18 Settembre 2024
Figli in quarantena, genitori in ansia, nonni a rischio contagio: quando il Covid tocca da vicino i più piccoli, le paure in famiglia raddoppiano. La pediatra ci aiuta a capire come comportarsi e quale approccio seguire per “far convivere” i bambini con la pandemia.
Quali sono i principali sintomi del COVID-19 nei più piccoli?
I sintomi vanno da un’infezione alle alte vie respiratorie, che si manifesta dal semplice raffreddore alla sindrome influenzale vera e propria, o possono essere sintomi gastro-intestinali. Devo dire che è molto difficile stabilire se siamo davanti ad un’influenza o al Coronavirus, quindi stiamo facendo molti tamponi. Più che i bambini, soprattutto i ragazzi sono infettati, quindi la fascia degli adolescenti è più propensa: ora la situazione sta migliorando, ma nei mesi scorsi ricorderete quanta poca attenzione c’era da parte dei teenager, che avevano atteggiamenti ribelli, anche tipici dell’adolescenza, e mettevano in atto tanti comportamenti sbagliati. Bisogna far comprendere, sia ai piccolini ma anche agli adolescenti, l’importanza di seguire le regole: questo dovrebbe avvenire tramite i genitori, ma molto spesso proprio le mamme ed i papà trasmettono ansia ai bambini. Io, come pediatra, parlo sempre con le famiglie, consiglio d’inventare dei giochi per incentivare i piccoli all’uso della mascherina o per evitare che si assembrino troppo. Porto sempre l’esempio del film capolavoro “La vita è bella” di Roberto Benigni, che è l’emblema di come il genitore possa filtrare la realtà e renderla un gioco, anche in un momento drammatico. Consiglio anche di leggere dei libri, che spiegano come affrontare la problematica, e cerco di tranquillizzare i genitori perché spesso sono proprio loro i più spaventati. Nella stragrande maggioranza dei bambini fortunatamente le conseguenze del Covid non sono gravi quindi l’infezione si può gestire da casa, con le dovute precauzioni. C’è però il problema della scuola: se ci sono dei casi in classe, la classe viene chiusa. Per il rientro, gli istituti chiedono di certificare che i bambini non abbiano il Covid, quindi occorre fare loro un tampone. Qui si aprono due strade: se si può tenere il bambino a casa, per 14 giorni, allora dopo si può rientrare a scuola senza tampone, perché la carica virale è talmente bassa che non si è rischiosi per altri. Altrimenti bisognerà eseguire un tampone dopo 10 giorni ed in caso di negatività si tornerà in classe.
Come aiutare “psicologicamente” un bambino che si appresta a fare il tampone?
I bambini, se non sanno cosa succede loro, sono spaventati. Magari, con le fasce d’età più piccole, si simula un gioco, ma con gli altri bisogna essere aperti al dialogo. L’errore più comune, spesso involontario, dei genitori è che tendono a non dire le cose ai figli, ma i bambini capiscono benissimo! Quando i genitori sono chiari, e spiegano con calma e senza ansia le cose ai figli, non ci sono problemi. Il bambino segue l’esempio dei genitori: se le mamma ed i papà sono ansiosi, lo saranno anche i figli. Psicologicamente la famiglia può fare la differenza ed è importante instaurare un dialogo.
Esistono tipologie di tamponi alternativi e “meno invasivi” per i più piccoli? Che tipo di accortezze può adottare un genitore per ridurre il rischio di contagio del proprio figlio?
Partiamo dai tamponi: sono un po’ dubbiosa sul salivare nei bambini piccoli perché la durata dell’intero procedimento è di circa 3 minuti e pensare che un bambino tenga correttamente un tampone sotto la lingua, per un arco temporale così lungo, è molto difficile. Io generalmente eseguo il tampone rapido o, qualora sia necessario, il molecolare. Per quanto riguarda le accortezze, le direttive governative sono sicuramente molto utili per i bambini che vanno a scuola: distanziamento e mascherina, lavaggio delle mani, tenere le finestre aperte sono le regole base che vanno applicate anche in casa. Il ricambio d’aria è importantissimo. Consiglio a tutte le famiglie, qualora un bambino sia positivo, di usare le ffp2, far dormire il bambino da solo ed igienizzare le mani molto frequentemente. Anche gli asciugamani vanno cambiati e lavati a 60 gradi in lavatrice perché con l’umidità il virus rimane attivo più a lungo.
Quanto incide tutto questo a livello psicologico e comportamentale?
Per i bambini, ma anche per gli adolescenti, è molto pesante rimanere chiusi in casa, mangiare da soli, non vedere gli amici. Ho telefonato ad alcuni ragazzi, che si sentivano letteralmente “in prigione”, con uno stato d’animo triste. L’isolamento a volte dura tanto e psicologicamente per loro è ancora più difficoltoso che per gli adulti. Ma ho l’impressione che i genitori spesso tendano a drammatizzare troppo: capisco la pesantezza di questo momento, ma se un’adolescente ora deve stare in casa e lontano dagli amici, bisogna ridimensionare il problema per non ingigantirlo troppo. Farei studiare ai giovani la vita di Nelson Mandela, che è stato chiuso 19 anni in una cella eppure si definiva un “uomo libero”, quindi agli adolescenti vorrei dire che liberamente si sceglie di aiutare la comunità, i medici in prima linea, gli anziani, le persone fragili. Non lamentatevi troppo, ma fate la vostra parte, perché è importantissimo!
Durante questa intervista ha citato il film “La vita è bella” e poi un personaggio del calibro di Nelson Mandela. Quanto la cultura può fare la sua parte, aiutando a comprendere meglio? Lei ritiene che la cultura sia sinonimo di benessere e salute, anche per i bambini?
Sono assolutamente convinta che tutte le iniziative volte alla promozione della cultura siano molto importanti, tanto per gli adulti quanto per i piccoli. Personalmente ho avuto esperienza diretta nell’assistenza a ragazzi e bambini con problemi caratteriali, oppure molto chiusi ed introversi, ed ho consigliato loro di frequentare dei corsi teatro e di musica: queste discipline li hanno sbloccati moltissimo, sono diventati più socievoli e sicuri di loro stessi. Ho sempre avuto dei buoni riscontri, sono convinta che l’attività artistica porti molti benefici a livello personale. Anche negli ospedali ci sono degli operatori fantastici, che portano la cultura nei reparti, regalando dei sorrisi ai piccoli ammalati: ho lavorato presso “L’Istituto dei Tumori” di Milano e vi assicuro che, entrando lì dentro, incredibilmente l’atmosfera è allegra. I bambini giocano e sono felici dunque questi percorsi funzionano molto bene, sì Cultura è Salute!