18 Settembre 2024
Impegnato da mesi in prima linea nella lotta al COVID-19 a Palermo, il Dottor Alessandro Raffa, specialista in Medicina Interna e Medicina d’Urgenza, è anche un grande appassionato di arte. Il Dottore applica infatti l’occhio clinico ai quadri più celebri affinché la diagnosi medica possa essere messa al servizio di una lettura critica delle opere d’arte.
Dall’impegno scientifico alla passione per l’arte: com’è nata l’idea di fare diagnosi sulle opere?
L’incontro con l’arte è avvenuto quasi per caso, all’età di quindici anni, inviato dalla mia famiglia a Parigi per apprendere la lingua francese, fui ospitato presso l’atelier di un noto artista italo-americano, Mario Cassisa, trasferitosi in quel periodo dalla California a Parigi, che supportavo nella vendita di opere d’arte presso la nota case d’aste “Hôtel Drouot”. La passione per l’arte mi ha condotto poco dopo a studiare il mondo arabonormanno della mia città, Palermo, mentre frequentavo il liceo scientifico: un lavoro di ricerca che poi consegnai ad una pubblicazione. L’arte dà dipendenza e mai assuefazione. Posso dire di essere stato anche un mecenate, attività ormai desueta, collezionando alcune opere di Piero Maniscalco, un artista siciliano emergente trasferitosi poi a San Pietroburgo, e premiato dal Presidente Putin per il logo del G20 Russia. Appassionato da sempre di design, posseggo tra l’altro una collezione di lampade rare degli anni ’60 e ’70.
In che modo l’arte può “sublimare” la malattia? E come viene reinterpretato il concetto di “dolore”?
Durante le settimane di lockdown per il COVID-19 mi ha ricontattato la storica dell’arte Silvia Mazza. Si chiedeva se, nel momento di uno straordinario dramma sanitario, l’arte potesse recuperare la sua funzione anche consolatoria, che ha avuto sempre nella storia dell’umanità. Sembrava che fosse proprio quello il momento giusto per riprendere un discorso interrotto. Appena qualche mese prima, infatti, in dicembre, mi aveva proposto di collaborare a un’originale ricerca volta ad analizzare alcune opere d’arte, non solo per individuarne le patologie, nascoste nei soggetti ritratti, ma per far sì che la diagnosi medica potesse essere messa al servizio di una lettura critica dell’opera d’arte da cui potesse scaturire una nuova “epifania”, una rivelazione di un suo significato “altro”, in grado di offrire esempi di come i tradizionali paradigmi di bellezza potessero essere letti diversamente. Non si è trattato, in altre parole, come avviene in genere negli studi che vedono questo tipo di interdisciplinarietà, di una documentazione delle patologie fine a sé stessa. Quello che volevamo era, invece, di legare l’occhio clinico alla speciale dimensione dell’estro creativo. Prendiamo l’ “Annunciata” di Antonello da Messina, a Palazzo Abatellis, a Palermo. Non era tra le opere che la dott.ssa Mazza mi aveva sottoposto, riprodotte in un catalogo. Mentre lo sfogliavo, però, mi ha colpito un particolare: un lieve strabismo convergente dell’occhio sinistro della Madonna. Questa osservazione la storica dell’arte l’ha ritenuta “funzionale alla costruzione dell’immagine e del suo meditato concetto”, come poi ha scritto. Ne è derivata un’inedita lettura di un capolavoro di cui sembrava essere stato detto ormai tutto. Il risultato di questo lavoro, con cui abbiamo passato in rassegna opere di Raffaello, Botticelli, dello stesso Antonello da Messina, ma anche di artisti meno noti, è stato pubblicato sulla rivista di settore “Finestre sull’Arte”. Un grande apprezzamento è stato manifestato da importanti studiosi che ci hanno convinto a trasformarlo in un progetto di ricerca più esteso. La creatività ha un valore catartico, di purificazione dal dolore fisico o da persistente conflitto interiore; parafrasando Pablo Picasso, “un artista non dipinge ciò che vede ma ciò che sente”, proiettandolo sulla tela e sublimandolo in un dolore riassorbito e elevato ad un’armonia superiore; in tal modo la patologia rappresentata cessa di coniugarsi col dolore e partecipa alla rappresentazione dell’opera in modo armonico. Caso emblematico quello della “Venere” di Botticelli, icona del Rinascimento, “a sorpresa” con un piede… da primate.
Per un medico quanto può essere salvifica la cultura dal rischio di burnout?
L’art counseling e l’arteterapia possono essere di grande aiuto anche in esperienze destabilizzanti come il burnout lavorativo, in quanto in grado di rinforzare la capacità dell’individuo nel fronteggiare delle avversità, senza perdersi d’animo, attraverso la riduzione dei livelli di stress e conferendo un benessere psicofisico tramite l’espressione di pensieri, vissuti e emozioni. Ne deriva che l’arte è un’esperienza completa che può rientrare in un programma terapeutico, ma anche preventivo del burnout, poichè è in grado di migliorare l’autostima con beneficio anche sulle prestazioni professionali. In definitiva i luoghi di cultura rappresentano il pronto soccorso dell’anima. In tal senso il portale “Cultura e salute da voi sviluppato rappresenta un valore aggiunto.
Lei è in prima linea anche nella lotta al COVID-19. Come descriverebbe questo momento?
Sono un dirigente medico della U.O.C di Medicina e chirurgia di accettazione e d’urgenza dell’Ospedale civico di Palermo “riconvertita in COVID-19- Area” e tutto il personale condivide un comune obiettivo, quello di lottare contro un virus che abbiamo iniziato a conoscere sul campo. Riusciamo ad accettare fino a quaranta pazienti COVID-19 con polmonite da moderata a severa in attesa di ricoverarli, spesso con difficoltà, nei reparti dedicati; pertanto iniziano già da noi il protocollo terapeutico e l’assistenza ventilatoria, quando necessaria. In atto la Sicilia è tra le regioni ad alto rischio con un trend dei contagi in netta risalita dalla terza settimana di ottobre (indice Rt= 1.37 numero medio di infezioni secondarie prodotte da un singolo infetto mentre a maggio u.s questo valore era pari a 0.54), questo vuol dire che allo stato attuale una persona positiva contagia circa una persona e mezza. La situazione si sta complicando anche perché bisognerà prevedere oltre ad ulteriori unità operative di “medicina COVID-19”, anche reparti e sale operatorie per pazienti “cardiologici acuti o “chirurgici acuti” specie con patologie “tempo dipendente” e positività da COVID-19. Tuttavia la grande esperienza formativa che ne sta derivando è quella di lavorare in sinergismo dimenticando di essere specialisti ma solo medici.