza e sostegno ai nostri operatori, che aspettano il nuovo ospedale da tanti anni; per loro il fatto di sapere che non ci siamo fermati era comunque un motivo di sollievo e li aiutava ad andare avanti con una prospettiva più ampia e con maggior fiducia nel futuro. A pandemia finita sarà un bellissimo traguardo per la sanità pubblica nazionale, non solo per la nostra città. È un momento di condivisione anche con loro perché l’impegno è comune, soprattutto in questo momento storico così difficile.
Dietro a questo progetto c’è anche una precisa volontà di umanizzare il più possibile i luoghi di cura: perché questa scelta?
Stiamo portando avanti diverse operazioni per rendere l’esperienza umana, nella sfortuna della malattia, non traumatica, ma più umanizzata possibile. Per questo ci dedichiamo a numerosi interventi in questa direzione: ad esempio l’idea di adattare alcune strutture all’utilizzo dei bambini e dei disabili, ma anche creare in senologia un “baby parking” per permettere alle mamme di portare i bambini in ospedale, dedicarsi serenamente a screening e prevenzione, con il supporto dei volontari che accolgono i bambini; lo stesso spazio, dopo le visite delle pazienti, diventa uno studio per i medici. Poi abbiamo creato dei salottini dove le mamme possono presentare alle famiglie i nuovi nati, in un ambiente accogliente e domestico, dunque non una stanza fredda di ospedale. Ancora più interessante sarà il giardino terapeutico che nascerà nel nuovo ospedale, che sarà grande come un campo di calcio a 11, ed avrà dei percorsi e degli spazi dedicati alla pratica dello yoga, alla lettura. Inoltre ci saranno dei veri e propri orti urbani, per la pet therapy, e tutti gli affacci delle degenze avranno gli affacci su questo spazio verde, per favorire una sensazione di benessere e serenità in tutti i pazienti.
Un’idea, quest’ultima, che ben si coniuga con il progetto “Cultura è Salute” di Club Medici. In che modo ne condividete lo spirito e la filosofia?
La cultura è bellezza sotto tutte le sue forme e la bellezza è curativa. Promuovere la cultura all’interno di un ospedale, aiuta psicologicamente il paziente a guarire prima e a guarire meglio. Abbiamo sotto gli occhi tanti esempi di terapie portate avanti con il supporto di opere d’arte, quadri o altre espressioni culturali. Il nostro ospedale è assolutamente legato a questo tema: i ritratti dei benefattori, piuttosto che raccogliere opere d’arte dal 1400 ad oggi, sono veramente parte intrinseca della nostra fondazione. Abbiamo un museo nell’ospedale che espone 23 capolavori ed una parte che viene invece allestita con mostre temporanee trasversali: parliamo di moda, acconciatura, grandi medici, grandi industriali che hanno donato all’ospedale, quindi salute e cultura dialogano senza sosta in uno scambio continuo e reciproco. Disponiamo inoltre di un archivio storico del 1600 che raccoglie tantissimi documenti. Quello della cultura è un mondo unico ed incredibile. Infine promuoviamo la visita al nostro museo ed al nostro patrimonio ambientale, che comprende oratori, chiese affrescate, cascine dei monaci benedettini, promuovendo itinerari turistici e visite culturali, che vale la pena apprezzare. Cerchiamo di rendere l’ospedale protagonista anche dal punto di vista della prevenzione. Poter fare questo è un valore aggiunto, siamo custodi da anni di un patrimonio culturale inestimabile ed è bello poterlo condividere con tutti.