16 Dicembre 2020
Il governo ha deciso di stanziare 30 milioni di euro per effettuare i tamponi rapidi dal medico di base e dal pediatra: lo prevede una delle misure del Decreto Ristori. Il costo dei tamponi, che potranno essere effettuati dai medici di famiglia, sarà quindi a carico dello Stato e non più del paziente.
Tamponi dal medico di famiglia protagonisti anche nel decreto legge Ristori che si va ad approvare in Senato per poi passare alla Camera. Come spiegato nell’articolo riportato da “Doctor 33”, l’incombenza prevista in convenzione nel 2021 non sarà più “gratuita”. L’articolo 18 del decreto in fase di conversione destinerà infatti ai medici di famiglia 30 milioni, considerando un costo unitario di 15 euro a tampone antigenico per 2 milioni di tamponi, ed elaborerà una tabella di riparto in cui includerà le Regioni a statuto speciale per la prima volta. Il successivo articolo 19 dispone inoltre che i medici di medicina generale e i pediatri saranno tenuti a inserire nel sistema Ts il referto per ogni assistito, negativo o positivo, il domicilio se positivo e il relativo tracciamento dei contatti, nonché di ulteriori informazioni sulla sorveglianza epidemiologica, da individuare con successivo decreto del ministro della Salute. Il referto elettronico indipendentemente dall’esito dovrà essere subito disponibile all’assistito, che potrà leggerlo nel suo fascicolo sanitario elettronico, mentre il solo esito positivo dovrà essere leggibile dal servizio di Igiene Asl nella piattaforma nazionale.
Le nuove norme, che dovrebbero dare impulso ai tamponi e saranno con ogni probabilità seguite da ulteriori emendamenti, arrivano in uno scenario in cui gran parte delle operazioni di esecuzione del test da parte del medico e del pediatra convenzionato, previste della convenzione del 30 ottobre scorso, non è ancora partita. “Il problema – sottolinea ancora “Doctor 33” – è il no di una parte dei medici, di cui prende atto anche il parlamento nei lavori preparatori, il superlavoro in assistenza primaria e soprattutto la sentenza Tar, che toglie dalle priorità della medicina generale l’effettuazione dei tamponi domiciliari. A questo vanno aggiunti degli errori in fase di consegna dei dispositivi di protezione promessi nel contratto. Come indica un’indagine empirica del quotidiano la Stampa ad eseguire i test antigenici in studio risulta partita fin qui solo una parte minoritaria dei medici di famiglia, un 38%, e non i tre quarti prevedibili in base alla rappresentatività dei sindacati firmatari dell’accordo, Fimmg ed Intesa, che insieme fanno il 75% delle deleghe. C’è stato qualche “no” in sede di trattativa decentrata, ad esempio di Intesa in Lombardia”.