19 Febbraio 2021
Partendo dalla sua esperienza personale e professionale, il neuropsichiatra Fulvio Filacchione analizza il rapporto tra “cultura” e “salute”.
Il termine “cultura” deriva dal latino “colere”, coltivare, facilmente estensibile al concetto di conoscenza, di cultore di… e di culto verso le divinità. La “salute” invece, nasce direttamente collegata al concetto di divinità, quella greca di Igea prima e quella romana di Salus dopo, personificando lo “star bene” sia dell’individuo che della “res publica”. Il concetto di “caregiver“, molto usato nella psicologia dell’attaccamento nell’infanzia, collega bene, nella sua etimologia, la cultura del prendersi cura e la cultura del ben-essere.
Nella mia pratica clinica come NPI, nelle sedute con i bambini, nei momenti di restituzione diagnostica con i genitori e nelle lezioni didattico-pedagogiche agli insegnanti di sostegno nella mia esperienza universitaria, i concetti di cui sopra mi hanno guidato, come elementi di un “intreccio virtuoso”, rinnovando il gusto della conoscenza e della ricerca, aggrappandomi alla fatica necessaria per l’esercizio quotidiano aiutato dal piacere salutare del gioco e della creatività quando raggiunto.
La cultura può essere salutare, ma può anche creare uno stigma; può accadere nelle diagnosi psichiatriche e la stessa psicoanalisi non ne è esente. Per eludere questo rischio è stata strutturata, nella psicoterapia infantile, la tecnica del “setting di gioco”. Il bambino nel gioco non si limita a superare soltanto la realtà dolorosa; in esso egli trova anche il modo di dominare l’angoscia delle forze istintuali e delle minacce interne proiettandole sul mondo esterno. Gli sforzi che il bambino ripete incessantemente, nei suoi giochi, implicherebbero un tentativo di controllo sulle eccitazioni attraverso lo sviluppo di uno stato di apprensione. Grazie ad un tale spostamento dei pericoli istintuali ed interni sul mondo esterno, il bambino riesce a dominare meglio la paura e si prepara ad affrontare gli stessi pericoli nel modo migliore”. Uno dei primi bambini che seguii con una lunga psicoterapia nella ASL, affetto da una grave e fatale sindrome genetica multisintomatica con importanti dismorfie, così descrisse, verso la fine delle sedute, la sua esperienza:
“mi servi più adesso che quando ero piccolo. Con te non è come con il confessore, anche a lui posso dire tutto, ma mi dà solo l’assoluzione. Tu mi aiuti a capire”. Capire è salute?
Caratteristica ricorrente della NPI, che è solo uno degli strumenti di conoscenza e di gestione della salute, è anche quella di valutare, oltre la semeiotica neurologica, quella delle funzioni corticali superiori del SNC, ivi compresa la capacità di astrazione e simbolizzazione, motore centrale della cultura e dell’arte. Il paziente- bambino quindi è al tempo stesso, osservato e osservatore, paziente e suggeritore di riflessioni, disegni, interpretazioni, “messe in forma” di rappresentazioni estetiche (con gli strumenti del gioco) che molto spesso hanno la dignità della creazione artistica.
Sono proprio gli aspetti fragili o immaturi della personalità che rendono difficile all’Io un equilibrio tra realtà interna ed esterna. È da qui che nasce il bisogno di andare alla ricerca di nuove intuizioni e di possibili trasformazioni della conoscenza preziose per una diversa ricerca della salute. Se la cultura è conoscenza e la creazione è arte è anche perché la salute riesce ad abbracciare sia il tormento che l’estasi… il confine è labile! Lo studio della fisiologia ci insegna a curare la patologia, ma la patologia fa emergere segreti indispensabili a perfezionare la prima riportandoci al necessario dualismo della dialettica.